Cass. civ. n. 1879/2011
La menomazione della capacità lavorativa specifica, configurando un pregiudizio patrimoniale, deve essere ricondotta nell'ambito del danno patrimoniale e non del danno biologico; ne consegue che le somme riconosciute a titolo di danno da perdita della capacità di guadagno futuro, integrando un danno patrimoniale, rientrano nella massa attiva del fallimento e devono essere in questa ricomprese, non potendo essere sussunte nelle fattispecie di cui all'art. 46, primo comma, nn. 1) e 2), della legge fallimentare.
Cass. civ. n. 1112/2010
L'art. 46, n. 3, della legge fall. (nel testo anteriore al D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5), secondo cui non sono compresi nel fallimento i redditi dei beni costituiti in patrimonio familiare, salvo quanto disposto dagli artt. 170 e 326 c.c., sebbene dettato per l'abrogato istituto del patrimonio familiare, si applica anche al nuovo istituto del fondo patrimoniale, ad esso succeduto, in quanto, pur non coincidendo le relative discipline, per l'attenuazione dei vincoli di inalienabilità ed inespropriabilità previsti in riferimento al fondo patrimoniale, risultano identici i fini perseguiti dai due istituti e lo strumento a tal fine predisposto, consistente nella previsione di un patrimonio separato costituito da un complesso di beni determinati, assoggettati ad una speciale disciplina di amministrazione ed a limiti di alienabilità ed espropriabilità.
Cass. civ. n. 24416/2009
L'assegno di mantenimento erogato a norma dell'art.13 del d.l. 10 gennaio 1991, n.13 ai collaboratori di giustizia ha natura integralmente alimentare, in quanto conferito a chi si trovi nell'impossibilità di svolgere attività lavorativa e determinato in ragione delle condizioni del collaboratore e delle persone a suo carico; pertanto, in caso di intervenuto fallimento del collaboratore, il giudice delegato non può disporne l'acquisizione neppure parziale all'attivo fallimentare, essendo tale potere, ai sensi dell'art. 46, secondo comma, della legge fall., esercitabile sulle sole quote di reddito che non abbiano tale specifica destinazione.
Cass. civ. n. 20804/2009
La locazione, quando abbia ad oggetto un immobile destinato esclusivamente ad abitazione propria del fallito e della sua famiglia, non integra un rapporto di diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore, secondo la previsione dell'art. 43 legge fall., ma un rapporto di natura strettamente personale, ai sensi dell'art. 46 n. 1 del citato testo di legge, rivolto al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita, il quale è indifferente per il fallimento e resta correlativamente sottratto al potere di recesso del curatore; ne consegue che il conduttore fallito è da considerarsi legittimato all'esercizio, ex art. 79 della L. n. 392 del 1978, dell'azione di ripetizione dell'eccedenza dei canoni convenzionali pagati rispetto a quelli dovuti, la cui relativa somma non può, peraltro, ritenersi acquisita al fallimento stesso prima che la suddetta azione sfoci in una sentenza di condanna del locatore.
Cass. civ. n. 17751/2009
La natura assistenziale e previdenziale del trattamento di fine rapporto ne giustifica, in caso di fallimento dell'avente diritto, l'assoggettabilità allo speciale regime previsto dall'art. 46 della legge fall., che, in deroga alla generale regola della indisponibilità del patrimonio del fallito posta dall'art. art. 44 della legge fall., esclude dall'attivo fallimentare, nei limiti di quanto occorre per il mantenimento del fallito e della sua famiglia, le somme spettanti al fallito stesso a titolo di stipendio, pensione o salario, così come determinate con decreto del giudice delegato; l'efficacia retroattiva di tale decreto determina a sua volta l'inopponibilità, nei confronti dei creditori concorsuali, del pagamento nel frattempo disposto, in favore del fallito, dal terzo debitore, qualora il giudice delegato abbia disposto l'acquisizione per intero alla procedura fallimentare del citato emolumento, senza che il "solvens" possa invocare la rilevanza del proprio stato soggettivo, ai sensi dell'art. 1189 c.c.
Cass. civ. n. 16668/2008
Il fallito è il solo legittimato ad agire e resistere nelle controversie concernenti la validità del contratto di locazione avente ad oggetto un immobile destinato esclusivamente ad abitazione per sé e per la propria famiglia, atteso che, in tal caso, la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione dell'art. 43, legge fall., bensì un rapporto di natura strettamente personale ai sensi dell'art. 46, legge fall., in quanto rivolto al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita ed inidoneo ad incidere sugli interessi della massa, perciò indifferente per il curatore; ne consegue che l'art. 80, secondo comma, legge fall. (vigente ratione temporis), nel prevedere che il curatore subentra nel rapporto di locazione, con facoltà di recesso, non opera con riguardo al contratto di locazione che abbia ad oggetto il predetto immobile, a prescindere dalla proporzionalità o meno della sua consistenza rispetto alle citate esigenze personali, conclusione del contratto prima o dopo il fallimento, dal rispetto o meno dello speciale regime vincolistico delle locazioni degli immobili urbani e salvo, in questo ultimo caso, l'eventuale recupero alla massa di somme sottratte ai creditori ed esorbitanti dai limiti delle necessità di vita familiari del fallito stesso. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo al giudizio promosso dal conduttore, in seguito fallito, per la determinazione del c.d. equo canone ai sensi dell'art. 12 della legge n. 392 del 1978 e per la restituzione delle somme eccedenti tale misura).
