Il regime dei beni patrimoniali: regola generale
Come nell'art.
822 è stato definito il regime giuridico dei beni demaniali, così nel presente art. 828 viene stabilito quello dei beni patrimoniali. Il regime di questi ultimi è determinato in via principale dalle
leggi particolari che li riguardano; solo qualora queste ultime non dispongano in merito si applicano ai suddetti beni le regole del codice civile relative al
diritto di proprietà.
Questo rinvio è decisivo per definire il carattere del diritto spettante agli enti pubblici sui loro beni patrimoniali: mentre il diritto sui beni demaniali ha carattere di proprietà pubblica, quello sui beni patrimoniali deve definirsi una proprietà privata. Solo ammettendo questa conclusione può spiegarsi come, nel silenzio delle leggi speciali, siano applicabili le norme del diritto civile: queste leggi costituiscono un diritto privato speciale, che costituisce una parziale deroga al diritto privato comune, al fine di regolare i rapporti delle pubbliche amministrazioni. Questi principi sono stati affermati costantemente dalla dottrina e trovano oggi precisa conferma nella esplicita dichiarazione del legislatore.
Per quanto riguarda il
patrimonio dello Stato, le fonti speciali richiamate dal codice sono principalmente le seguenti: il decreto legislativo 18 novembre 1923, n. 2440, sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato; il regolamento per la sua esecuzione 23 maggio 1924, n. 827; il regolamento sul servizio del Provveditorato generale dello Stato, approvato con R. D. 20 giugno 1929, n. 1058. Queste disposizioni riguardano principalmente l'acquisto, la conservazione, l'amministrazione dei beni, i relativi inventari e i controlli sulla gestione. Le norme relative all'alienazione dei beni stessi sono contenute nella legge 24 dicembre 1908, n. 783, modificata col decreto luogotenenziale 26 gennaio 1919, n. 123, e con le leggi 2 ottobre 1940 n. 1406, e 14 giugno 1941, n. 617. Circa i beni dei comuni e delle province, sono da tenere presenti la legge comunale e provinciale, T. U. marzo 1934, n. 383 (art. 84-89, 132, 289, 29o, etc.), e la legge sulla finanza locale, T. U. 14 settembre 1931, n. 1175 (art. 13-19).
Regole particolari per i beni indisponibili
Il secondo comma dell'art. 828 contiene una norma particolare relativamente ai beni del patrimonio indisponibili. Già dall'art.
826 c.c. risulta che questi sono beni caratterizzati dalla loro destinazione, in quanto sia per la loro natura sia per la volontà dell'ente a cui appartengono, devono servire come mezzo per conseguire un suo fine determinato; i beni disponibili, in mancanza di tale destinazione, sono utilizzati per la loro attitudine a produrre altri beni, ossia come
beni redditizi.
Quale sia il contenuto giuridico di questa distinzione prevalentemente economica è detto nel secondo comma del presente art. 828: “
i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”. Con ciò il codice, pur accogliendo la distinzione contenuta nei regolamenti sull'amministrazione del patrimonio dello Stato, ne ha notevolmente modificato il contenuto giuridico. II ricordato art. 9 del regolamento 23 maggio 1924 stabiliva, infatti, che «
si considerano non disponibili quei beni che, per la loro destinazione a un servizio pubblico o governativo, oppure per indisposizione di legge, non possono essere alienati o comunque tolti dal patrimonio dello Stato ». L'espressione "beni indisponibili", era, perciò, equivalente a quella di "
beni inalienabili".
La dottrina discuteva in proposito se l'inalienabilità rispetto a questi beni avesse lo stesso contenuto e le stesse conseguenze tipiche dei beni demaniali: l'opinione più diffusa sembrava non ammettere differenze tra le due situazioni, anche se qualche autore giustamente riteneva che per i beni demaniali si dovesse riconoscere una vera incapacità a formare oggetto di negozi di alienazione, affermando pertanto la nullità di qualsiasi atto che avesse per oggetto il trasferimento di tali beni, mentre escludeva che lo stesso principio potesse valere per i beni indisponibili, rispetto ai quali l'atto traslativo non sarebbe stato che annullabile.
Il codice ha abbandonato, per i beni indisponibili, ogni restrizione alla facoltà di alienare ed ha posto come loro caratteristica il
divieto della sottrazione alla destinazione ricevuta, se non in quanto previsto dalle leggi speciali. Da ciò ne consegue che l'alienazione di questi beni è possibile e lecita sempre che essa non comporti un cambiamento della destinazione. Questa condizione restringe praticamente la stessa facoltà di alienare: l'alienazione fatta con cambiamento di destinazione si reputa viziata e annullabile. D'altra parte, l'alienazione senza cambiamento di destinazione non può avvenire se non a favore di soggetti che curino gli stessi fini pubblici curati dall'ente cui il bene appartiene, ossia a favore di un altro ente pubblico o di un privato al quale l'ente proprietario conceda l'esercizio del servizio pubblico per cui il bene serve quale mezzo. L'alienazione non incontra, invece, alcuna limitazione quando avviene successivamente a un atto dell'amministrazione che abbia sottratto la cosa alla destinazione che ne determina l'indisponibilità: si tratta, in tal caso, dell'alienazione di un bene disponibile.
Il cambiamento di destinazione deve, in ogni caso, aver luogo nei modi stabiliti dalle leggi speciali: ciò importa non solo la necessità di osservare le forme e le procedure stabilite in queste leggi per il cambiamento, ma anche il divieto di far luogo a quest'ultimo quando ciò risulti escluso, in modo indiretto, dalle leggi stesse. Quanto detto vale in particolare per le miniere, non consentendo la loro natura e il complesso stesso delle disposizioni che le riguardano altra destinazione se non lo sfruttamento attraverso coltivazione fatta dallo Stato direttamente o per mezzo di concessionari.
La questione della possibilità dell’usucapione a favore di privati
L'esplicito assoggettamento di tutti i beni patrimoniali al regime del diritto privato e l'abolita identificazione della condizione di quelli indisponibili con una vera inalienabilità facilita la soluzione del problema relativo alla possibilità di per i privati di usucapire tali beni.
II vecchio codice, con l'art. 2114, disponeva che «
lo Stato, pei suoi beni patrimoniali, é soggetto alla prescrizione e può opporla ai terzi ». Si discuteva se questa disposizione fosse
applicabile anche ai beni del patrimonio indisponibile: la
soluzione non poteva essere che
affermativa, perché i beni indisponibili non sono, a differenza di quelli demaniali, sottratti al possesso e agli effetti giuridici di esso. Il nuovo codice ha omesso di riprodurre tale disposizione, in quanto ritenuta superflua: la usucapibilità dei beni patrimoniali, compresi quelli indisponibili, risulta però dalle regole generali di cui agli artt.
1158 e
1161 c.c. e dalla mancanza, nel regime dei beni stessi, di elementi che ostano all'applicazione di tali regole.