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Articolo 2596 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Limiti contrattuali della concorrenza

Dispositivo dell'art. 2596 Codice Civile

Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto [1341, 2725](1). Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni [1379].

Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio [2125, 2557](2).

Note

(1) La forma scritta è prescritta ad probationem.
(2) Al pari dell'art. 2596, anche l'art. 81 del Trattato Istitutivo Ce vieta le intese tra imprese che abbiano come oggetto o effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato comune.

Ratio Legis

La norma disciplina il patto di non concorrenza, ponendo un limite alla libertà di iniziativa economica. Si concreta una violazione della norma quando l'obbligato intraprenda un'attività economica nell'ambito dello stesso mercato in cui opera l'imprenditore, idonea a rivolgersi alla clientele di quest'ultimo, offrendo servizi, se pur diversi, comunque idonei a soddisfare l'esigenza della domanda.

Spiegazione dell'art. 2596 Codice Civile

L'intento perseguito dalla norma in commento di impedire eccessive restrizioni alla libertà di iniziativa economica tutela, seppure in misura modesta, anche il mercato nelle sue effettive strutture (Corte cost. n. 223/1982).
E nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacita professionale nel settore economico di riferimento.
La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, non e soggetta al limite di durata quinquennale previsto dalla norma per gli accordi limitativi della concorrenza, a meno che non possa qualificarsi come un autonomo patto, nel qual caso pero il limite temporale di validità del patto di non concorrenza non si estende alla durata del contratto di somministrazione. Le limitazioni alla concorrenza sono sottoposte al limite temporale quinquennale soltanto quando siano stipulate come pattuizioni a se stanti, autonome e distinte da un rapporto contrattuale corrente tra le parti, mentre il limite non si applica quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempia alla stessa funzione economica del secondo.

Massime relative all'art. 2596 Codice Civile

Cass. civ. n. 20152/2022

In tema di associazione in partecipazione, il patto di non concorrenza di cui all'art. 2596 c.c., il quale prevede che lo stesso è valido se circoscritto ad una determinata zona o a una determinata attività, può essere esteso a tutto il territorio nazionale, qualora l'attività dell'altro contraente sia di rilievo nazionale.

Cass. civ. n. 24159/2014

È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento.

Cass. civ. n. 21729/2013

La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, in virtù del principio generale di libertà delle forme negoziali, deve avere la medesima forma prevista per il contratto cui accede e non soggiace all'operatività dell'art. 2596 c.c. che impone tale forma, "ad probationem", per il patto che limita la concorrenza.

Cass. civ. n. 7141/2013

Sebbene la legge non imponga al lavoratore parasubordinato un dovere di fedeltà, tuttavia il dovere di correttezza della parte in un rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.) e il dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) vietano alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all'altra, sì che l'obbligo di astenersi dalla concorrenza nel rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile direttamente all'art. 2125 c.c. - che disciplina il relativo patto per il lavoratore subordinato alla cessazione del contratto - ma, permeando come elemento connaturale ogni rapporto di collaborazione economica, rientra nella previsione dell'art. 2596 c.c.. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile ad un rapporto di lavoro parasubordinato la disciplina del patto limitativo della concorrenza ex art. 2596 c.c., ricorrendone uno dei presupposti, previsti in via disgiuntiva, costituito dalla delimitazione ad una determinata attività, escludendo così la nullità della pattuizione per l'indiscriminato ambito geografico mondiale del vincolo negoziale).

