(massima n. 1)
Le somme dovute dall'assicuratore in forza di assicurazione sulla vita (le quali, a mente del primo comma dell'art. 1923 c.c., «non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare») vanno escluse dall'attivo fallimentare, ex art. 46 n. 5 L. fall., soltanto se esse costituiscono l'oggetto del contratto in relazione alla funzione tipica di quest'ultimo, riferita al momento della naturale cessazione del rapporto. Ne consegue che, essendo la fattispecie contrattuale dell'assicurazione sulla vita funzionale al conseguimento dello scopo di previdenza (rectius, del risparmio finalizzato alla previdenza), tale finalità può dirsi raggiunta soltanto nel caso in cui il contratto abbia raggiunto il suo scopo tipico (quello, cioè, della reintegrazione del danno, provocato dall'evento morte e/o sopravvivenza, attraverso la prestazione dell'assicuratore preventivamente stimata idonea a soddisfare l'interesse leso da tale evento), e non anche in quello in cui l'assicurato, mercé l'esercizio del diritto di recesso ad nutum, recuperi al suo patrimonio somme che, pur realizzando lo scopo di «risparmio», non integrano altresì gli estremi della funzione «previdenziale», e che, pertanto, vanno del tutto legittimamente acquisite all'attivo fallimentare (operandosi in tal caso lo scioglimento del contratto ipso iure, e senza che rilevi, in contrario, la dizione letterale dell'art. 1923 cit., nel quale il riferimento alle «somme dovute», pur non contenendo alcuna distinzione di titolo obbligatorio, è pur sempre rapportabile all'obbligazione principale dedotta in contratto, mentre il versamento dell'importo del riscatto a seguito di recesso postula una situazione esattamente contraria, e cioè la cessazione anticipata del rapporto stesso).