Cass. civ. n. 20325/2007
Il pagamento degli stipendi, pensioni, salari ed altri emolumenti di cui all'art. 46, primo comma, n. 2, legge fallimentare, effettuato dal debitore direttamente al fallito prima dell'emanazione del decreto con cui il giudice delegato, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, fissa i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia, è inefficace, ai sensi dell'art. 44, secondo comma, legge cit., soltanto per gli importi eccedenti detti limiti, come determinati dal giudice delegato con riferimento al periodo anteriore al suo decreto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte territoriale che aveva ritenuto l'inefficacia totale dei pagamenti eseguiti dall'Enasarco, nel periodo anteriore all'emissione del decreto del giudice delegato, sul solo rilievo di tale anteriorità.
Cass. civ. n. 15493/2005
È acquisibile alla massa attiva del fallimento — non rientrando fra i beni e diritti di natura strettamente personale, di cui all'art. 46, n. 1, della legge fall. — l'indennità assicurativa corrisposta al fallito in relazione ad un infortunio lesivo dell'integrità personale, intesa a ristorare (nella specie, alla luce delle previsioni contrattuali e dei criteri di liquidazione concretamente adottati dalla commissione arbitrale), non il danno biologico o il danno morale, ma il solo danno patrimoniale in senso stretto, conseguente alle lesioni subite in termini di perdita e di mancato guadagno.
Cass. civ. n. 13342/2004
Le somme dovute dall'assicuratore in forza di un contratto di assicurazione sulla vita sono impignorabili (art. 1923, primo comma, c.c.) e, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 46 n. 5, legge fallimentare, non sono comprese nel fallimento; siffatta disciplina è applicabile anche all'assicurazione contro gli infortuni esclusivamente in riferimento alle indennità dovute per un infortunio mortale, non anche alle indennità dovute per un infortunio che abbia cagionato un'invalidità permanente, senza che, in contrario, possa assumere rilevanza l'eventuale configurazione nel contratto della natura «personale» del credito, sia perché essa vale soltanto ad escludere la trasmissibilità agli eredi del diritto all'indennità, sia perché l'impignorabilità di un bene, quindi la sua sottrazione all'attivo fallimentare, costituisce materia riservata alla legge e sottratta alla disponibilità delle parti.
Cass. civ. n. 8676/2000
Le somme dovute dall'assicuratore in forza di assicurazione sulla vita (le quali, a mente del primo comma dell'art. 1923 c.c., «non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare») vanno escluse dall'attivo fallimentare, ex art. 46 n. 5 L. fall., soltanto se esse costituiscono l'oggetto del contratto in relazione alla funzione tipica di quest'ultimo, riferita al momento della naturale cessazione del rapporto. Ne consegue che, essendo la fattispecie contrattuale dell'assicurazione sulla vita funzionale al conseguimento dello scopo di previdenza (rectius, del risparmio finalizzato alla previdenza), tale finalità può dirsi raggiunta soltanto nel caso in cui il contratto abbia raggiunto il suo scopo tipico (quello, cioè, della reintegrazione del danno, provocato dall'evento morte e/o sopravvivenza, attraverso la prestazione dell'assicuratore preventivamente stimata idonea a soddisfare l'interesse leso da tale evento), e non anche in quello in cui l'assicurato, mercé l'esercizio del diritto di recesso ad nutum, recuperi al suo patrimonio somme che, pur realizzando lo scopo di «risparmio», non integrano altresì gli estremi della funzione «previdenziale», e che, pertanto, vanno del tutto legittimamente acquisite all'attivo fallimentare (operandosi in tal caso lo scioglimento del contratto ipso iure, e senza che rilevi, in contrario, la dizione letterale dell'art. 1923 cit., nel quale il riferimento alle «somme dovute», pur non contenendo alcuna distinzione di titolo obbligatorio, è pur sempre rapportabile all'obbligazione principale dedotta in contratto, mentre il versamento dell'importo del riscatto a seguito di recesso postula una situazione esattamente contraria, e cioè la cessazione anticipata del rapporto stesso).
Cass. civ. n. 8379/2000
Ai sensi dell'articolo 43 L. fall. la perdita della legittimazione processuale del fallito coincide con l'ambito dello spossessamento fallimentare; poiché i rapporti relativi alla costituzione di un fondo patrimoniale non sono compresi nel fallimento trattandosi di beni che, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori, permane rispetto ad essi la legittimazione del debitore; sussiste pertanto la legittimazione processuale del fallito nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria fallimentare del fondo patrimoniale.