Cass. civ. n. 813/2011

Il patto di non concorrenza, concluso ai sensi dell'art. 2596 c.c. e destinato a fissare una limitazione all'attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, tra cui accidentalmente anche la P.A., non integra di per sé il reato di turbata libertà degli incanti, di cui all'art. 353 c.p. - nella parte in cui esso prevede un'intesa, più o meno clandestina, che ha come finalità esclusiva l'impedimento o la turbativa della gara o l'allontanamento degli offerenti ed il conseguente dolo, cioè la volontà consapevole di determinare uno dei predetti risultati con quei mezzi - né, quindi, appare viziato da nullità virtuale, ai sensi dell'art. 1418 c.c.; non è invero ammissibile, già per la sua previsione come obbligo legale accedente all'alienazione d'azienda (ex art. 2557 c.c.) ovvero al suo affitto (ex art. 2562 c.c.), ipotizzarne "a priori" la sua contrarietà a norme imperative in caso di contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici, il che, in caso di impresa attiva esclusivamente o in via prevalente nel settore dei contratti pubblici, imporrebbe, di fatto, la sua disapplicazione.

Cass. civ. n. 988/2004

Esiste violazione del patto di non concorrenza disciplinato dall'art. 2596 c.c. quando l'obbligato intraprenda un'attività economica nell'ambito dello stesso mercato in cui opera l'imprenditore, che sia idonea a rivolgersi alla clientela immediata di questi, offrendo servizi che, pur non identici, siano parimenti idonei a soddisfare l'esigenza sottesa alla domanda che la clientela chiede di soddisfare. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C: ha ritenuto che avesse violato il patto di non concorrenza il soggetto che, già amministratore di una società di ristorazione, aveva assunto analoga carica societaria in una società di commercializzazione di buoni pasto).

Cass. civ. n. 1238/2000

Nel contratto di somministrazione, alla clausola di esclusiva, di cui all'art. 1567 c.c., che non assuma una posizione prevalente nell'economia del contratto stesso, sino a staccarsi casualmente da esso e da far emergere un'autonoma funzione regolatrice della concorrenza, non si applica la disposizione dell'art. 2596 c.c., in tema di durata massima del patto di non concorrenza e, pertanto, va escluso che essa sia valida solo per cinque anni se pattuita per un periodo superiore. D'altra parte, se la clausola di esclusiva svolge una funzione autonoma di limitazione della concorrenza, non v'è evidentemente ragione perché i limiti temporali della sua validità, posti dall'art. 2596 c.c., si riflettano sulla durata del contratto di somministrazione; ove, invece, tale autonomia sia esclusa, alla intervenuta proroga tacita del contratto non può non essere ricollegata, in difetto di una diversa volontà delle parti, la proroga dell'efficacia della clausola di esclusiva per l'intera durata del contratto stesso.

Cass. civ. n. 8251/1995

Il contratto, con il quale due società italiane, operanti nel territorio nazionale quali concessionarie per la vendita di autoveicoli della stessa fabbrica, fissino un reciproco divieto di negoziare con clienti non residenti nelle rispettive zone, non è affetto da invalidità, nella disciplina previgente a quella introdotta in via innovativa dall'art. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287, sotto il profilo di contrasto con i regolamenti CEE n. 83 e n. 123 del 1985, atteso che questi, dando attuazione all'art. 85 del Trattato, si occupano esclusivamente della disciplina della concorrenza nel mercato comune, cioè nei rapporti fra imprese presenti in Paesi diversi.

Cass. civ. n. 6976/1995

Nel patto di non concorrenza contenuto in un contratto di agenzia, i limiti di luogo, previsti dall'art. 2596 c.c. quali presupposti di validità del patto di non concorrenza in generale, in alternativa con il limite relativo all'attività, possono essere estesi a tutto il territorio nazionale qualora l'attività del preponente sia di rilievo nazionale, mentre la diversa disciplina contenuta nel decreto legislativo 10 settembre 1991. n. 303, di attuazione della direttiva comunitaria n. 653 del 18 dicembre 1986, trova applicazione anche ai contratti in corso alla data della sua entrata in vigore (e cioè conclusi entro il 5 ottobre 1991) ma solo a far tempo dal 1 gennaio 1994, secondo quanto disposto dall'art. 6 dello stesso decreto.

