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Articolo 2557 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Divieto di concorrenza

Dispositivo dell'art. 2557 Codice Civile

Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta.

Il patto di astenersi dalla concorrenza [2125, 2573] in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento [2596].

Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento [1339].

Nel caso di usufrutto [978] o di affitto 1615] dell'azienda [2561, 2562] il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto.

Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela [2135].

Ratio Legis

La ratio del divieto di concorrenza, ancorchè si tratti di divieto derogabile dai contraenti, è quella di salvaguardare il concreto assetto d'interessi perseguito dalle parti mediante il negozio di trasferimento dell'azienda.

Spiegazione dell'art. 2557 Codice Civile

Il contratto di cessione di azienda oltre a produrre il trasferimento di questa comporta anche per il cedente l'assunzione dell'ulteriore obbligazione di non tenere in concreto comportamenti che vanifichino la ragione pratica della operata cessione, la cui durata va oltre il momento del trasferimento protraendosi per il tempo previsto dall'art. 2557. L'illecito consistente nella violazione di tale obbligo ha natura contrattuale, attiene alla causa del contratto e quindi al suo esatto adempimento, ed incide su diritti di natura dispositiva e transigibile, onde la controversia relativa alla suddetta violazione ben può essere deferita ad arbitri (Cass. n. 9251/1997). Il divieto quinquennale di concorrenza stabilito dalla norma per l'ipotesi di alienazione di azienda non riveste carattere di specialità o eccezionalità, poiché il legislatore, con la norma in parola, non ha inteso sancire una espressa deroga al generale principio della libera concorrenza, ma disciplinare nel modo più congruo la portata di quegli stessi effetti esplicitati dalle parti (o da presumersi connaturati) con il negozio di cessione posto in essere. Non e, pertanto, esclusa l'applicabilità della norma alla ipotesi di cessione non dell'intera azienda ma di sole quote sociali, sempre che, in sede di accertamento giurisdizionale, emerga, dal complesso delle circostanze di fatto oltreché dal contenuto dello stesso negozio di cessione, la funzione concreta e non equivoca di effettiva sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale (Cass. n. 1643/1998).
Le disposizioni concernenti il divieto di concorrenza in caso di trasferimento di azienda, trovano applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione di questa, intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto e, pertanto, anche in favore del proprietario di un'azienda nel caso che l'abbia data in affitto allorché l'azienda gli sia stata ritrasferita dall'affittuario per scadenza del termine finale o per altra causa negozialmente prevista (Cass. n. 13762/1991).

Il divieto si riferisce al momento iniziale, dopo il trasferimento dell'azienda, di nuove attività e non opera dunque con riferimento ad attività dell'alienante preesistente al trasferimento medesimo, ne con riferimento ad atti concorrenziali isolati e occasionali (MARTORANO). Il divieto riguarda non solo la produzione degli stessi beni prodotti dall'azienda ceduta, ma anche la produzione di beni succedanei, purché idonei a sviare la clientela (MARTORANO). È stato anche affermato che il divieto si estende anche all'ipotesi in cui l'alienante assuma l'amministrazione o la rappresentanza di un'impresa altrui (CAMPOBASSO). Il divieto e ritenuto applicabile, in caso di vendita dell'azienda da parte del curatore del fallimento, al fallito dopo la chiusura del fallimento (COLOMBO).

Il divieto ha un'efficacia estesa agli eredi dell'alienante (Cass. n. 1957/2014).
Sul punto, si e tuttavia precisato che il divieto a carico di costoro sussiste esclusivamente nell'ipotesi in cui essi, per aver collaborato con l'alienante deceduto, siano in condizione di svolgere una concorrenza differenziale, cioè potenzialmente più pericolosa di quella che l'acquirente dell'azienda può subire dei terzi estranei all'azienda acquistata (COLOMBO).

Massime relative all'art. 2557 Codice Civile

Cass. civ. n. 18692/2015

La richiesta di pubblicazione della sentenza che accerti gli atti concorrenziali in violazione dell'obbligo di non concorrenza derivante dalla cessione di azienda è riconducibile all'art. 2557 c.c. e non all'art. 2600 c.c., sicché il relativo provvedimento integra una forma di riparazione del pregiudizio subito dall'imprenditore - che, al pari del risarcimento, richiede la prova della diminuzione patrimoniale o del mancato guadagno cagionati dalla violazione del divieto - e non una sanzione autonoma, volta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto leso, rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, nonché indipendente dalla prova di un danno attuale.

Cass. civ. n. 14471/2014

In tema di divieto di concorrenza, l'art. 2557 cod. civ. non ha natura eccezionale poiché non è diretto a derogare al principio di libera concorrenza, ma solo a disciplinare, nel modo più congruo, la portata degli effetti connaturali al rapporto contrattuale intercorso tra le parti, sicché ne è consentita l'estensione analogica all'ipotesi del cedente l'azienda che abbia poi intrapreso un'attività commerciale concorrente avvalendosi della partecipazione in un'impresa familiare per dissimulare la propria posizione. (Omissis).

Cass. civ. n. 10062/2008

In tema di cessione d'azienda, il divieto di concorrenza, posto a carico dell'alienante dall'art. 2557, primo comma, c.c., non persegue un interesse pubblico, trattandosi di una norma di natura dispositiva che, prima dell'entrata in vigore della legge 12 agosto 1993, n. 310, con la quale è stato imposto l'obbligo della forma scritta ad probationem ai contratti di trasferimento della proprietà o del godimento dell'azienda, poteva essere derogata anche mediante un patto tacito, desumibile per facta concludentia dalla condotta delle parti.

Cass. civ. n. 9682/2000

In tema di divieto di concorrenza, la disposizione contenuta nell'art. 2557 c.c., la quale stabilisce che chi aliena l'azienda deve astenersi, per un periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta, non ha il carattere dell'eccezionalità, in quanto essa non deroga ad un principio di libertà, esprimendo, al contrario, un principio generale di libertà giuridica. Pertanto, non è esclusa l'applicabilità in via analogica del citato art. 2557 c.c. all'ipotesi di cessione di quote di partecipazione societaria, ove detto trasferimento realizzi il presupposto di un pericolo concorrenziale analogo a quello conseguente alla cessione di azienda vera e propria, in quanto attraverso la forma della cessione di quote si pervenga, in realtà, a cedere una precipua attività di impresa. Spetta al giudice di merito di accertare, caso per caso, se il predetto pericolo concorrenziale si sia realizzato anche nel caso di cessione di quote di partecipazione.

