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Eredità, se un altro erede ristruttura in autonomia la casa ereditata paghi anche tu i lavori: ecco la Cassazione

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Eredità, se un altro erede ristruttura in autonomia la casa ereditata paghi anche tu i lavori: ecco la Cassazione
Cosa succede se uno degli eredi ristruttura a proprie spese un immobile ereditario? Può pretendere il rimborso? Vediamo che ne pensa la Cassazione
Cosa succede se i beni ereditari vengono divisi, e uno degli eredi chiede il rimborso di quanto ha speso per ristrutturare, di tasca propria, uno degli immobili in successione?
Si tratta di un caso abbastanza frequente nella pratica, tanto è vero che è stato affrontato e risolto più volte dalla Corte di Cassazione. Vediamo qual è stata la soluzione data dagli Ermellini.


La prima pronuncia che andiamo a esaminare è quella della Seconda Sezione Civile della Suprema Corte, la sentenza n. 3050/2020.

Nel caso di specie due coeredi convenivano in giudizio i loro due fratelli germani e la madre, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria sui beni relitti del padre, deceduto nel 1974, nonché la condanna di uno dei due fratelli al pagamento dei frutti civili ed alla resa del conto. Quest’ultimo, dal canto suo, si costituiva in giudizio eccependo l’intervenuta prescrizione del credito avente ad oggetto i frutti civili, e chiedeva, in via riconvenzionale, l’accertamento in suo favore dell’usucapione dei beni immobili e dei terreni pertinenziali oggetto della domanda di divisione presentata dagli attori, oltre al rimborso della somma da lui sostenuta per i lavori di ristrutturazione svolti in uno degli immobili oggetto della controversia, pari a 150.000 euro.

Potrebbe sembrare una questione complessa, come in effetti sono tutte le vicende ereditarie. Tuttavia, cercheremo di semplificare e di spiegare meglio soprattutto il punto che a noi interessa in questa sede: vale a dire cosa e quanto spetta al coerede che spende soldi per la ristrutturazione di un bene ereditario. Può pretendere un rrimborso integrale, oppure ha diritto a una somma forfettaria o, addirittura, non gli spetta nulla?
Vediamo la risposta della Cassazione.

Facciamo solo una brevissima premessa sullo svolgimento del processo: in primo grado, infatti, il Tribunale accoglieva la domanda dell'attore, disponendo lo scioglimento della comunione ereditaria e condannando il convenuto al pagamento dei frutti da lui dovuti per l’uso esclusivo di un immobile.
Quest’ultimo proponeva appello e la Corte d'Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado in relazione al pagamento dei frutti, riducendoli a quelli dovuti per il solo periodo successivo alla domanda giudiziale, ma ne confermava tutti gli altri punti. Dunque, niente rimborso per il coerede che si era sobbarcato i costi di ristrutturazione.

Alla luce di tale decisione il coerede ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1720 del c.c. e degli articoli 115 e 116 del c.p.c., stante il mancato riconoscimento del suo diritto ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile da lui abitato e ricadente nell’asse ereditario del defunto padre.

La Corte di Cassazione, giudicando fondato il motivo di impugnazione, ha accolto con rinvio il ricorso ribadendo il seguente principio di diritto:"Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150 del c.c., secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti, ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore”.

Dunque, il coerede che aveva migliorato a proprie spese l'immobile ha ottenuto il rimborso.
Si tratta di un orientamento niente affatto isolato, anzi recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza, 17/01/2023, n. 1207 della Sez. VI - 2 Civile. Anche questa recentissima pronuncia ha affermato, infatti, quanto segue: "Il coerede, il quale abbia apportato miglioramenti al bene ereditario da lui posseduto, non può invocare la disciplina dell'art. 1150 c.c. - la quale attribuisce al terzo possessore di buona fede una indennità pari all'aumento di valore della cosa per effetto dei miglioramenti - ma, quale mandatario o utile gestore degli altri compartecipi alla comunione ereditaria, ha unicamente il diritto di essere rimborsato delle spese fatte per la cosa comune, dal momento che lo stato di indivisione riconduce all'intera massa i miglioramenti apportati dal coerede".


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