Cass. civ. n. 5024/1994

Il patto tra produttore e rivenditore con il quale è fatto divieto a quest'ultimo di vendere i prodotti ad un prezzo inferiore a quello prefissato (cosiddetto clausola del ricarico minimo o del minimo prezzo di rivendita) non può ricondursi nell'ambito della normativa sulla restrizione convenzionale della concorrenza, operando la normativa di cui all'art. 2596 c.c. di norma tra soggetti che svolgono attività economiche contrapposte sullo stesso piano in senso orizzontale, mentre tra fabbricante e rivenditore può sorgere un rapporto di concorrenza solo in via mediata ed indiretta, poiché i due operatori economici non sono sullo stesso piano.

Cass. civ. n. 6707/1992

La norma di cui al capoverso dell'art. 2596 c.c., secondo cui se la durata del patto di non concorrenza non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio, fissa soltanto un termine oltre il quale i patti diretti a contenere la libertà di iniziativa economica tra imprenditori concorrenti perdono, per forza imperativa di legge, la loro validità, ma non implica che il vincolo, ove sia previsto in correlazione con uno specifico regime contrattuale che abbia, in virtù dell'originaria pattuizione e per sopraggiunta legittima riduzione, durata inferiore a cinque anni, debba rapportarsi al predetto termine massimo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2596 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. F. chiede
lunedì 29/01/2024
“Salve, sono un autonomo nel 2022 ho firmato una accordo di collaborazione con una società Siciliana, l'accordo con scadenza 15 febbraio 2023 prevedeva un patto di non concorrenza di tre mesi quindi fino al 15 maggio 2023, io nel mese di marzo 2023 acquistavo il 15% di quote di una società nello stesso mercato di riferimento della società con cui ho collaborato.
La società mi ha richiamato a giudizio per aver violato il patto di non concorrenza, che riportava la dicitura come di seguito:

Il collaboratore si obbliga per tutta la durata del contratto e per i successivi 3 mesi a non svolgere l'attività di sviluppo e vendita per conto di altre società operanti nello stesso settore o nel settore concorrente con la medesima società. La violazione del suddetto obbligo sarà considerato grave inadempimento e comporterà la risoluzione immediata del presente contratto con relativa sospensione immediata dei compensi, salvo il diritto di risarcimento del danno eventualmente subito dalla società.

Vi allego l'intero contratto successivamente.”
Consulenza legale i 19/02/2024
I limiti contrattuali alla concorrenza per lavoratori autonomi sono disciplinati dall’art. 2596 del c.c., il quale impone per i patti di non concorrenza la forma scritta ad probationem (ai fini di prova).
Al contempo, sono considerati validi solo se limitati ad una determinata zona o ad una determinata attività e purché non eccedano la durata quinquennale.

Esiste violazione del patto di non concorrenza disciplinato dall'art. 2596 quando l'obbligato intraprenda un'attività economica nell'ambito dello stesso mercato in cui opera l'imprenditore, che sia idonea a rivolgersi alla clientela immediata di questi, offrendo servizi che, pur non identici, siano parimenti idonei a soddisfare l'esigenza sottesa alla domanda che la clientela chiede di soddisfare.
In casi di svolgimento di attività in concorrenza tramite imprese societarie, tale violazione si è ritenuta sussistente, altresì, in capo a soggetti che all’interno delle stesse assumono cariche direttive (ad esempio, in applicazione principio di diritto sopra enunciato, la Suprema Corte ha ritenuto che avesse violato il patto di non concorrenza il soggetto che, già amministratore di una società di ristorazione, aveva assunto analoga carica societaria in una società di commercializzazione di buoni pasto) (Cass. n. 988/2004).
Tanto premesso, in linea generale sembra potersi ritenere sussistente nel caso di specie una violazione del patto di non concorrenza.

A questo punto vanno, tuttavia, analizzati ulteriori aspetti della vicenda.

Il patto di non concorrenza contenuto nell’accordo tra le parti è stato stipulato nel rispetto delle prescrizioni legislative descritte, salvo la limitazione territoriale, che non è specificata.
In altri termini, il patto di non concorrenza di cui all’accordo non è circoscritto ad una determinata zona; se anche si intendesse con questo circoscriverlo alla zona di cui all’art. 2 dell’accordo, avrebbe dovuto essere specificato.
Ciò rende invalida la relativa pattuizione contrattuale.