Cass. civ. n. 1311/1996

Poiché, secondo quanto risulta dal disposto dell'art. 2557 primo comma c.c., la violazione del divieto di concorrenza non richiede un danno effettivo o una effettiva concorrenza, essendo sufficiente un danno potenziale per conseguire la risoluzione del contratto o l'inibitoria, l'accertamento di tale violazione non è correlato necessariamente alla verificazione concreta del danno, il quale, comunque, se accertato, dà luogo alla condanna al risarcimento dell'autore di esso.

Cass. civ. n. 10105/1995

In tema di affitto di azienda, il mero fatto che l'affittuario dopo la scadenza del contratto non abbia restituito l'azienda al locatore, ed abbia continuato egli stesso a gestirla, può determinare l'insorgere di responsabilità dell'affittuario per violazione dello specifico obbligo di restituzione, ma non comporta violazione del divieto di concorrenza stabilito dal penultimo comma dell'art. 2557 c.c. (estensivamente interpretato nel senso che il divieto di concorrenza, oltre che a carico del locatore dell'azienda, sussiste anche a carico dell'affittuario dopo la scadenza del contratto di affitto), essendo tale ultima violazione configurabile solo dopo l'avvenuta restituzione dell'azienda al locatore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2557 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. O. chiede
martedì 27/12/2022 - Toscana
“Trattasi di contenzioso tra due soci ed amministratori al 50% di una SRLS (esercente attività di ristorazione), priva di patti parasociali o accordi-quadro, con rappresentanza della società in forma disgiunta per ordinaria amministrazione (che comunque determinino obbligazioni non superiore ad €. 1.500,00) ed in forma congiunta per il resto. Il socio A ha deciso di voler uscire dalla compagine sociale. Sono in corso trattative per la cessione della quota sociale di A (50%), ma siamo "fermi" sul divieto di concorrenza, anche in considerazione che il valore attribuito alla quota è rappresentato dall'"avviamento commerciale". Nell'ipotesi in cui a breve non si raggiunga un accordo soddisfacente per entrambi, il socio B può continuare nella gestione ordinaria dell'azienda, con l'intento di mantenere la continuità aziendale della società, pur con i limiti di rappresentanza posti dall'atto costitutivo? Quali altre soluzioni ci sono per evitare lo scioglimento della società.”
Consulenza legale i 29/12/2022
La disciplina delle società di capitali non prevede un generale obbligo di non concorrenza in capo al socio uscente, così come invece previsto per la società in nome collettivo.
Il divieto, pertanto, dovrebbe trovare la propria fonte in specifici accordi tra i soci, risultanti dallo Statuto ovvero dall’atto stesso di cessione della partecipazione sociale, salvo che l’alienazione della partecipazione non configuri un’ipotesi di cessione d’azienda, con possibilità di applicazione, in via analogica, della disciplina di cui all’art. 2557 del c.c. a mente del quale “chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta” (Trib. Bologna, n. 172/2019).

Più precisamente, la disposizione citata si applicherebbe al socio cedente soltanto nell’eventualità in cui la quota di partecipazione sociale ceduta consentisse il controllo della società stessa; in questo caso, infatti, si otterrebbe un risultato sostanzialmente analogo all'alienazione d'azienda, con il conseguente e fondato pericolo, per il cessionario, che l'eventuale concorrenza dell'ex socio, pur se leale, si riveli eccessivamente gravosa.
Tale impostazione potrebbe, in astratto, applicarsi anche al caso di specie, posto che la cessione della quota sociale così come qualificata consentirebbe il controllo sostanziale della società; infatti, l’amministrazione disgiunta per i soli atti, pur se di ordinaria amministrazione, che determinano obbligazioni non superiori a € 1.500,00 comporta, in definitiva, un’amministrazione congiunta e, di conseguenza, un sostanziale controllo della società in capo al detentore della partecipazione sociale.

Tanto premesso, nell’eventualità in cui si intenda perseguire una soluzione stragiudiziale e se l’accordo non dovesse raggiungersi in tempi brevi, il socio B potrà comunque proseguire la gestione ordinaria della società, sempre all’interno dei limiti delineati dall’atto costitutivo, cioè ponendo in essere atti che non determinino il sorgere di obbligazioni superiori a € 1.500,00.
Per tutto il resto sarà necessario l’accordo con il socio uscente.

In caso contrario, per evitare lo scioglimento, a cui inevitabilmente la situazione esposta condurrebbe, l’unica soluzione perseguibile consiste nel verificare se sussistono ragioni per escludere il socio A.
Un socio di una s.r.l., infatti, può essere escluso ai sensi dell’art. 2466 del c.c. per mancata esecuzione dei conferimenti nel termine prescritto, ovvero ai sensi dell’2473biscc se sussiste una giusta causa di esclusione tra le ipotesi specifiche previste dall’atto costitutivo.
In caso contrario, non potrà procedersi all’esclusione e, salvo che non si raggiunga un accordo per la cessione della quota, ovvero che il socio B non decida lui stesso di recedere dalla società (sempre che il socio A non abbia già formalizzato il recesso e che ricorrano le condizioni di cui all’2473cc), lo scioglimento rappresenta l’unica via percorribile per interrompere la collaborazione tra i soci.

Francesco B. chiede
martedì 20/04/2021 - Veneto
“Buongiorno,
vorrei esporre il seguente caso.
Ad una dipendente di una pizzeria al taglio sita nel Comune di Zevio (VR), comune di 15.000 abitanti con superficie di 54,87 km² (dipendente da più di 15 anni di quella ditta e da 10 la gestisce in completa autonomia poiché il titolare gestisce altra attività) viene offerta la possibilità di prendere in gestione l'attività in affitto d'azienda. Il contratto d'affitto non prevede alcun patto di non concorrenza e la ditta viene gestita con il nome dato dalla nuova ditta, agli occhi dei clienti nulla cambia perché da sempre individuano lei come la titolare.
Dopo due anni dà disdetta perché l'affitto d'azienda in quei locali e con quelle attrezzature non è più conveniente. Finito il preavviso comprerà una nuova azienda sempre nel settore della pizza al taglio sita a 2 km di distanza dalla precedente e in una frazione del Comune di Zevio, usando il nome già usato in precedenza di sua proprietà. La nuova attività potrebbe essere soggetta al divieto di non concorrenza art. 2557?”
Consulenza legale i 22/04/2021
La ratio dell'art. 2557 c.c. deve essere individuata nell'evitare che il soggetto che acquista un'azienda possa patire un danno dall'esercizio di una attività concorrenziale da parte del venditore, il quale, essendo a conoscenza di informazioni rilevanti dell’azienda ceduta, potrebbe essere in grado di sviare agevolmente la clientela dell’azienda ceduta.

