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Articolo 11 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 10/10/2024]

Caratteristiche del permesso di costruire

Dispositivo dell'art. 11 Testo unico edilizia

1. Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.

2. Il permesso di costruire è trasferibile, insieme all'immobile, ai successori o aventi causa. Esso non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio. È irrevocabile ed è oneroso ai sensi dell'articolo 16.

3. Il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi.

Spiegazione dell'art. 11 Testo unico edilizia

L’articolo in esame, anzitutto, stabilisce i presupposti di legittimazione soggettiva ai fini dell’ottenimento del titolo abilitativo edilizio.
Un’interessante innovazione rispetto alla legislazione precedente è costituita dal riferimento all’”immobile” e non all’”area”, come invece recitava il testo originario dell’art. 4, L. n. 10/1977.

La nuova formulazione si spiega con la necessità di un migliore coordinamento con il precedente art. 10, che prevede il permesso di costruire non solo per le nuove costruzioni, bensì anche per i più rilevanti interventi che interessano il patrimonio edilizio esistente, come la ristrutturazione edilizia pesante e la ristrutturazione urbanistica.

Il primo soggetto che ha titolo a chiedere il rilascio del titolo abilitativo è naturalmente il proprietario, che è il principale titolare dello ius aedificandi.
In proposito, si ritiene che l’Amministrazione, pur non essendo tenuta a svolgere complessi accertamenti circa eventuali conflitti di interesse tra le parti private relativi all’assetto proprietario, abbia sempre il potere-dovere di accertare la legittimazione soggettiva di chi richiede il permesso, verificando se egli sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria.

Non è, però, sufficiente una disponibilità solo di fatto del bene, ma occorre la disponibilità giuridica di esso, ed è proprio a questo concetto che si riferisce l’espressione “chi abbia titolo per richiederlo”.
In particolare, si ritengono legittimati a chiedere il rilascio del permesso di costruire tutti quei soggetti che possano vantare un diritto reale o di obbligazione che dia facoltà di eseguire le opere, come ad esempio l’usufruttuario, i titolari del diritto di superficie, d’uso o abitazione, il conduttore o locatario, il comodatario, il conduttore d’azienda.

Una dibattuta questione riguarda la legittimazione del promissario acquirente che ha sottoscritto un contratto preliminare di compravendita immobiliare, in merito alla quale si sono sviluppati diversi e contrastanti orientamenti interpretativi.
Una prima opinione esclude in ogni caso la legittimazione, alla luce del fatto che il diritto ad edificare si acquisirebbe solo al momento della conclusione del contratto definitivo e del conseguente trasferimento della proprietà.
Un secondo orientamento, invece, riconosce la possibilità di ottenere il titolo abilitativo anche al promissario acquirente, alla luce della tutela in forma specifica azionabile da tale soggetto ai sensi dell’art. 2932 c.c..
Si è poi affermata una tesi intermedia, secondo la quale la legittimazione del promissario a conseguire il titolo abilitativo sussiste quando tale soggetto sia stato già immesso nel possesso e nel godimento dell’immobile o quando tale facoltà gli venga espressamente riconosciuta nel contratto preliminare.

Il riferimento del secondo comma alla non revocabilità del permesso costituisce una conferma del suo carattere autorizzatorio e non concessorio, posto che con il rilascio del titolo abilitativo non viene attribuito o trasferito al privato alcun diritto da parte della P.A., bensì viene soltanto accertata la conformità dell’esercizio dello ius aedificandi alle prescrizioni edilizie ed urbanistiche vigenti.
Il titolo abilitativo, inoltre, è trasmissibile da parte del soggetto legittimato ai sensi del primo comma dell’articolo 11 ai propri successori o agli aventi causa, contestualmente al trasferimento della relazione giuridica qualificata con l’immobile.

L’ultimo comma della norma in commento ribadisce il consolidato principio secondo cui il rilascio del permesso di costruire fa salvi i diritti dei terzi.
Ne consegue che il terzo che ritenga per qualsiasi ragione lesi i propri diritti ha sempre la possibilità di adire il Giudice ordinario al fine di ottenere il ristoro in forma specifica, con il ripristino dello stato dei luoghi, o per equivalente del danno subito.

Massime relative all'art. 11 Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 113/2019

In materia di permesso di costruire, la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dall'Amministrazione, ma la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l'avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista.

