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Articolo 89 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 09/10/2024]

Dividendi ed interessi

Dispositivo dell'art. 89 TUIR

1. Per gli utili derivanti dalla partecipazione in società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato si applicano le disposizioni dell'articolo 5.

2. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, anche nei casi di cui all'articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c), non concorrono a formare il reddito dell'esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell'ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare. La stessa esclusione si applica alla remunerazione corrisposta relativamente ai contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), e alla remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all'articolo 98 direttamente erogati dal socio o dalle sue parti correlate, anche in sede di accertamento.

2-bis. In deroga al comma 2, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, gli utili distribuiti relativi ad azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni detenuti per la negoziazione concorrono per il loro intero ammontare alla formazione del reddito nell'esercizio in cui sono percepiti.

3. Verificandosi la condizione dell'articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, l'esclusione del comma 2 si applica agli utili provenienti da soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), e alle remunerazioni derivanti da contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), stipulati con tali soggetti, se diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all'articolo 47 bis, comma 1, o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell'esercizio dell'interpello di cui al medesimo articolo 47 bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b). Gli utili provenienti dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all'articolo 47 bis, comma 1, e le remunerazioni derivanti dai contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), stipulati con tali soggetti, non concorrono a formare il reddito dell'esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell'impresa o dell'ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrata, anche a seguito dell'esercizio dell'interpello di cui all'articolo 47 bis, comma 3, la sussistenza della condizione di cui al comma 2, lettera a), del medesimo articolo; in tal caso, è riconosciuto al soggetto controllante, ai sensi del comma 2 dell'articolo 167, residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d'imposta ai sensi dell'articolo 165 in ragione delle imposte assolte dall'impresa o ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell'imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell'applicazione dell'imposta, l'ammontare del credito d'imposta di cui al periodo precedente è computato in aumento del reddito complessivo. Se nella dichiarazione è stato omesso soltanto il computo del credito d'imposta in aumento del reddito complessivo, si può procedere di ufficio alla correzione anche in sede di liquidazione dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione dei redditi. Ai fini del presente comma, si considerano provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali soggetti o di partecipazioni di controllo, ai sensi del comma 2 dell'articolo 167, in società residenti all'estero che conseguono utili dalla partecipazione in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili. Qualora il contribuente intenda far valere la sussistenza, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nella lettera b) del comma 2 dell'articolo 47 bis ma non abbia presentato l'istanza di interpello prevista dal comma 3 del medesimo articolo ovvero, avendola presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole, la percezione di utili provenienti da partecipazioni in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all'articolo 47 bis, comma 1, deve essere segnalata nella dichiarazione dei redditi da parte del socio residente; nei casi di mancata o incompleta indicazione nella dichiarazione dei redditi si applica la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 8, comma 3-ter, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. Concorrono in ogni caso alla formazione del reddito per il loro intero ammontare gli utili relativi ai contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), che non soddisfano le condizioni di cui all'articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo(1).

3-bis. L'esclusione di cui al comma 2 si applica anche:

  1. a) alle remunerazioni sui titoli, strumenti finanziari e contratti indicati dall'articolo 109, comma 9, lettere a) e b), limitatamente al 95 per cento della quota di esse non deducibile ai sensi dello stesso articolo 109;
  2. b) alle remunerazioni delle partecipazioni al capitale o al patrimonio e a quelle dei titoli e degli strumenti finanziari di cui all'articolo 44, provenienti dai soggetti che hanno i requisiti individuati nel comma 3-ter del presente articolo, limitatamente al 95 per cento della quota di esse non deducibile nella determinazione del reddito del soggetto erogante.

3-ter. La disposizione di cui alla lettera b) del comma 3-bis si applica limitatamente alle remunerazioni provenienti da una società che riveste una delle forme previste dall'allegato I, parte A, della direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, nella quale è detenuta una partecipazione diretta nel capitale non inferiore al 10 per cento, ininterrottamente per almeno un anno, e che:

  1. a) risiede ai fini fiscali in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere considerata, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi con uno Stato terzo, residente al di fuori dell'Unione europea;
  2. b) è soggetta, nello Stato di residenza, senza possibilità di fruire di regimi di opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, a una delle imposte elencate nell'allegato I, parte B, della citata direttiva o a qualsiasi altra imposta che sostituisca una delle imposte indicate.

4. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 46 e 47, ove compatibili.

5. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale.

6. Gli interessi derivanti da titoli acquisiti in base a contratti "pronti contro termine" che prevedono l'obbligo di rivendita a termine dei titoli, concorrono a formare il reddito del cessionario per l'ammontare maturato nel periodo di durata del contratto. La differenza positiva o negativa tra il corrispettivo a pronti e quello a termine, al netto degli interessi maturati sulle attività oggetto dell'operazione nel periodo di durata del contratto, concorre a formare il reddito per la quota maturata nell'esercizio.

7. Per i contratti di conto corrente e per le operazioni bancarie regolate in conto corrente, compresi i conti correnti reciproci per servizi resi intrattenuti tra aziende e istituti di credito, si considerano maturati anche gli interessi compensati a norma di legge o di contratto.

Note

(1) Il comma 3 è stato modificato dall'art. 5 comma 1 lett. g) del D. Lgs. 29 novembre 2018, n. 142.
Il D. Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 ha inoltre disposto, con l'art. 13, comma 6, che la presente modifica si applica a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, nonché agli utili percepiti e alle plusvalenze realizzate a decorrere dal medesimo periodo di imposta.

Massime relative all'art. 89 TUIR

Cass. civ. n. 29635/2019

I dividendi infragruppo erogati da società di capitali residente della Repubblica federale di Germania a società residente della Repubblica italiana sono esclusi dalla base imponibile per effetto dell'art. 24, par. 2, della Convenzione di Bonn tra Italia e Germania sulle doppie imposizioni (ratificata con l. n. 459 del 1992), il quale - a differenza dell'art. 23 A del Modello OCSE di Convenzione, avente la sola funzione di contrasto alla doppia imposizione giuridica - è volto ad impedire la doppia imposizione economica internazionale e, costituendo norma pattizia a carattere speciale, ed attesa la sua "ratio", prevale sull'art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'esclusione dalla base imponibile, ex art. 24, par. 2, cit., dei dividendi corrisposti nell'anno di imposta 2005 da una società-figlia tedesca interamente partecipata da società-madre italiana, prevale sulla residuale imposizione, in Italia, sul 5% dei dividendi distribuiti alla società controllante residente nel territorio nazionale, prevista dall'art. 89, comma 2, TUIR).

In tema di doppia imposizione internazionale, la Convenzione di Bonn tra Italia e Germania (ratificata con l. n. 459 del 1992) e, segnatamente, l'art. 24 – il quale, ricorrendone le condizioni, esclude i dividendi dalla base imponibile del reddito della società-madre italiana - è tuttora vigente ed efficace, senza che rilevi la sopravvenuta direttiva CE n. 435 del 1990 (cd. direttiva madre-figlia) la quale, all'art. 7, risolve il concorso tra norma bilaterale e norma comunitaria in favore della prima.

Cass. civ. n. 11872/2017

In tema di imposte sui redditi, l'operazione di "stock lending", ossia di prestito di azioni, che preveda, a favore del mutuatario, il diritto all'incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all'ammontare dei dividendi riscossi) realizza il medesimo fenomeno economico dell'usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell'altro, su un diritto di credito, sicchè è soggetta ai limiti previsti dall'art. 109, comma 8, del d.P.R. n. 917 del 1986, restando il versamento della commissione costo indeducibile.

Cass. civ. n. 5392/2017

Gli interessi su somme erogate per finanziamenti a terzi, se conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali nel territorio dello Stato, sono da considerare, ai sensi dell'art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973, non già redditi di capitale, bensì redditi d'impresa, con la conseguenza che nessuna ritenuta deve essere in tal caso operata, non essendo il regime delle ritenute, quale dettato dall'art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, applicabile ai redditi d'impresa.

In tema di IRES, ai sensi degli artt. 48 e 81 del d.P.R. n. 917 del 1986, gli interessi su mutui, finanziamenti e simili, quando sono conseguiti da società o da enti esercenti attività commerciali residenti nel territorio dello Stato di cui all'art. 73, comma 1, lett. a) e b), del predetto decreto, non costituiscono reddito di capitale ma vanno qualificati come componenti attive rilevanti per la determinazione del reddito di impresa.