La Suprema Corte ha interpretato il divieto di concorrenza in oggetto estensivamente, evidenziando come le disposizioni dell'art. 2557 c.c. trovino applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di vendita dell’azienda, ma anche ove si verifichi comunque la sostituzione di un imprenditore ad un altro nell'esercizio dell'impresa.

Pertanto, tale divieto opera anche in favore del proprietario di un'azienda, ove quest’ultimo l'abbia concessa in affitto, a partire dal momento in cui l'azienda viene restituita dall'affittuario per qualunque ragione (compresa, come nel caso di specie, la disdetta prima della scadenza del termine previsto in contratto).

In tal senso, la Suprema Corte: “l'ermeneusi della norma dell'art. 2557 cod. civ., relativa al divieto di concorrenza, nel cui primo comma l'espressione "chi aliena" sta ad indicare la dismissione dell'azienda, la cui titolarità viene trasferita ad altro imprenditore, non sussistendo ragioni che possano giustificare la limitazione suggerita da non attenta lettura del testo nella sua formulazione lessicale.
Invero, la previsione del quarto comma dell'art. 2557, lungi dall'individuare, in via esclusiva, soggetti (usufruttuario e affittuario) a vantaggio dei quali il divieto di concorrenza sarebbe posto, ha una diversa valenza e una propria ragion d'essere, che confermano l'esattezza dell'interpretazione estensiva. La norma, in presenza di situazioni caratterizzate dalla titolarità temporanea (e correlata alla proprietà di altro soggetto) dell'azienda, tende soltanto a determinare la durata del divieto di concorrenza, in considerazione e relazione ai particolari rapporti esistenti tra le parti; ma in tal modo rende palese che il divieto in parola spiega la sua operatività anche quando il trasferimento non comporti vera e propria "alienazione".
Sarebbe, quindi, in contrasto con l'effettiva portata precettiva del primo comma dell'articolo in esame, oltre che incoerente e discriminatorio, un trattamento deteriore del proprietario (di totale privazione della tutela di cui all'art. 2557) nell'occasione del ritrasferimento del compendio aziendale (Corte di Cassazione, sentenza n. 13762/1991).

Per tali ragioni, l’apertura dell’azienda da parte dell’affittuario in zona limitrofa a quella dove opera l’azienda oggetto dell’affitto potrebbe comportate la violazione dell’art. 2557 c.c. con conseguente emersione di profili risarcitori a carico dell’affittuario.

Francesco B. chiede
mercoledì 31/03/2021 - Veneto
“L'affittuario nel contratto d'affitto d'azienda che recede dal medesimo contratto e poi acquista un'azienda che fa la medesima attività ma in una frazione diversa del Comune della precedente attività è soggetto al divieto di concorrenza art. 2557? Se sì come è quantificabile il danno derivante dal divieto?”
Consulenza legale i 07/04/2021
Il divieto di concorrenza di cui all’art. 2557 del c.c. si concretizza nell’obbligo, in capo al proprietario, di astenersi dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.
La norma è diretta a tutelare l’af­fit­tuario da iniziative del cedente volte a sottrarre la clientela dell’azienda affittata, quali, a titolo esemplificativo, l’inizio di una nuova attività d’impresa nello stesso settore e nella stessa zona del­l’azienda affittata.

Per giurisprudenza ampiamente maggioritaria e pressoché costante, le disposizioni riguardanti il divieto di concorrenza in caso di trasferimento di azienda, si applicano non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto e, pertanto, anche in favore del proprietario di un'azienda nel caso che l'abbia data in affitto allorché l'azienda gli sia stata ritrasferita dall'affittuario per scadenza del termine finale o per altra causa negozialmente prevista (ad esempio il recesso) (Cass. civ., n. 13762/1991).

Per quanto riguarda l’ambito territoriale del divieto, l'apertura di una nuova attività in una frazione diversa del medesimo comune non determina necessariamente una violazione del divieto, in quanto il nostro ordinamento, in linea di principio, salva e tutela il principio della libera concorrenza.
Dovranno, a tal proposito, essere valutate le peculiarità della fattispecie.

Il fulcro della disposizione e della tutela che essa stessa intende garantire, infatti, è proprio la possibilità di sviamento della clientela.
L’idoneità allo sviamento della clientela è valutata in senso oggettivo e prescinde da qualsiasi riferimento alla volontà elusiva dell'alienante (nel caso di specie dell’affittuario receduto).
Ciò significa, inoltre, che è vietata anche l'attività solo potenzialmente dannosa, non solo quella concretamente dannosa.
La violazione del divieto di concorrenza, infatti, non implica il prodursi di un danno effettivo o una effettiva concorrenza, ma è sufficiente un danno potenziale per ottenere un apposito provvedimento dall’autorità giudiziaria.
Il soggetto che lamenta la violazione del divieto di concorrenza può, infatti, ricorrere all'autorità giudiziaria e chiedere un provvedimento urgente con il quale venga disposta la sospensione dell'attività concorrente vietata, fatta in ogni caso salva l'azione per il risarcimento del danno subito.
Il danno può consistere, a titolo esemplificativo, in una diminuzione del valore dell’azienda, nei minori introiti dovuti allo sviamento di parte della clientela, nelle perdite patrimoniali in genere scaturenti dallo sviamento della clientela a causa della violazione del divieto di concorrenza.