Cons. Stato n. 4531/2013

L'istituto dell'asservimento, consistente nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, con l'avvertenza che il presupposto logico dell'asservimento deve essere rinvenuto nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia, della materiale collocazione dei fabbricati, atteso che, per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto neutra l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto, fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.

Nell'ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio la cui volumetria è calcolata sulla base anche di un'area asservita od accorpata, l'intera estensione interessata deve essere considerata già utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che anche l'area asservita od accorpata non è più edificabile, pur se sia oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto.

L'istituto dell'asservimento, consistente nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo, in essa, della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fodiaria, con l'avvertenza che il presupposto logico dell'asservimento deve essere rinvenuto nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia (come previsto negli atti pianificatori), della materiale collocazione dei fabbricati, atteso che, per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto neutra l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto (fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti).

Cons. Stato n. 4145/2012

Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia, il Comune ha la potestà di verificare l'esistenza, in capo all'istante, del requisito di legittimazione soggettiva al rilascio del provvedimento, mercé un'adeguata istruttoria rivolta non già a risolvere gli eventuali conflitti d'interesse tra le parti private in ordine all'assetto del proprietario dell'immobile oggetto di intervento, bensì ad acquisire elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra l'istante stesso ed il bene immobile, in quanto la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone di valutare con precisione la corrispondenza tra la domanda ed i presupposti di legittimazione che la giustificano. Detta attività istruttoria, è quindi rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare lo statuto proprietario anche per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati. Ma tale onere non può risolversi nel dare preminenza a pattuizioni intervenute tra soggetti terzi e non opponibili al richiedente traendo dalle stesse argomenti per denegare a quest'ultimo il rilascio del titolo ampliativo.

Cons. Stato n. 3508/2011

La proprietà, o comunque il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la situazione giuridica del richiedente, per tutte le aree direttamente interessate dall'intervento, costituisce dunque un requisito di legittimazione dell'istanza che deve essere procedimentalmente dimostrato ai fini dell'ammissibilità stessa della domanda.

L'interclusione del fondo oggetto della richiesta di intervento non attiene ai generici rapporti civilistici del richiedente con i terzi alle quali l'amministrazione è del tutto estranea ma invece concerne propriamente un presupposto necessario di legittimazione della società richiedente, ai sensi del cit. art. 11. primo co. del D.Lgs. n. 380, la quale avrebbe quindi dovuto allegare all'istanza tutti i titoli di servitù di transito veicolare sulla proprietà altrui. Il difetto del possesso dei titoli reali relativi ai diritti di passaggio veicolare attraverso il cortile altrui costituisce un elemento procedimentalmente ostativo, per il quale legittimamente si nega il rilascio del permesso di costruire.

Cons. Stato n. 7344/2010

Deve convenirsi col primo giudice, in ogni caso, sulla liceità della condizione apposta (in conformità dell'impegno assunto dalla Bruna), non essendo invero ravvisabili gli estremi di cui all'art. 1435 Cod. Civ. per configurare la pretesa vis esercitata dal Comune; né sussiste violazione dell'art. 1987 Cod. Civ. in tema di efficacia della promessa unilaterale della prestazione in presenza, nella specie, del disposto dell'art. 49, quarto comma, della Legge Regionale del Piemonte 5 dicembre 1977 n. 56, che contempla espressamente che vengano apposte condizioni alle concessioni purché accettate dal proprietario con atto di impegno unilaterale (nella specie liberamente, giusta art. 1435 cit., assunto dall'interessata con la formalizzazione per atto notarile; né è dimostrato il contrario).

Cons. Stato n. 5223/2009

Il primo comma dell'art. 11, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, infatti, prevede espressamente che il permesso di costruire è "rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo". La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia.

In sede di rilascio del titolo edilizio, l'amministrazione non è tenuta a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà del richiedente, ovvero a risolvere controversie circa i diritti reali vantati da terzi sull'immobile, essendo sufficiente l'esibizione di un titolo che formalmente abiliti al rilascio dell'autorizzazione e facendo ovviamente salvi i diritti dei terzi.

