Cass. civ. n. 16221/2018
In tema di associazioni non riconosciute, sussiste la responsabilità dell'ente, ex art. 38, comma 1, c.c. per le obbligazioni ed i rapporti assunti dai soggetti che ne sono rappresentanti di diritto ed anche di fatto e che,spendendo la ragione sociale, determinano con i loro atti - ed in concreto - l'oggetto sociale, a prescindere dalle possibili indicazioni formali; ne consegue che tale regola, di carattere generale, si applica anche ai debiti tributari.
Cass. civ. n. 15474/2018
L'attività di gestione di un bar-ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come "non commerciale", ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972) e di quella sui redditi (art. 111 del d.P.R. n. 917 del 1986, oggi trasfuso nell'art. 148 dello stesso decreto) solo se la suddetta attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell'ente e sia svolta esclusivamente in favore degli associati.
Cass. civ. n. 23167/2017
In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo applicabile "ratione temporis") - svolgere attività a carattere commerciale; il citato art. 111, comma 1 - in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce, d'altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche, con la conseguenza che l'onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 c.c.
Cass. civ. n. 16449/2016
In tema di agevolazioni tributarie, l'esenzione d'imposta prevista dall'art. 111 (ora 148) del d.P.R. n. 917 del 1986 in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall'elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma dall'effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto estrinseco e neutrale dell'affiliazione alle federazioni sportive ed al Coni. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Sardegna - Sez. dist. Sassari, 02/09/2009)
Cass. civ. n. 4872/2015
Le agevolazioni tributarie previste in favore degli enti di tipo associativo non commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, dall'art. 111 (ora 148) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell'atto costitutivo o nello statuto. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Veneto, 27/09/2007)
Cass. civ. n. 17955/2013
Nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra società facenti parte di uno stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia ("transfer pricing" domestico), va applicato il principio, avente valore generale e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo, stabilito dall'art. 9 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che non ha mera portata contabile e che impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente. Si tratta invero di clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali - come lo spostamento dell'imponibile presso le imprese associate che, nel territorio, godano di esenzioni o minor tassazione - mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti giuridici idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. (Fattispecie di ricarico minimo, non altrimenti giustificato, nelle cessioni dalla controllante alla controllata, che godeva di agevolazioni per il territorio del Mezzogiorno). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 19/09/2006)
Cass. civ. n. 3360/2013
In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale; il citato art. 111, comma primo - in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce, d'altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C., decidendo nel merito, ha ritenuto le attività di servizio bar e organizzazione di serate danzanti e giochi non rientranti nelle finalità istituzionali, assistenziali e culturali, di un ente non commerciale). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Livorno, 28/05/2007)
Cass. civ. n. 22578/2012
L'esenzione d'imposta prevista dall'art. 111 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (secondo la numerazione vigente ratione temporis, e corrispondente al vigente art. 148, in virtù della riforma introdotta dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall'elemento formale della veste giuridica assunta dall'associazione, ma dall'effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro. Ne consegue che correttamente il giudice di merito esclude dai suddetti benefici l'associazione sportiva, gestore di una palestra, la quale esiga dalle persone aventi la veste formale di associati un corrispettivo proporzionale all'attività erogata in loro favore, le escluda da tutte le scelte decisive per la vita dell'associazione e preveda la perdita della qualità di associato al cessare della frequentazione della palestra, trattandosi di caratteristiche che equiparano in tutto la suddetta associazione ad un imprenditore commerciale. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Roma, 30/05/2007)
Cass. civ. n. 21406/2012
L'attività di gestione di un bar-ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come "non commerciale", ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (art. 4 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e di quella sui redditi (art. 111 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 nel testo vigente "ratione temporis", oggi trafuso nell'art. 148 dello stesso d.P.R.) soltanto se la suddetta attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell'ente e sia svolta solo in favore degli associati. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 06/03/2007)
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In tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione (Nel caso di specie, a fronte di un verbale della Guardia di Finanza con il quale era attestata la facoltà degli agenti di poter usufruire della prestazione del bar senza alcuna previa richiesta di esibizione della tessera associativa, incombeva al circolo dare prova di strumenti di esclusione di quest'ultimi). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 06/03/2007)
Cass. civ. n. 8623/2012
Nella controversia tra l'erario ed un'associazione non riconosciuta, avente ad oggetto l'accertamento della legittimità degli atti di accertamento ed impositivi (nella specie, relativi ad IRPEG ed IVA) emessi nei confronti dell'associazione stessa, gli associati che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non sono litisconsorti necessari. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 10/07/2009)
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I compensi percepiti da un'associazione sportiva a fronte dell'attività didattica svolta sono esenti da IVA soltanto se tale attività è stata formalmente riconosciuta dagli organi della P.A. competenti nel settore, oppure da organismi da essi vigilati come le federazioni sportive. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 10/07/2009)
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Affinché un'associazione sportiva dilettantistica possa beneficiare delle agevolazioni fiscali previste in materia di IVA e di IRPEG, rispettivamente, dall'art. 4 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dall'art. 111 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non è sufficiente la sua astratta sussumibilità in una delle categorie previste da tali norme, ma è necessario che essa dia prova di svolgere la propria attività nel pieno rispetto di tutte le prescrizioni imposte da esse. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 10/07/2009)
Cass. civ. n. 24500/2009
In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 è limitata all'ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclusiva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nell'art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, e pertanto non si applica ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga attività sanitaria, non rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell'attività, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico - fondato, oltre che sull'art. 16, lett. a), della legge n. 222 del 1985, anche sulla legge 25 marzo 1985, n. 121 in tema di revisione del concordato -, né la successiva evoluzione normativa, in quanto a) l'art. 7, comma 2-bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (aggiunto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, poi modificato dal comma 133 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 ed infine sostituito dall'art. 39, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248) nell'estendere l'esenzione disposta dall'art. 7, comma 1, lett. i), cit. alle attività ivi indicate "a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse" (versione originaria) e poi a quelle "che non abbiano esclusivamente natura commerciale" (versione vigente), ha carattere innovativo e non interpretativo; b) l'art. 111-bis del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, (aggiunto dall'art. 6 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460), nel prevedere (comma 1) la perdita della qualifica di ente non commerciale per gli enti che esercitino prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d'imposta ad esclusione (comma 4) di quelli ecclesiastici, riflette i suoi effetti unicamente sulla qualità del soggetto utilizzatore dell'immobile, ma non sul requisito oggettivo dell'attività nello stesso esercitata. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Genova, 24/09/2004)
Cass. civ. n. 28005/2008
In tema di IRPEG, l'art. 111, primo comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il quale esclude la natura commerciale delle attività svolte dagli enti associativi in favore dei propri associati e l'imponibilità delle somme da questi versate a titolo di quote associative, introduce una deroga alla disciplina generale fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo D.P.R., che assoggettano ad imposta tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: pertanto, l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art.
