A garanzia dell'indipendenza delle funzioni giurisdizionali, la norma in esame sancisce l'
inamovibilità dei magistrati.
L'inamovibilità opera in due direzioni: sia
verso l'esterno garantendo che il magistrato non può essere sollevato dalla funzione se non per specifiche cause, quale l'incapacità sopravvenuta (inamovibilità funzionale), sia
verso l'interno in quanto il singolo non può essere trasferito in una sede diversa da quella in cui opera se non nei casi ed alle condizioni di legge (inamovibilità della sede).
Inoltre, l'eventuale trasferimento è assistito da una serie ulteriore di garanzie. Innanzitutto, deve essere disposto dal CSM quale organo di autogoverno della
magistratura che presenta i necessari requisiti di indipendenza (v. art.
104 e
105 Cost.). Inoltre, le cause che lo legittimano devono essere state previste dall'
ordinamento giudiziario. Infine, se non vi è il consenso del magistrato è necessario che siano rispettate le garanzie della difesa.
Per quanto concerne il
procedimento disciplinare, in seguito all'emanazione del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 l'iniziativa per promuovere il giudizio in esame spetta, oltre che al
Ministro della Giustizia, anche al
Procuratore generale presso la
Corte di cassazione (art. 14). Tali iniziative si differenziano in quanto quest'ultima è obbligatoria mentre la prima è facoltativa. Inoltre, si consideri che la prima potrebbe far sorgere il dubbio di possibili interferenze tra poteri dello Stato. Tuttavia, al guardasigilli spetta solo la possibilità di avviare il procedimento, mentre la decisione rimane riservata al CSM.
L'indipendenza è garantita anche dal principio secondo il quale i magistrati si distinguono tra loro solo per
diversità di funzioni, con esclusione di criteri organizzativi improntati alla gerarchia interna e dall'art.
134 in base al quale è possibile rimettere al giudizio della
Corte Costituzionale le controversie relative alla legittimità delle leggi ed i
conflitti di attribuzione tra
poteri dello Stato.
In relazione al
pubblico ministero, invece, coloro che sono ai vertici degli uffici (Procuratore generale in Cassazione ed in Corte di appello e
Procuratore della Repubblica nel Tribunale) li dirigono e ne disciplinano il lavoro. In particolare, essi provvedono a ripartire i procedimenti tra coloro che fanno parte di tali uffici. La possibilità che i singoli procedimenti vengano tolti ad un ufficio per essere assegnati al procuratore generale (c.d. avocazione) è oggi ipotesi solo eccezionale (art.
372,
409 e
412 c.p.p.). Infine, merita menzione la
Direzione nazionale antimafia (con le correlative direzioni distrettuali) istituita con l. 20 gennaio 1992, n. 8 e composta da soggetti dotati di particolari competenze utili alle indagini in materia.
La Corte Costituzionale ha ribadito come il p.m. goda delle
stesse garanzie previste per la magistratura giudicante e ciò ai sensi dell'
art. 112 Cost. e del principio di obbligatorietà dell'
azione penale in esso contemplato. Tale regola è stata così interpretata alla stregua di una logica conseguenza del principio di cui all'art.
101 comma 2 della Costituzione. In questo modo sono state contrastate le tesi che volevano meno garanzie a favore della magistratura requirente sulla base dell'assenza di un apposito principio in materia a livello costituzionale. Su di esse hanno costantemente fatto leva le correnti tendenti ad attrarre la categoria nell'alveo del
potere esecutivo ovvero a separare le carriere in esame.