Fatte tali considerazioni, per valutare l’aspetto della territorialità del divieto di concorrenza nel caso esposto si dovrà valutare se effettivamente la nuova attività è potenzialmente in grado di sviare la clientela dalla azienda precedentemente affittata.
In ogni caso, salvo il caso di un’attività con una raggio di clientela e di azione particolarmente limitato e/o di un comune particolarmente esteso, con tutta probabilità, considerando la prossimità della nuova azienda alla vecchia, sembra verosimile una violazione del divieto di concorrenza da parte del precedente affittuario.
Il proprietario dell'azienda precedentemente affittata potrà agire per ottenere un provvedimento urgente che inibisca l'esercizio dell'attività da parte dell'ex affittuario, dimostrando la sussistenza di un danno potenziale alla propria impresa dovuta all'idoneità a sviare la propria clientela; in seguito, nel caso in cui dovesse riscontrare un danno effettivo, potrà agire per il suo integrale risarcimento.


Franco C. chiede
mercoledì 21/10/2020 - Sardegna
“Il conduttore di un’azienda, una volta concluso il contratto di affitto e restituita l’azienda al proprietario deve rispettare il divieto di concorrenza per cinque anni?”
Consulenza legale i 26/10/2020
Il nostro ordinamento, all'articolo 2557 del c.c., comma 1, impone un divieto di concorrenza in capo all'alienante di un'azienda per la durata di 5 anni; al comma 4, stabilisce il divieto di concorrenza incombente sul proprietario di un'azienda affittata e a favore del conduttore per tutta la durata dell'affitto.
Nulla è esplicitamente disposto il relazione alla circostanza opposta, quella di cui al quesito.
A tal proposito, tuttavia, la giurisprudenza è ormai consolidata nell'estendere l'applicazione del divieto di concorrenza anche all'ipotesi di retrocessione dell'azienda al termine del contratto di affitto.
La Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che le disposizioni dell'art. 2557 c.c., concernenti il divieto di concorrenza in caso di trasferimento di azienda, trovano applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione di questa, intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto e, pertanto, anche in favore del proprietario di un'azienda nel caso che l'abbia data in affitto allorché l'azienda gli sia stata ritrasferita dall'affittuario per scadenza del termine finale o per altra causa negozialmente prevista (Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 13762 del 20.12.1991).
E poiché la restituzione ha carattere definitivo, non opera il principio di cui al comma 4 di coestensione del divieto di concorrenza alla durata del rapporto.
Alla luce di ciò, si può affermare che il conduttore di un'azienda, una volta concluso il contratto di affitto, debba rispettare il divieto di concorrenza in favore del proprietario per la durata di cinque anni.

Franco Z. chiede
venerdì 03/05/2019 - Puglia
“Buongiorno. Mia moglie ha ceduto la sua attività di bar e chiaramente è stato inserito anche l'articolo 2557 cc "impegnandosi a non aprire altre aziende avente oggetto identico a quello dell'azienda ceduta e ad astenersi da ogni attività idonea a sviare la clientela dell'azienda stessa".
Dopo quattro mesi mia moglie ha iniziato a lavorare come dipendente in un bar aperto da pochi giorni da suo nipote con contratto part-time il bar dista soli 100 mt dal precedente. L'acquirente ci ha fatto notare che stiamo violando questo vincolo. Visto che l'attività ci sarà ancora pagata, Vi scrivo per sapere se siamo effettivamente in torto e se per 5 anni mia moglie non può quindi esercitare il suo lavoro.”
Consulenza legale i 10/05/2019
Chiunque trasferisca la propria azienda è tenuto per legge a un comportamento che preservi il valore di quanto ceduto in capo al cessionario. L’art. 2557 c.c., infatti, vieta all’alienante di un’azienda, per un periodo di 5 anni dal trasferimento, l’inizio di una nuova impresa che sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta in ragione dell’oggetto, dell’ubicazione o di altre circostanze.
Orbene, quando si tratta di trasferimento di azienda, la valutazione di carattere fondamentale effettuata dal acquirente verte sul valore economico attribuito al c.d. avviamento.
Questo consiste nella capacità dell’impresa di attrarre clientela in virtù delle sue caratteristiche oggettive e dell’efficienza della gestione. Pertanto, risulta di particolare rilevanza la tutela dell’acquirente in merito alla conservazione del valore di avviamento dallo stesso pagato in occasione dell’acquisto d’azienda.
La suddetta tutela, però, è contemperata da un principio, contenuto nell’ordinamento giuridico, volto alla mitigazione o prevenzione della eventuale lesione della libertà di iniziativa economica dell’alienante (cedente).
La condotta, sia attiva che omissiva, richiesta al cedente, è desumibile sia dall’art. 2557 c.c., che è la specifica norma applicabile nel caso di trasferimento d'azienda, che da una serie di norme generali contenute negli artt. 2598 - 2600 c.c. che regolano il comportamento tra concorrenti.
In particolare, come abbiamo già detto, il cedente deve astenersi, per un periodo di 5 anni dal trasferimento dell'azienda, dall'iniziare una nuova attività che per oggetto, per ubicazione e altre circostanze possa comportare lo sviamento della clientela dell'azienda ceduta.
Il divieto non verrà applicato se il cedente continui nell'esercizio di un'impresa preesistente all'alienazione o se l'azienda alienata non sia stata ancora esercitata, purché ciò non si traduca di fatto in elusione del divieto.
Il fine delle norme fin qui citate e nel caso di specie dell’art. 2557 c.c., in buona sostanza, è quello di evitare lo sviamento della clientela mediante l’esercizio da parte del cedente, di attività d’impresa concorrente con quella dell’azienda ceduta.

A questo punto, per dirimere la questione oggetto del quesito, è necessario evidenziare che la giurisprudenza prevalente ha affermato che la norma di cui all’art. 2557 c.c. non avendo natura di norma eccezionale, è suscettibile di applicazione analogica. Pertanto, il divieto di concorrenza è stato applicato anche ad altre fattispecie non espressamente previste dalla legge.
Alla luce di quanto fin qui detto, ciò che emerge dai fatti esposti nel quesito è effettivamente di particolare rilevanza in relazione a quanto previsto dall’art. 2557 c.c. Infatti, successivamente (quattro mesi dopo) alla cessione dell’azienda (attività di bar), la cedente ha iniziato a lavorare a pochissima distanza (100 metri) dalla precedente attività, in un altro bar di proprietà di un suo parente (il nipote); tale ultima attività, inoltre, non era nemmeno preesistente alla cessione dell’azienda.
Si osserva che l’attività di bar è caratterizzata dalla attitudine al rapporto personale che è di particolare rilevanza in relazione alla acquisizione e al mantenimento della clientela.
Tutti questi elementi da ultimo evidenziati, potrebbero essere accertati in via giudiziaria quali caratteristici di una condotta elusiva del patto di non concorrenza e, dunque, sanzionabili civilmente.
La cedente ben potrebbe, tuttavia, anche entro i cinque anni dalla cessione d’azienda, esercitare la propria professione di barista in altro luogo maggiormente distante dal luogo di ubicazione della precedente attività, ove la concorrenza e lo sviamento della clientela potrebbe essere sicuramente evitato nel rispetto del patto di non concorrenza sottoscritto, ex art. 2557 c.c..