2697 cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la natura commerciale dell'attività di vigilanza svolta da un consorzio rurale, pur essendo risultato che quest'ultimo aveva reso prestazioni in favore di soggetti diversi dai soci). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Foggia, 15 ottobre 2002).
Cass. civ. n. 22598/2006
In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di uno "status" di "extrafiscalità", che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il disposto dell'art. 111, comma primo, del d.P.R. n. 917 cit. - in forza del quale le attività svolte dagli enti associativi a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce d'altro canto una deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del d.P.R. n. 917, secondo la quale l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale aveva accolto il ricorso proposto da un'associazione dedita all'assistenza dei disabili sulla base della sola astratta considerazione dell'assenza dei fini di lucro dell'associazione, omettendo di accertare la natura dell'attività in concreto svolta). (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Siracusa, 24 Aprile 2002)
Cass. civ. n. 606/2006
In tema di imposte sui redditi, e con riferimento ai proventi dell'attività svolta da enti di tipo associativo, l'esclusione dalla base imponibile dei corrispettivi riscossi in relazione all'attività di gestione di un bar, con somministrazione di bevande ed alimenti, all'interno dei locali di un circolo culturale ricreativo, ai sensi dell'art. 111 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, presuppone - nel sistema vigente anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 4 della legge 23 dicembre 2000, n. 383, che ha consentito ai circoli di finanziarsi con attività commerciali consistenti nella cessione di beni e servizi ai soci ed a terzi - che la prestazione del servizio, oltre ad aver luogo soltanto in favore degli associati o dei partecipanti ed in conformità alle finalità istituzionali dell'ente, senza una specifica organizzazione e verso un corrispettivo che non eccede il costo di diretta imputazione, non sia riconducibile all'art. 2195 cod. civ., non sussistendo valide ragioni per riservare un trattamento tributario di favore ad un'attività commerciale, per il solo fatto che essa venga svolta da un ente non commerciale (nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza della commissione tributaria regionale, la quale aveva escluso la natura commerciale dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitata da un circolo ricreativo nonostante l'accertato accesso diretto dei locali del bar sulla pubblica via). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Firenze, 3 Giugno 1998)
Cass. civ. n. 19009/2005
In tema di IRPEG, l'esclusione dalla base imponibile dei corrispettivi riscossi in relazione all'attività di gestione di un bar, con somministrazione di bevande ed alimenti all'interno dei locali di un circolo culturale ricreativo, in virtù dell'art. 111, comma terzo, d.P.R. n. 917 del 1986, implica l'accertamento della loro congruenza rispetto alle finalità istituzionali dell'associazione, da ritenersi riservato all'apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e logicamente coerente. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Firenze, 15 Maggio 2001)
Cass. civ. n. 16032/2005
In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di uno "status" di "extrafiscalità", che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il disposto dell'art. 111, comma primo, del citato testo unico - in forza del quale le attività svolte dagli enti associativi a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce d'altro canto una deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del testo unico, secondo la quale l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art.
2697 cod. civ. (Sulla base degli enunciati principi, la S.C. ha ritenuto immune da censura la sentenza impugnata, che aveva considerato recuperabili a tassazione, come redditi di impresa, i proventi conseguiti da una associazione sportiva, rilevando come, di fronte all'affermazione - contenuta nella sentenza stessa - secondo cui, alla stregua delle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti, i "soci" della palestra da essa gestita venivano di fatto trattati come semplici clienti di un imprenditore, sarebbe spettato all'associazione ricorrente fornire la prova contraria della natura non commerciale dell'attività svolta, prova che non poteva essere desunta dal solo statuto sociale, attestante l'assenza del fine di lucro). (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 20 Aprile 1998).
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In tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato ulteriore riscontro nelle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Né è con ciò violato il principio della cosiddetta "parità delle armi", di cui all'art.
111 Cost., atteso che - in forza di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 - anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il medesimo valore probatorio. (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 20 Aprile 1998).