Cons. Stato n. 3027/2007

La disciplina contenuta nell'art. 11 comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, richiede per edificare la "disponibilità" dell'area e implica una relazione qualificata a contenuto reale con il bene (come proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario), anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre con un intervento costruttivo (Cons. di Stato, V, 4 febbraio 2004, n. 368). In questo senso la giurisprudenza ammette la richiesta da parte di altro titolare del diritto, reale o anche obbligatorio, ma ciò quando, per effetto di essi, l'interessato abbia obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui è chiesta la concessione edilizia (ora permesso di costruire): in altre parole, quando il richiedente sia autorizzato in base al contratto o abbia ricevuto espresso consenso da parte del proprietario (Cons. St., V, 15 marzo 2001, n. 1507). Sicché, la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all'Amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto.

Cons. Stato n. 2506/2003

I titoli per l'esercizio dello "ius aedificandi" costituiscono un presupposto legale la cui mancanza impedisce infatti all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 11 Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

R. T. chiede
martedì 06/06/2023
“Buona sera
Sono il proprietario di un albergo dove all'interno vive un mio parente in un appartamento privato di sua proprietà all’ultimo piano.
2 anni fa questo parente ha ristrutturato casa, e ha tagliato e aperto il tetto creandosi un terrazzo dove dal suo soggiorno può uscire all aperto.
Il comune tra l’altro gli ha rilasciato tutte le concessioni.
La mia domanda è:
Se il tetto è in comune come riportato sulla divisione materiale con pm1 che sarei io e pm2 che sarebbe questo mio parente e anche come segnato a catasto, è abuso edilizio?
Siccome a me non è stata richiesta firma o consenso per modificare il tetto che in parte è anche mio”
Consulenza legale i 13/06/2023
Secondo quanto emerge dal quesito (e in disparte la questione delle destinazioni d’uso dell’immobile che non appare molto chiara ma che non sembra avere un peso decisivo ai fini della risposta), i lavori svolti dal vicino presentano una consistenza tale da escludere che si tratti di un intervento edilizio minore, oltre ad aver interessato una parte di proprietà comune dell’edificio.
Pertanto, è utile richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, qualora gli interventi edilizi siano in grado di incidere su parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all'uso normale della cosa comune (art. 1102 del c.c.), essi abbisognano, in sede di rilascio del titolo autorizzativo, del previo assenso degli altri comproprietari - eventualmente costituiti in condominio - anche in relazione agli aspetti pubblicistici, purché sia assicurata la conoscibilità dei limiti privatistici al momento dell'emissione del titolo edilizio (anche a mezzo di apposita denuncia dei comproprietari/condomini) e tali limiti non siano oggetto di contestazione tra il richiedente e gli altri comproprietari (T.A.R. Napoli, sez. II, 16 novembre 2021, n. 7256).

In applicazione di di tale principio, affermato in modo costante anche in tema di condominio (T.A.R. Salerno, sez. III, 07 ottobre 2022, n. 2616), è stato ritenuto legittimo il diniego del permesso di costruire quando la P.A. abbia verificato che il richiedente non ha titolo su piano civilistico per eseguire le opere descritte in progetto, perché l'area di interesse è in parte in comproprietà con soggetti che non hanno prestato il consenso (T.A.R. Torino, sez. II, 05 ottobre 2022, n. 797).
Sulla base di quanto sopra e verificato che in effetti gli assetti proprietari siano quelli descritti nel quesito, si potrebbe in astratto affermare la illegittimità del titolo edilizio rilasciato al vicino.
Quanto alle azioni che è possibile intraprendere in concreto, tuttavia, la questione è più complessa, visto che gli interventi edilizi risalgono ormai a due anni fa.
Infatti, considerato che si tratta di opere risalenti e che è difficile sostenere di aver avuto solo oggi conoscenza della illegittimità del titolo abilitativo (anche solo perché sono opere esterne), sembrano ormai sembrano scaduti i termini per un eventuale ricorso al T.A.R.; in alternativa, si potrebbe provare – preferibilmente dopo aver esaminato i titoli edilizi per mezzo di un’istanza di accesso, in quanto necessari ad avere un quadro più completo della situazione – a chiedere al Comune di procedere all’annullamento in autotutela dei permessi rilasciati, in quanto illegittimi per assenza del consenso del comproprietario della parte del bene interessata.
Al riguardo, va sottolineato però che l’art. 21 novies della legge sul proc. amministrativo fissa in dodici mesi il termine massimo per l’Amministrazione per intervenire in autotutela, termine che dunque dovrebbe essere già scaduto, a meno che il Comune non rilevi la presenza di una situazione che ammette la deroga, come ad esempio una errata rappresentazione dei fatti da parte del destinatario del provvedimento.

