Il
contratto di cessione di azienda oltre a produrre il
trasferimento di questa comporta anche per il cedente l'assunzione dell'ulteriore obbligazione di non tenere in concreto comportamenti che vanifichino la ragione pratica della operata cessione, la cui durata va oltre il momento del trasferimento protraendosi per il tempo previsto dall'art. 2557. L'illecito consistente nella violazione di tale obbligo ha natura contrattuale, attiene alla
causa del contratto e quindi al suo esatto adempimento, ed incide su diritti di natura dispositiva e transigibile, onde la controversia relativa alla suddetta violazione ben può essere deferita ad arbitri (Cass. n. 9251/1997). Il
divieto quinquennale di concorrenza stabilito dalla norma per l'ipotesi di alienazione di azienda non riveste carattere di specialità o eccezionalità, poiché il legislatore, con la norma in parola, non ha inteso sancire una espressa deroga al generale principio della libera concorrenza, ma disciplinare nel modo più congruo la portata di quegli stessi effetti esplicitati dalle parti (o da presumersi connaturati) con il negozio di cessione posto in essere. Non e, pertanto, esclusa l'applicabilità della norma alla ipotesi di cessione non dell'intera azienda ma di sole quote sociali, sempre che, in sede di accertamento giurisdizionale, emerga, dal complesso delle circostanze di fatto oltreché dal contenuto dello stesso negozio di cessione, la funzione concreta e non equivoca di effettiva sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale (Cass. n. 1643/1998).
Le disposizioni concernenti il
divieto di concorrenza in caso di trasferimento di azienda, trovano applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione di questa, intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto e, pertanto, anche in favore del proprietario di un'azienda nel caso che l'abbia data in affitto allorché l'azienda gli sia stata ritrasferita dall'affittuario per scadenza del termine finale o per altra causa negozialmente prevista (Cass. n. 13762/1991).
Il divieto si riferisce al momento iniziale, dopo il trasferimento dell'azienda, di nuove attività e non opera dunque con riferimento ad attività dell'alienante preesistente al trasferimento medesimo, ne con riferimento ad atti concorrenziali isolati e occasionali (MARTORANO). Il divieto riguarda non solo la produzione degli stessi beni prodotti dall'azienda ceduta, ma anche la produzione di beni succedanei, purché idonei a sviare la clientela (MARTORANO). È stato anche affermato che il divieto si estende anche all'ipotesi in cui l'alienante assuma l'amministrazione o la rappresentanza di un'impresa altrui (CAMPOBASSO). Il divieto e ritenuto applicabile, in caso di vendita dell'azienda da parte del curatore del
fallimento, al fallito dopo la chiusura del
fallimento (COLOMBO).
Il divieto ha un'efficacia estesa agli
eredi dell'alienante (Cass. n. 1957/2014).
Sul punto, si e tuttavia precisato che il divieto a carico di costoro sussiste esclusivamente nell'ipotesi in cui essi, per aver collaborato con l'alienante deceduto, siano in condizione di svolgere una concorrenza differenziale, cioè potenzialmente più pericolosa di quella che l'acquirente dell'azienda può subire dei terzi estranei all'azienda acquistata (COLOMBO).