In secondo luogo, si devono tenere in considerazioni tutti gli aspetti di merito inerenti all’effettivo attività svolta dalla nuova società.
Va valutato, infatti, se l’attività della società di cui si è acquisita una partecipazione, al di là del settore di riferimento, si rivolge alla medesima clientela immediata.
Si consiglia, pertanto, di rivolgersi ad un legale di fiducia per la costituzione in giudizio e la valutazione in concreto di tutti gli aspetti ivi prospettati.

M. M. chiede
martedì 14/11/2023
“Buongiorno, sono un libero professionista che collabora da diversi anni con una società di consulenza che opera a livello nazionale. La collaborazione è regolata da un contratto stipulato da entrambe le parti nella forma della scrittura privata, che definisce tutti gli aspetti della collaborazione in essere. La scadenza dell'attuale contratto stipulato è fissata al 31.12.2023.

Nel contratto è sancito:
"8. il Consulente si impegna a non svolgere, anche indirettamente, attività a favore di Clienti, Aziende e/o Enti con
cui è venuto in contatto tramite l’Affidante, per tutto il periodo di validità del presente accordo, nonché per i
dodici mesi successivi al termine o alla risoluzione dello stesso;"

Inoltre


"13. la violazione delle clausole di cui ai numeri 6, 7 e 8 comporterà l’automatica risoluzione del presente contratto
e genererà a carico del Consulente l’obbligo di versare a titolo di penale, una somma pari a dieci volte il
compenso previsto per la commessa assegnata, salvo maggior danno;"

Non ho intensione di rinnovare il contratto per il futuro, lasciandolo scadere al 31.12.2023. La mia richiesta di consulenza riguarda due ambiti:
a) la previsione del "patto di non concorrenza" (art. 2125 CC) per i successivi 12 mesi dal termine del contratto, è valida senza la definizione di un corrispettivo da versare al sottoscritto, al termine naturale del contratto (31.12.2023)?
b) la penale di cui all'art. 13, "pari a dieci volte il compenso previsto per la commessa assegnata, salvo maggior danno;" è adeguata oppure vessatoria? La giurisprudenza, in termini di equo indennizzo per la violazione del "divieto di non concorrenza" (art. 2105 CC) occorso durante la vigenza del contratto stipulato, ha definito a quanto normalmente deve ammontare?

Grazie, resto in attesa di gentile riscontro e saluto cordialmente.

Consulenza legale i 19/11/2023
Se il soggetto destinatario del patto di non concorrenza non è un lavoratore dipendente, bensì un lavoratore autonomo o un libero professionista, come nel caso di specie, la norma di riferimento non è l’art. 2125 c.c. (che si applica esclusivamente ai lavoratori dipendenti), bensì l’art. 2596 c.c., che così dispone: “Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni”.

Nessun corrispettivo è invece previsto per il lavoratore (a differenza di quanto accade nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2125 c.c.), che potrà eventualmente essere oggetto di trattativa tra le parti.

Pertanto, per rispondere al primo quesito, il patto di non concorrenza per i successivi 12 mesi dal termine del contratto, senza la definizione di un corrispettivo, è valido.

È, invece, nullo, in quanto contrario agli artt. 4 e 35 Cost sul diritto al lavoro e la tutela del lavoro, nonché all’art. 41 Cost, il patto di non concorrenza diretto a precludere in assoluto ad una parte di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento. Non sembra che tale ipotesi ricorra nel caso di specie.

Per quanto riguarda la presunta eccessiva onerosità della clausola penale, viene in rilievo l’art. 1384 c.c. secondo il quale “la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”.

La penale potrà, quindi, essere ridotta dal giudice nel caso in cui sia manifestamente iniqua.

Il giudice nel valutare l’esagerazione della penale deve avere riguardo al contratto in cui è inserita e non alla condizione economica delle parti.