Cass. civ. n. 20398/2005

Nella disciplina anteriore all'entrata in vigore dell'art. 37 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'art. 7 del D.L.vo 8 ottobre 1997, n. 358, pur non esistendo nell'ordinamento fiscale italiano una clausola generale antielusiva, non può negarsi l'emergenza di un principio tendenziale, desumibile dalle fonti comunitarie e dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale. In riferimento all'ipotesi in cui l'acquirente di azioni da un fondo comune d'investimento, dopo averne percepito i dividendi, abbia rivenduto i titoli al fondo stesso al fine di consentire l'elusione del regime fiscale previsto dall'art. 9 della legge n. 77 del 1983 (come sostituito dal D.L.vo 25 gennaio 1992, n. 83) (c.d. dividend washing), l'applicazione del predetto principio si traduce nella individuazione di un difetto di causa che dà luogo alla nullità dei contratti collegati di acquisto e di rivendita delle azioni, non conseguendo dagli stessi alcun vantaggio economico per le parti, all'infuori del risparmio fiscale. Tale mancanza di ragione, che investe nella sua essenza lo scambio tra le prestazioni contrattuali attuato attraverso il collegamento negoziale, comporta l'inefficacia dei contratti nei confronti del fisco, con conseguente esclusione del credito d'imposta previsto per l'acquirente dei titoli dall'art. 14 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo anteriore all'integrazione apportatavi dall'art. 7 bis del decreto-legge 9 settembre 1992, n. 372, conte con modificazioni nella legge 5 novembre 1992, n. 429).

L'art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 che ha sostituito l'art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel riconoscere al giudice tributario il potere di risolvere in via incidentale questioni devolute ad altra giurisdizione (quali la nullità di un negozio giuridico), indipendentemente da un'espressa domanda di parte, ha natura meramente esplicativa di una regola generale già esistente nell'ordinamento. Il processo tributario, inoltre, pur avendo ad oggetto un rapporto che vede il contribuente nella veste di soggetto passivo, trae origine da un'azione costitutiva, volta all'annullamento di un atto autoritativo, il cui esercizio da parte del contribuente non fa assumere all'Amministrazione finanziaria la qualità di attrice in senso sostanziale, non essendo dovuta a tale qualità, ma ai principi costituzionali che escludono la c.d. presunzione di legittimità dell'atto amministrativo, l'imposizione a suo carico dell'onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria. Ne consegue che il carattere impugnatorio del processo, comportando l'identificazione del "petitum" e della "causa petendi" con la domanda ed i motivi del ricorso, non esclude il potere del giudice di rilevare d'ufficio eventuali cause di nullità di contratti, la cui validità ed opponibilità all'Amministrazione abbia costituito oggetto dell'attività assertoria del ricorrente. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 13 Dicembre 2000).

Il principio secondo cui le ragioni poste a base dell'atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è un giudizio d'impugnazione dell'atto, sì che l'ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e modificare nel corso del giudizio la motivazione dell'atto, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, né l'esercizio di poteri cognitori d'ufficio, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d'impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità. (Nella fattispecie, l'Amministrazione finanziaria aveva dedotto, in sede di legittimità, la simulazione di un'operazione consistente nell'acquisto e nella rivendita di azioni da parte di una società ad un fondo comune d'investimento, al fine di eludere il regime fiscale previsto dall'art. 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77 per i redditi delle partecipazioni azionarie possedute dai fondi comuni: in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto che tale tesi non costituisse un tema d'indagine precluso dal fatto che la pretesa fiscale, sostenuta nell'avviso di accertamento, fosse fondata sulla qualificazione della fattispecie come procedimento negoziale indiretto, ma reale, utilizzato in funzione elusiva dell'imposta sul reddito). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 13 Dicembre 2000).

Pur essendo un atto di natura sostanziale e non processuale, in quanto esprime in modo autoritativo la pretesa fiscale nei confronti del contribuente, l'avviso di accertamento contiene l'enunciazione della posizione processuale dell'Amministrazione finanziaria, la quale non può determinarsi in modo difforme da quanto espresso nell'accertamento, e può quindi costituire oggetto di esame diretto da parte del giudice di legittimità, unitamente agli altri atti di causa, ai fini dell'individuazione dell'oggetto del giudizio, ed in particolare della verifica in ordine all'osservanza del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 13 Dicembre 2000).

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