P. P. chiede
giovedì 24/03/2022 - Veneto
“Sono comproprietario per 2/8 di un immobile dove abito da solo. Il confinante, con la scusa di dipingere il muro che si affaccia sulla mia terrazza, mi ha fatto firmare una SCIA.
In realtà i lavori comprendevano anche l'installazione di un cappotto di 12 cm e altri interventi all'esterno del muro, cioè in casa mia.
Non avendo mai avuto deleghe dai comproprietari la SCIA non avrebbe dovuto essere firmata da tutti?
Se la SCIA presentata è irregolare c'è la possibilità di contestare tutti i lavori fatti?
Se contestabile come posso agire ?
Grazie”
Consulenza legale i 31/03/2022
Il fondamentale presupposto per poter ottenere un legittimo titolo abilitativo edilizio è che il soggetto che lo richiede possa vantare un titolo idoneo per eseguire l’attività edificatoria, cui corrisponde il relativo potere - dovere dell’Amministrazione di verificare con serietà e rigore che il richiedente abbia il necessario godimento dell’immobile sul quale intende intervenire (TAR Brescia, sez. I, 28 settembre 2018, n. 924).
Pertanto, anche se le autorizzazioni edilizie sono sempre concesse “salvi i diritti di terzi”, quando le opere incidono sui diritti di altri soggetti (come comproprietari e, a maggior ragione, confinanti) l’Amministrazione può legittimamente chiedere il consenso di tutti gli interessati (T.A.R. Napoli, sez. IV, 03 settembre 2019, n. 4441; T.A.R. Napoli, sez. II, 07 giugno 2013, n. 3019).

Nel caso di specie, secondo quanto illustrato nel quesito, l’assenso esplicito alla realizzazione dei lavori è stato prestato soltanto da parte di un comproprietario di una minoranza di quote a titolo personale, quando invece -secondo i principi sopra ricordati- sarebbe stato necessario appurare la volontà anche degli altri partecipanti alla comunione.
Non essendo noto allo scrivente a quando risalga la presentazione della SCIA edilizia non è possibile andare troppo nello specifico, ma si ricorda comunque in via di principio che l’Amministrazione può entro trenta giorni esercitare poteri inibitori e ripristinatori, nonché intervenire in autotutela nei modi e nei tempi sanciti dall’art. 21 novies, L. n. 241/1990.

Vista l’esistenza di precisi termini temporali che in qualche modo limitano l’azione della P.A., si consiglia dunque di rivolgersi quanto prima al Comune segnalando i fatti e chiedendo di provvedere alle opportune verifiche e di adottare i dovuti provvedimenti.
Solo a seguito della risposta dell’Ente sarà possibile valutare la sussistenza dei presupposti e dei termini per promuovere un'eventuale azione giudiziaria.

Cecconi E. chiede
martedì 30/07/2019 - Toscana
“Premessa:
Si tratta di un fondo commerciale ubicato al piano terra di un fabbricato condominiale su tre piani fuori terra, ubicato in Comune di Prato. Il fabbricato condominiale fa parte di una schiera di fabbricati in linea ed in aderenza fra loro, edificati nella prima metà del ventesimo secolo. (vedi grafico stato attuale).
Iil fondo commerciale sul retro si prolunga rispetto al fabbricato latistante alla sua sinistra ; la distanza sul retro fra i fabbricati dal confine di questo prolungamento è di circa 1,65 ml, mentre la distanza rispetto aal corpo di fabbrica aggettante del fabbricato del vicino è di ml.4,70.
Nel fondo commerciale sono esistenti e legittimate due finestre, mentre nel corpo di fabbrica del vicino non sono presenti aperture.
E’ stata presentata segnalazione certificata di inizio attività edilizia per cambio di destinazione d’uso da fondo commerciale a residenziale con opere, in conformità con gli strumenti urbanistici vigenti ed adottati del Comune di Prato. Il progetto prevede fra le altre opere lo spostamento parziale di una delle due finestre e l’apertura di una porta per accedere al resede tergale.
Il comune di Prato ha notificato tramite PEC sospensiva della Segnalazione Certificata di Inizio Attività Edilizia con la richiesta: ”Occorre l'Atto di assenso per la nuova apertura a distanza irregolare dal confine ovest (nuova camera)” quale atto di conformazione da produrre sotto forma di scrittura privata sottoscritta con il vicino per costituire servitù per l’apertura.
A seguito di tale richiesta ho preso appuntamento con il tecnico istruttore della pratica al Comune di Prato il quale ha confermato in modo fumoso riferendosi genericamente alle Norme Tecniche di Attuazione che la distanza fra i fabbricati è inferiore ai 5,00 ml e quindi occorre scrittura privata.