Anonimo chiede
mercoledì 29/03/2017 - Lombardia
“Buongiorno, il mio compagno ha ceduto la sua attività di bar e chiaramente è stato inserito anche l'articolo 2557 cc "impegnandosi a non aprire altre aziende avente oggetto identico a quello dell'azienda ceduta e ad astenersi da ogni attività idonea a sviare la clientela dell'azienda stessa". Il mio compagno sta lavorando da una settimana presso un altro bar (stesso comune ma diversa zona censuaria) come dipendente e l'acquirente ci ha fatto notare che stiamo violando questo vincolo. Visto che l'attività ci sarà pagata in 18 rate è anche nel nostro interesse non fare alcun tipo di concorrenza. Vi scrivo per sapere se siamo effettivamente in torto e se per 5 anni il mio ragazzo non può quindi esercitare il suo lavoro.

Consulenza legale i 06/04/2017
L’art. 2557 cod. civ. è norma che disciplina il divieto di concorrenza tra imprese, quindi tra imprenditori.

E’ finalizzata ad evitare che il "nome" dell’impresa che aliena l’azienda possa costituire un problema per l’avviamento della nuova impresa: la prima, infatti, è già conosciuta presso la clientela e quindi può avere su quest’ultima una certa capacità di attrazione, oltre a conoscerne bene tendenze ed abitudini; inoltre conosce anche le caratteristiche organizzative dell’impresa ceduta.

L’articolo si riferisce all’inizio di nuove attività da parte del cedente, sia come imprenditore/titolare (o socio) della nuova impresa sia come amministratore o comunque rappresentante dell’impresa altrui.

E’ da escludersi categoricamente che la norma si possa applicare al di fuori dell’attività concorrenziale tra imprese: pertanto, quanto afferma il cessionario dell’azienda di cui al quesito è completamente privo di fondamento giuridico. Infatti, l’attività che il cedente possa svolgere come lavoratore dipendente per un’altra impresa non ha alcuna rilevanza rispetto alla cessione d'azienda e non viola in alcun modo il divieto di concorrenza contrattuale e normativo.

Sicuramente il cedente non ha “aperto” (per richiamare il testo del contratto in oggetto) un'azienda con oggetto identico a quella ceduta; ma neppure sta svolgendo “attività idonea a sviare la clientela dell’azienda stessa”, perché tale ultima espressione va intesa, come già detto sopra, con riferimento ad attività di natura imprenditoriale.

Come potrebbe, in effetti, anche ragionando al di fuori dell’ambito normativo, un lavoratore dipendente fare concorrenza ad un imprenditore? Non dispone, infatti, di una propria organizzazione idonea a “portare via clienti” ad un’altra impresa ed il suo lavoro non ha alcun impatto sulla capacità dell’azienda per cui lavora a sviare clientela altrui.

In definitiva, per tornare al quesito, chi ha ceduto a suo tempo il bar può tranquillamente mantenere la propria occupazione, senza timore di azioni di alcun tipo (se anche il cessionario si rivolgesse ad un legale, quest’ultimo gli spiegherebbe sicuramente che la clausola contrattuale non può farsi valere nel caso in esame).

Fabio R. chiede
lunedì 19/09/2016 - Veneto
“Buongiorno.
Sono socio di minoranza qualificata (40%) di una Srl.
Sono membro del consiglio di amministrazione.
Non ho nessuna delega in consiglio di amministrazione e la carica di amministratore non è retribuita.
Sono anche dipendente a tempo indeterminato della società.

Ultimamente io e il socio di maggioranza abbiamo una visione strategica diversa e quindi sto decidendo di cedere la quota della società al socio di maggioranza e rimanere, forse, solamente come dipendente.
Per accordi nostri non mi verrà riconosciuto alcun avviamento, ma semplicemente mi verrà liquidata la mia quota patrimoniale. Supponiamo che dopo 6 mesi di convivenza io decida di andarmene, che vincoli ho?

Ora so che non posso in virtù dell'articolo 2557 del codice civile iniziare per 5 anni un'attività concorrenziale a quella della società che sto cedendo e non posso nemmeno operare come dirigente e\o amministratore di una società concorrente.
Aggiungo che non ho firmato e non firmerò patti di non concorrenza diversi da quelli previsti dal suddetto articolo 2557. Nessun patto di non concorrenza da dipendente.
Ho però ovviamente, almeno spero, il diritto di sopravvivere e quindi di lavorare. Premetto che non ho intenzione di aprire una nuova società se lascio questa, ma semplicemente di andare a fare il dipendente da altri, potenzialmente anche concorrenti.
Vi chiedo quindi un parere su alcune fattispecie che potrebbero verificarsi:
- non venendomi riconosciuto l'avviamento e cadendo quindi la ratio legis dell'articolo 2557 posso "rischiare" di aprire una nuova società concorrenziale prima del termine? o magari semplicemente aprire una partita iva per operare per conto terzi sul settore? esiste giurisprudenza in merito?
- se decidessi di aprire una società all'estero potrei operare sul mercato italiano?
- domanda più importante: posso essere assunto come dipendente di un concorrente diretto di questa società, senza diventarne né dirigente né amministratore? un semplicissimo dipendente?
- se un altro soggetto decidesse di scommettere su di me e aprisse una nuova società della quale io sono semplicemente dipendente incorrerei in violazione del patto di non concorrenza?

Spero vivamente mi possiate aiutare a trovare una exit strategy tranquilla dal punto di vista legale. La mia esigenza è soprattutto quella di poter fare il dipendente.


