L’espressione contenuta in apertura di questa norma “
Se la legge non dispone altrimenti…” deve intendersi riferita a tutte le ipotesi in cui la condanna viene disposta con
sentenza, ciò che avviene nel caso di disconoscimento ingiustificato di
scrittura privata (
art. 220 del c.p.c. comma 2), di espressioni sconvenienti ed offensive (
art. 89 del c.p.c.) o di pronuncia di rigetto della [[querela di falso]] (
art. 226 del c.p.c.).
Destinatari delle ordinanze di condanna possono essere il
testimone, il
consulente tecnico, il
custode o anche il terzo che rifiuta l’
ispezione.
Il potere di condanna che viene attribuito al giudice è la conseguenza di quanto previsto all’
art. 128 del c.p.c. (disciplinante l'udienza pubblica) ed all’
art. 175 del c.p.c. (che contiene la disciplina del potere di direzione del processo).
In ossequio al principio del
contraddittorio, è richiesto che il
cancelliere comunichi all'interessato l'
ordinanza, nei casi in cui:
-
la stessa non sia stata pronunciata in udienza;
-
se, pur essendo stata pronunciata in udienza, l’interessato dovesse risultare assente.
Nell'ipotesi di pronuncia in udienza si rende necessario contestare previamente l'addebito, al fine di consentire alla parte di esercitare la propria difesa; è stato sostenuto che, in assenza di contestazione dell'addebito, l'ordinanza sia immediatamente reclamabile.
Il
reclamo, che va proposto nel termine perentorio di tre giorni, deve essere contenuto in un ricorso da presentare in cancelleria.
Le condanne a pene pecuniarie sopravvivono all'estinzione del processo, poiché non costituiscono atti processuali, ma vere e proprie sanzioni.
In relazione alla disciplina della testimonianza, il legislatore ha inasprito le sanzioni economiche per il caso di mancata presentazione del teste all'udienza, senza alcuna giustificazione, e se tale condotta dovesse essere reiterata.