L’esagerazione della penale deve emergere chiaramente dal raffronto tra l’interesse all’esecuzione e l’ammontare della penale.

Nella situazione concreta, per esempio, si dovrebbe confrontare il margine di guadagno che avrebbe avuto il committente se il libero professionista avesse rispettato il patto di non concorrenza.

Secondo la Cassazione, infatti, “il giudice, nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, è tenuto ad effettuare una valutazione comparativa tra: il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente, da un lato; e, dall'altro, il margine di guadagno che il contraente adempiente legittimamente si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto” (Cass. civ. sez. III, ordinanza n. 20840 del 21 agosto 2018).
In tema di clausola penale, il criterio che il giudice deve utilizzare per valutarne l'eccessività, a norma dell'art. 1384 c.c., ha natura oggettiva, dovendosi tener conto non della situazione economica del debitore e del riflesso che la penale possa avere sul suo patrimonio, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti, avendo il riferimento all'interesse del creditore la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia, o meno, manifestamente eccessiva, e dovendo la difficoltà del debitore riguardare l'esecuzione stessa della prestazione risarcitoria (ove, ad esempio, venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità), senza che occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l'ammontare”(Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 7180 del 10 maggio 2012).

Non è possibile fare in questa sede una valutazione dell’eccessiva onerosità della penale.


Anonimo chiede
martedì 28/12/2021 - Lombardia
“Buongiorno, sono a sottoporre una questione afferente la sottoscrizione di un patto di non concorrenza, ex art. 2596 c.c.. Sono un medico del lavoro e opero in regime di libera professione per una importante società della grande distribuzione da oramai 10 anni circa, attraverso l'espletamento di tutte le attività di sorveglianza sanitaria attribuite al Medico Competente dalla normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro, che mi impegnano per quasi tutta la settimana lavorativa e che sono la mia più importante e quasi unica fonte reddituale. Tale attività libero professionale non è diretta ma svolta per il tramite di una società di servizi con la quale ho stipulato un contratto di collaborazione e contestualmente una clausola di non concorrenza che recita testualmente: "Per il periodo di vigenza del presente contratto e per i due anni successivi alla cessazione dello stesso per qualsiasi causa o motivo, la dott.ssa XXXX si impegna a non svolgere, direttamente o indirettamente, qualsivoglia attività lavorativa in materia di medicina del lavoro, di sorveglianza sanitaria, di tutela della salute e di sicurezza del lavoro, di formazione nei riguardi delle ditte clienti con le quali la dott.ssa XXXX ha avuto rapporti professionali per conto della società di servizi XXX". Ebbene il cliente in questione, per il quale ho prestato la mia opera, qualche mese fa ha deciso di cambiare fornitore e di assegnare l'incarico a uno nuovo fornitore attraverso un bando di concorso perso dalla società di servizi con la quale ho sottoscritto il citato contratto e patto di non concorrenza (che ho tra l'altro disdetto nei giorni scorsi) e vinto da altra società che, a bando concluso e appunto vinto, mi ha contattata, su espressa volontà del cliente perché molto soddisfatto del mio operato decennale, per chiedermi e offrirmi un nuovo contratto per proseguire la mia attività di Medicina del Lavoro e garantire continuità di servizio. Preciso che la nuova società di servizi sarebbe disposta a sottoscrivere una scrittura privata con la quale si impegna a sostenere eventuali spese legali e/o risarcimento danni derivante dal sottoscritto patto di non concorrenza.

Ciò posto, sono a chiedere se sulla base del citato patto di non concorrenza, sono in condizione di poter continuare la mia attività professionale per il cliente intermediato dalla società assegnataria del nuovo bando di servizi?
Rischio di dover riconoscere alla vecchia società eventuali danni?

Cordiali saluti, grazie.”
Consulenza legale i 12/01/2022
La continuazione dell’attività professionale per il cliente tramite la nuova società assegnataria del nuovo bando di servizi si pone certamente in violazione del patto di non concorrenza a suo tempo sottoscritto con la precedente committente.