Quesito:
Visto che il Comune di Prato per la conformazione della SCIA richiede una scrittura privata fra i vicini, desumo che la norma a cui si riferisce il tecnico comunale non sia una norma urbanistica perché questa sarebbe inderogabile e nelle norme tecniche di attuazione sia del Regolamento Urbanistico Vigente, né nelle norme tecniche di Attuazione del Piano Operativo approvato ma non ancora pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana, né nel Regolamento Edilizio ho trovato evidenza di quanto chiede, pertanto visto che il vicino per la sottoscrizione della scrittura richiede un indennizzo, chiedo un parere sulla legittimità della richiesta da parte del Comune di Prato di produrre scrittura privata..”
Consulenza legale i 07/08/2019
Entrando subito nel merito del quesito, la richiesta del Comune, tesa alla produzione della scrittura privata recante il consenso del vicino, appare del tutto legittima.

Difatti, chi intende edificare a distanza inferiore al limite legale, oppure costituire una servitù sul fondo servente, deve premunirsi depositando presso il Comune il “nulla osta” da parte dei vicini. Il principio è stato confermato anche dal TAR Roma (sent. 9879/2016).

Il T.A.R. Roma, evidenziando come il necessario consenso del confinante trae fondamento dalla previsione di cui all’articolo 11 D.P.R. 380/2001, che al comma 3 dispone che “il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”, ha infatti statuito che l’Amministrazione competente, non potendo ledere i diritti dei terzi (non destinatari diretti del provvedimento concessorio), deve necessariamente avere la certezza che il confinante sia d’accordo con la limitazione del proprio diritto di proprietà.

Ciò, d’altronde, presenta anche l’utilità di prevenire future impugnazioni del permesso di costruire da parte dei terzi, con notevole aggravio di tempo e di spese, sia per le parti che per la Pubblica Amministrazione.

Pertanto, nulla vieta al confinante di chiedere un “indennizzo” per prestare il proprio consenso.

In mancanza dell'accordo negoziale, ci si potrà rivolgere al Giudice al fine di ottenere una sentenza che dichiari la necessità di ottenere la servitù. Tuttavia, anche in tali ipotesi non si potrà sfuggire al pagamento di una indennità, dato che la costituzione di servitù coattiva è conseguenza di una sentenza (o di un provvedimento amministrativo) destinati a regolare le modalità concrete dell'esercizio del diritto, nonché a determinare "l'indennità dovuta" da parte del titolare del fondo servito al titolare di quello servente.

Difatti, l’articolo 1032, comma 2, c.c. prevede espressamente che il giudice debba determinare l’entità dell’indennità dovuta. In tal modo la legge ha equilibrato le necessità del fondo dominante con il diritto del fondo servente a non subire limitazioni, se non dietro la corresponsione di una indennità.


Per permettere una diretta presa di coscienza riguardo l'orientamento della giurisprudenza amministrativa sull'argomento, si riporta qui un passaggio della sentenza del Tar Roma sopraccitato:

[...] Osserva il Collegio che il presupposto della misura sanzionatoria, rinvenuto dall’Amministrazione comunale nello stesso provvedimento nella “assenza del consenso del confinante”, trae fondamento dalla previsione di cui all’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 che al comma 3 dispone che “Il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”. Occorre, a tale riguardo, rilevare che in materia di tutela dei terzi l'amministrazione deve considerarsi onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio, senza che si possa pretendere che questa assuma il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario (cfr., fra le tante . T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 19 maggio 2015, n. 2763). Ai fini del rilascio di un titolo abilitativo edilizio, il Comune è dunque obbligato a verificare il rispetto dei limiti privatistici solo a condizione che essi siano agevolmente conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi, senza necessità di procedere ad una accurata e approfondita disamina dei rapporti civilistici [...].