Consulenza legale i 22/09/2016
Il senso dell’art. 2557 cod.civ. è quello di “impedire che l'alienante, proseguendo nell'attività oggetto della cessione, possa mettere in pericolo la clientela dell'azienda ceduta ed in particolare possa, approfittando del rapporto di fiducia con il pubblico, conservare i propri clienti e quindi, in ultima istanza, sottrarli all'azienda ceduta.” (Tribunale Pistoia 07 novembre 2011 n. 948). La concorrenza dell’alienante, in pratica, è ritenuta dal legislatore particolarmente insidiosa per l’acquirente perché egli è noto alla clientela, può avere su di essa una notevole capacità di attrazione, ne conosce le tendenze e le abitudini, e conosce le caratteristiche organizzative dell’azienda ceduta.

Pertanto, per chiarire quella che è la principale questione posta nel quesito, nessun problema di concorrenza si verificherà nel caso in cui l’ex socio venga assunto come dipendente da una nuova azienda che operi nel medesimo settore e zona di quella della quale aveva partecipato.

La norma, infatti, si riferisce in particolare all'”avvio di una nuova impresa”, quindi di un’attività di natura, appunto, imprenditoriale (e commerciale) che sia direttamente – o indirettamente – riconducibile al soggetto destinatario del divieto.
Nello specifico, è vietata non solo la costituzione di una impresa ma altresì l’assunzione della qualità di socio in una società concorrente, l’assunzione dell’amministrazione, della rappresentanza della dirigenza in un’impresa altrui.

Vietato è altresì, attenzione, per pacifica giurisprudenza, l’esercizio di un’altra impresa per mezzo di un prestanome oppure per conto altrui: “La violazione del divieto posto dall'art. 2557 c.c. può essere posta in essere non solo con l'inizio di una attività in proprio, ma anche con l'esercizio a mezzo di prestanome o per conto altrui” (Tribunale Ivrea, sez. lav., 19/03/2008, n. 41; Tribunale Torino, sez. IX, 30/06/2006).

A tale ultimo proposito, quindi, si ritiene che non possa considerarsi lecita – o comunque che sia soggetta ad un certo margine di rischio – un’attività che venga svolta con partita IVA o per mezzo di ogni altra forma di collaborazione anche se per conto terzi, dal momento che anche l’attività svolta in forma autonoma (con assunzione, quindi, di proprio rischio d’impresa) ha la medesima attitudine “sviante” della clientela, che può ricondurre (a differenza che nel caso del lavoro alle dipendenze) direttamente l’attività alla persona e/o al nome.

Irrilevante è la liquidazione o meno dell’avviamento in ordine al rispetto del patto di non concorrenza e della sua durata.

Per quanto riguarda, infine, la possibilità di aprire una società all’estero che poi operi in Italia, non esiste giurisprudenza sul punto: tuttavia, in base a quella che è la finalità della norma in commento già sopra evidenziata, ad avviso di chi scrive tale modalità operativa costituirebbe un’inammissibile elusione del divieto.
Si riporta una pronuncia, tra le tante, esemplificativa sul punto: “Rientrano nel divieto dell'art. 2557 c.c. tutti i casi in cui l'alienante inizia l'esercizio di una nuova impresa anche in modo indiretto, attraverso strumenti giuridici con i quali si elude detto divieto. In particolare sono soggetti al divieto di concorrenza quei soggetti (persone fisiche o giuridiche) che, se pur formalmente diversi dall'alienante dell'azienda ceduta, tuttavia ad esso alienante fanno capo anche se indirettamente (nella fattispecie, una società di capitali di cui i cedenti detengono l'85% delle quote)” (Tribunale Torino, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 14/03/2008).

Va comunque sempre tenuto presente che il divieto opera in relazione ad “oggetto, luogo o altre circostanze”, per cui è evidente - e si ritiene scontato - che se l’attività viene svolta in un luogo geograficamente abbastanza lontano o comunque ben distinto da quello dell’impresa a favore della quale opera il divieto, non vi dovrebbe essere alcun limite nell’esercizio della nuova impresa, dal momento che comunque l’ordinamento salva e tutela il principio della libera concorrenza in generale.

Greta S. chiede
sabato 12/12/2015 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,
ho ceduto le mie quote di maggioranza di una SPA al socio di minoranza, che ne è divenuto unico proprietario, sottoscrivendo un patto di non concorrenza determinato tra le parti in 3 anni dalla data di cessione. Oggi (passati i tre anni) l'acquirente sta inviando corrispondenze ai potenziali clienti in cui li diffida dall'intraprendere rapporti commerciali con la sottoscritta adducendo una pretesa durata quinquennale del patto di non concorrenza, ancorché vi sia stato un accordo di durata triennale del patto sottoscritto con atto notarile.
Vi chiedo se sia fondata la pretesa dell'acquirente di prolungamento della durata del patto di non concorrenza in difformità rispetto a quanto concordato a suo tempo e se, in caso di risposta negativa alla mia domanda, io possa intraprendere qualche azione a tutela della mia ripresa delle attività.
Ringraziando saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 18/12/2015
La questione sottoposta ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 2557 del c.c. che sancisce, per chi aliena un'azienda, il divieto di concorrenza per i successivi 5 anni dall'alienazione (per la quale si suppone essere stato pagato anche un avviamento, ed è qui essenzialmente che risiede la ratio della norma). Nello specifico, ciò che è vietato, è iniziare un'attività che, a causa dell'oggetto, dell'ubicazione o di altre circostanze, possa sviare la clientela dell'azienda ceduta. L'ordinamento vuole garantire l'acquirente dal rischio che, acquistata l'azienda, si veda poi (facilmente) sottrarre potenziale clientela dal cedente-vecchio titolare.

Letteralmente, la disposizione si riferisce alla sola cessione di azienda. Tuttavia, la giurisprudenza ha sottolineato come essa sia suscettibile di applicazione analogica, considerando che non è una disposizione eccezionale, perché non pone una deroga al principio di libera concorrenza, bensì disciplina la portata di effetti connaturali al contratto tra le parti (Cass. 27505/2008). Sulla scorta di queste considerazioni è stato ritenuto che tale norma si applichi anche in caso di cessione di quote di partecipazione in una società di capitali se, nel caso concreto, essa realizzi una situazione simile alla cessione di azienda, determinando la sostituzione di un soggetto ad un altro nell'azienda (Cass. 27505/2008).