Il patto di non concorrenza sottoscritto, peraltro, sembra rispettare tutti i requisiti di validità previsti dall’art. 2596. Infatti, è stato stipulato in forma scritta, non eccede la durata massima di 5 anni ed è circoscritto a determinate attività, ovvero “qualsivoglia attività lavorativa in materia di medicina del lavoro, di sorveglianza sanitaria, di tutela della salute e di sicurezza del lavoro, di formazione”.
In particolare, per quanto riguarda tale ultimo aspetto, non si potrebbe neppure eccepire che il patto limiti eccessivamente l’esplicazione della professionalità del collaboratore, in quanto il divieto è ulteriormente limitato alle ditte clienti della società di servizi.

Non vi sono, pertanto, margini per invocare la nullità dello stesso.

In caso di violazione del patto di non concorrenza, è solitamente prevista una clausola penale e, in ogni caso, è previsto il diritto al risarcimento del danno, che tuttavia si deve provare di avere subito a seguito della violazione.

La società di servizi per la quale si collaborava potrebbe agire in giudizio da un lato chiedendo al giudice il risarcimento dei danni subiti (oltre al pagamento dell’eventuale penale, se prevista), dall’altro potrebbe attivare una procedura cautelare affinchè il giudice ordini di cessare l’attività concorrenziale.



Giulio chiede
martedì 08/03/2011 - Lazio

Salve, vi scrivo a seguito della proposta fattami dal mio futuro datore di lavoro: egli mi sta insegnando un lavoro di tipo manuale (car wrapping - applicazione pellicole su auto) per il quale sarò subordinato a lui (quindi, penso si tratti di una equiparazione al ruolo di operaio). Egli mi ha posto la condizione, per essere assunto, di sottoscrivere un patto in cui mi impegno a non esercitare tale professione per 4 anni una volta cessato il rapporto di lavoro; mi è stato detto di fare riferimento all'art 2125 del cc, in cui ho visto che anche i non dirigenti possono essere sottoposti a tale patto. Ora mi chiedo: nel mio caso il patto risulterebbe nullo:

1-per me che sarò operaio, se viene imposta una durata superiore a 3 anni?

2-se non è riportato il corrispettivo spettante a mio favore?

3-se non è riportato l'oggetto, il luogo o il tempo? E in che casi non sarebbe valido?

Vi ringrazio anticipatamente e vi porgo i miei più cordiali saluti”

Consulenza legale i 08/03/2011

Il patto accessorio di non concorrenza implicante la limitazione dell'attività lavorativa dopo la cessazione del rapporto di lavoro subordinato è regolato dall'art. 2125 del c.c., mentre ai lavoratori autonomi si applica l'art. 2596 del c.c.. Per il caso specifico le condizioni di validità si ricavano dal disposto dell'art. 2125 del c.c.: il patto deve rivestire la forma scritta ad substantiam, cioè a pena di nullità ex art. 1350 del c.c. n. 13, e deve prevedere un corrispettivo predeterminato nel suo ammontare, che sia congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore; conseguentemente, viola detta norma la previsione del pagamento di un corrispettivo durante il rapporto di lavoro, in quanto la stessa, da un lato, introduce una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un elemento di aleatorietà e, dall'altro, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore anziché quella di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto. Deve inoltre, ritenersi nullo se la sua ampiezza sia tale, in ragione del tipo di attività vietata e della sua estensione territoriale, da comportare una drastica limitazione della libertà della capacità lavorativa e professionale del lavoratore tenuto conto della specifica professionalità da questi acquisita.
Oggetto, tempo e luogo costituiscono, ciascuna, condictio sine qua non per la validità del patto.
Per quanto riguarda il limite temporale, non trattandosi nel caso di specie, di mansioni riconducibili all’attività dirigenziale, la durata massima è di tre anni, sempre ai sensi di quanto disposto dall'art. 2125 c.c..


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