La situazione in esame è riconducibile a tale ipotesi. Infatti, la circostanza che le parti abbiano scelto di stipulare un patto di non concorrenza, depone nel senso di una sostituzione del vertice della società, con esigenza di tutelare il cessionario dalla concorrenza del cedente.

L'art. 2557 c.c., tuttavia, stabilisce che il divieto deve essere temporalmente limitato, non potendo eccedere i 5 anni. Ciò che qui più rileva è che la giurisprudenza, a tale riguardo, ha riconosciuto che il divieto non tutela un interesse pubblico bensì l'interesse dell'acquirente, con la conseguenza che, trattandosi di norma dispositiva, essa è derogabile dalle parti (Cass. 10062/2008).

Pertanto, l'accordo raggiunto nel caso specifico, di contenere il divieto di concorrenza entro il limite temporale di 3 anni, risulta pienamente legittimo, sicché lo è anche la ripresa dell'attività da parte del soggetto che ha ceduto le quote.

Quanto al menzionato invio di corrispondenza da parte del cessionario, si tratta di comportamento che può essere ritenuto contrario alla legge. Nello specifico, potrebbe integrare concorrenza sleale ex art. 2598 del c.c., secondo le ipotesi di cui al n. 2 (diffusione di notizie e apprezzamenti sull'attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito) ovvero al n. 3 (uso di ogni altro mezzo, diverso da quelli di cui ai numeri precedenti, non conforme alle regole di correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l'azienda altrui) del medesimo articolo.

Pertanto, è consigliabile innanzitutto diffidare formalmente il cessionario dal proseguire l'attività in essere. Se questi persistesse, si potrebbe agire in giudizio per ottenere una pronuncia di inibitoria di tale comportamento ex art. 2599 del c.c..

Vincenzo P. chiede
lunedì 20/01/2014 - Abruzzo
“Buonasera.
Nell'Agosto 2010 ho acquisito con regolare contratto di "Cessione d'Azienda" un'attività artigianale di preparazione e vendita di prodotti di gastronomia e pasta fresca, situata nel centro di un paese in provincia di Pescara. Nel Dicembre del 2013 è stata aperta nel medesimo paese, sempre in ambito del centro della località, una nuova attività del tutto simile alla mia, costituita da un soggetto terzo. Grande è stata però la mia sorpresa nello scoprire che, già dalle fasi del primissimo avviamento, questa attività concorrente ha stabilito una collaborazione proprio con l'ex titolare cedente. Il proprietario dell'impresa di nuova apertura ha infatti esperienza limitata nel settore, ed ha inteso quindi assicurarsi una consulenza gestionale ed operativa attraverso la figura dell'ex titolare dell'impresa da me acquisita. Ho notizie che l'attività mia concorrente sta operando per attrarre clienti con una sorta di attività di marketing "underground", che enfatizza, quanto meno, una specie di patrocinio della loro impresa da parte del mio alienante, persona indubbiamente di esperienza nel settore, e che ancora gode di considerazione in paese. L'effettiva collaborazione in tal senso tra i due soggetti è pressoché alla luce del sole, dal momento che lo "ex" viene notato entrare nel laboratorio del concorrente al mattino, ed uscire in pratica a fine servizio dopo molte ore. Ho peraltro forti sospetti che, per comprensibili ragioni, il soggetto alienante svolga la sua funzione di "consulente" senza alcun contratto, ed in violazione quindi delle norme fiscali. Desidero chiedere a questo punto cosa posso fare per tutelare i miei interessi, tenendo presente in particolare l'art 2557 del c.c. . Grazie”
Consulenza legale i 28/01/2014

L'art. 2557 del c.c. prevede per colui che aliena l'azienda l'obbligo di astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che, a causa dell'oggetto, dell'ubicazione o di altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta.

La finalità cui è preposto il divieto di concorrenza è, quindi, quella di tutelare l’avviamento dell'impresa, o meglio, l'avviamento "soggettivo", legato alla persona dell'imprenditore e alle sue capacità personali. Lo scopo del legislatore è precisamente quello di impedire che l'alienante di un'azienda si "riappropri" del suo avviamento (in particolare, della clientela), dopo aver ceduto la medesima ad altro soggetto. L'acquirente ha, infatti, il pieno diritto di mettere a frutto il risultato economico del suo contratto e nel far ciò non deve essere ostacolato dall'alienante, seppur entro un determinato e contenuto periodo temporale previsto per legge (che sono, appunto, cinque anni).

La Suprema Corte ha affermato in più occasioni che il divieto di cui all'art. 2557 c.c. non costituisce una deroga al principio della libera concorrenza sancito dagli artt. [[n2596]] c.c. e 41 Cost., bensì "un principio generale di libertà giuridica" (Cass. civ., 24 luglio 2000, n. 9682). Conseguenza di tale approccio, è stata quella di considerare la norma avente
carattere generale e non eccezionale, con possibilità di farne applicazione analogica in casi simili (ad esempio, la Cassazione con sentenza 27505/2008 ha ritenuto applicabile l'articolo in commento nel caso di cessioni di quote di partecipazioni in società di capitali).


Il divieto di concorrenza non si ritiene applicabile alle attività del soggetto alienante preesistenti alla cessione, né ad atti concorrenziali connotati dall'occasionalità.
Cade peraltro nel divieto anche l'esercizio di una nuova impresa che sia svolta anche in modo indiretto, attraverso strumenti giuridici con i quali si elude il divieto di legge.

Tutto ciò premesso, bisogna capire se l'art. 2557 c.c. può essere applicato nel caso di specie.
Nella vicenda esposta, colui che ha ceduto l'azienda ha intrapreso, dopo circa tre anni dalla cessione, una "collaborazione" con una ditta/società che svolge identica attività in ambito gastronomico.
La natura di tale "collaborazione" non è peraltro stata meglio specificata nel quesito postoci.
Escludiamo subito l'ipotesi che l'ex titolare faccia parte della compagine sociale dell'impresa concorrente (ciò può essere facilmente appreso mediante una visura camerale): ipotesi peraltro (quella in cui chi ha alienato l'azienda diventi socio di una società concorrente) nella quale si può senz'altro configurare comunque una violazione dell'art. 2557.

Restano allora tre ipotesi principali:
- il cedente opera come dipendente nella nuova impresa concorrente (lavoratore subordinato);
- il cedente opera come lavoratore autonomo;
- il cedente svolge attività senza un regolare titolo.

Nel primo caso, il divieto di concorrenza di cui all'art. 2557 c.c. non può trovare applicazione (anche se possono configurarsi altre responsabilità, come diremo tra breve).

Nel secondo caso, il cedente, avendo avviato una ditta individuale, ha intrapreso a tutti gli effetti una nuova attività di impresa e quindi il suo comportamento appare senz'altro sanzionabile in base al divieto di concorrenza di cui all'art. 2557 c.c..

Nel terzo caso è evidente che il soggetto potrebbe di fatto esercitare l'impresa a mezzo di un prestanome: in questa ipotesi, il divieto opera, in quanto, anche se formalmente egli non è titolare dell'attività commerciale, questa è in realtà da lui stesso condotta.
Al contrario, una semplice attività di lavoro subordinato "in nero" difficilmente potrebbe configurare una concorrenza sleale.

Oltre alla norma di cui all'art. 2557 c.c., si possono individuare altre violazioni di legge, anche in capo a colui che "sfrutta" la presenza dell'ex titolare a discapito del cessionario di un'azienda concorrente.
L'art. 2598 del c.c. individua atti di concorrenza sleale in colui che diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; oppure, si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.
Nel caso di specie, il nuovo concorrente sfrutta il nome e la fama del cedente dell'azienda per attirare verso di sé la clientela che fu già di quest'ultimo, facendo credere che lo stesso abbia aperto una nuova attività e con ciò screditando l'azienda che è stata ceduta e creando un danno a chi l'ha acquistata.
E' possibile, quindi, ipotizzare anche una violazione dell'art. 2598 c.c.

Sia in caso di violazione dell'art. 2557 che dell'art. 2598 è possibile per colui che si ritiene leso esperire una azione cautelare urgente al fine di inibire il comportamento sleale del concorrente. L'art. 2599 del c.c. prevede che la sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti. Inoltre, sarà possibile chiedere in un diverso e ordinario giudizio il risarcimento del danno che si presume cagionato dal comportamento scorretto della controparte (azione rivolta solo contro il cedente nel caso di applicazione dell'art. 2557; anche contro il nuovo imprenditore cui l'"ex" si appoggia, in caso di violazione dell'art. 2598, v. art. [[n2600]] c.c.).


Gianni C. chiede
sabato 09/06/2012 - Lazio

“Salve, lo scorso luglio ho ceduto un'attività artigianale, (pizzeria) gestita in società con la mia compagna. Si trattava di una snc di cui io ero amministratore. Ora, venduto il punto vendita e sciolta la società, se decidessi di aprirne una nuova o rilevarne un'altra, potrei incorrere nel divieto di concorrenza? Nel contratto di cessione non ci siamo impegnati a nulla. In attesa di una vostra risposta vi ringrazio anticipatamente.”

Consulenza legale i 10/06/2012

L'art. 2557 del c.c. impone a chiunque alieni un'azienda di astenersi, per un periodo di cinque anni, "di iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare l'azienda ceduta". Sulla base dell'articolo in commento è importante, quindi, porre molta attenzione al tipo di attività che eventualmente l'alienante andrà a svolgere e se questa presenta elementi di conflitto, dal punto di vista della concorrenza, con l'azienda ceduta. Sebbene non manchino indirizzi diversi in dottrina e in giurisprudenza, volti a contenere la portata del divieto di cui all'art. 2557 c.c., diverse pronunce impongono cautela sul punto: l'idoneità allo sviamento della clientela è valutata in senso oggettivo e prescinde da qualsiasi riferimento alla volontà elusiva dell'alienante. Idoneità allo sviamento, inoltre, significa che è vietata anche l'attività potenzialmente dannosa, non solo quella concretamente dannosa. La cautela sul punto è giustificata anche in ordine ai rimedi giuridici riconosciuti a favore dell'acquirente dell'azienda ceduta. Egli può ricorrere all'autorità giudiziaria e chiedere un provvedimento urgente con il quale venga disposta la sospensione dell'attività concorrente vietata, oltre all'azione per il risarcimento del danno subito.

Il divieto è solo un effetto naturale del contratto e può essere quindi escluso da un patto esplicito delle parti (così come può essere ampliato).

Nel caso sottoposto all'esame si dice che il patto di non concorrenza non è stato espressamente indicato nell'atto di alienazione dell'azienda ma non che è stato pattiziamente escluso. Va pertanto osservato.


Anna Cristina B. chiede
mercoledì 27/04/2011 - Piemonte

“Io e mio fratello siamo titolari di un panificio in provincia di Torino, circa un anno e mezzo fa abbiamo preso una rivendita, oltre al nostro punto vendita legato al panificio, ora, per diversi motivi abbiamo deciso di venderlo, la parte acquirente ovviamente mi ha messo il vincolo di non aprire altri rami di azienda per cinque anni nella stessa città. Noi non siamo molto d'accordo. Non solo forniamo altre rivendite, sempre nello stesso paese, non nostre, ma, in effetti, volevamo aprire magari fra qualche mese un altro negozio (preciso, nella parte opposta della città!).

La mia domanda è "possono metterci questo vincolo oppure non ha validità, in quanto io non ho ceduto la produzione ma solo un ramo dell'azienda?"
Grazie aspetto una vostra risposta.”

Consulenza legale i 27/04/2011

Il divieto di concorrenza imposto all'alienante dall'art. 2557 c.c., si applica non soltanto per l'ipotesi di alienazione dell'azienda ma anche di cessione di un ramo d'azienda autonomo di essa (Cassazione civile, sez. III, 23/04/1980, n. 2669). Il divieto di concorrenza è un effetto naturale che consegue alla cessione dell’azienda e può essere escluso dalle parti, le quali, nella loro autonomia, sono libere anche di adattare il contenuto del vincolo alle esigenze del caso concreto.

Nel caso concreto si potrebbe definire l'area geografica nella quale è fatto divieto di svolgere l'attività di rivendita, evitando così un vincolo troppo limitante. Il tutto è rimesso alla trattativa commerciale tra le parti.


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