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Articolo 374 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Frode processuale

Dispositivo dell'art. 374 Codice Penale

Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo(1), al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da uno a cinque anni [375, 384](2).

La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale internazionale(3), o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela [120], richiesta [8, 9, 10, 11, 12, 127, 131] o istanza [9, 10], e questa non è stata presentata [375, 384](4).

Note

(1) Per quanto riguarda i procedimenti civili e amministrativi, si ritiene necessario che questi siano già in corso, a differenza di quelli penali, rispetto ai quali la condotta criminosa viene a integrarsi anche anteriormente al loro inizio, dal momento che si tratta di situazioni dove più forte è l'esigenza di garantire la genuinità della prova.
(2) Comma modificato dall'art. 1, L. 11 luglio 2016, n. 133 con decorrenza dal 2 agosto 2016.

Immutare artificiosamente significa operare una qualsiasi modificazione, alterazione o trasformazione di una cosa, fraudolentemente, al fine di ingannare.
Alcuni autori ritengono possibile anche la frode omissiva, qualora l'agente (si pensi al custode) sia garante della conservazione dello stato dei luoghi o delle cose.
(3) L'art. 10, comma 6, L. 20 dicembre 2012, n. 237 ha inserito il riferimento alla Corte penale internazionale.
(4) Si applicano poi le circostanze aggravanti di cui all'art. 375 e l'esimente dell'art. 384.

Ratio Legis

Il legislatore introducendo tale disposizione ha voluto così tutelare il buon funzionamento della giustizia, relativamente al profilo delle acquisizioni probatorie.

Brocardi

Immutatio loci, rerum, personae

Spiegazione dell'art. 374 Codice Penale

La norma è diretta a tutelare la genuinità delle fonti tramite le quali si fonda o si può fondare il convincimento del giudice in ordine a determinati elementi di prova.

La condotta di rilevanza penale consiste nell'artificiosa alterazione o trasformazione materiale dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, al fine di trarre in inganno il giudice nel corso delle ispezioni giudiziali, degli esperimenti giudiziali, ovvero nell'espletamento dell'attività peritale. L'elencazione è peraltro tassativa, non potendosi dunque estendere ad altri momenti processuali.

Data la connotazione in termini di reato di pericolo, l'alterazione o l'immutazione non devono necessariamente trarre in inganno il giudice, ma solamente essere in grado di farlo. La concretezza dell'idoneità esclude per contro la rilevanza penale dell'alterazione grossolana, in quanto tale assolutamente inidonea a trarre in inganno il giudice.

La norma prevede una differente rilevanza del momento in cui l'attività ingannatoria è posta in essere. Essa, infatti, nel processo penale, rileva anche se commessa prima dell'inizio del procedimento.

Si precisa ce la giurisprudenza ha negato il concorso del delitto in esame con la truffa di cui all'art. 640, dato che nella frode processuale manca l'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, nonostante al termine del processo vi possano sicuramente essere delle conseguenze patrimoniali negative per il soggetto passivo della frode processuale. Tuttavia, tali conseguenze patrimoniali sono “mediate” dal giudice tratto in inganno.

Massime relative all'art. 374 Codice Penale

Cass. pen. n. 15327/2019

In tema di frode processuale, la causa di esclusione della colpevolezza di cui all'art. 384, comma primo, cod. pen. è applicabile anche quando la situazione di pericolo, per la libertà o l'onore proprio o dei propri congiunti, sia stato volontariamente cagionato dall'autore del reato.

Cass. pen. n. 51681/2017

Il reato di frode processuale, previsto dall'art. 374 cod. pen., non è configurabile qualora la condotta ingannatoria consista nella consegna al consulente tecnico d'ufficio di documentazione fraudolentemente modificata che, tuttavia, risulti irrilevante rispetto all'oggetto dell'accertamento e, pertanto, inidonea ad incidere sulle concrete valutazione e determinazioni del consulente.

Cass. pen. n. 20454/2009

In caso di favoreggiamento, l'esimente di cui all'art. 384 c.p. è applicabile anche quando lo stato di pericolo - per la libertà o per l'onore - sia stato cagionato volontariamente dall'agente. (Fattispecie in cui, dopo un incidente sul lavoro occorso ad un dipendente, il caposquadra aveva mutato lo stato dei luoghi, così da far apparire una diversa dinamica dei fatti ed il rispetto delle norme antinfortunistiche. La Corte ha ritenuto che l'agente, oltre che per favorire il suo datore di lavoro, aveva agito per evitare una imputazione di concorso nel reato di lesioni personali).

Cass. pen. n. 5009/2008

Non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione colui che ha presentato denuncia per il delitto di frode processuale, trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva dell'interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia, relativamente al quale l'interesse del privato assume un rilievo solo riflesso e mediato, tale da non consentire l'attribuzione della qualità di persona offesa, ma solo quella di persona danneggiata dal reato.

Cass. pen. n. 45583/2007

Non integra la condotta del delitto di frode processuale in vista di un procedimento penale ancora da iniziarsi la ripulitura della scena del delitto (in specie, omicidio), posta in essere con la rimozione grossolana e maldestra delle tracce di sangue, facendo difetto in tali atti ogni potenzialità ingannatoria.

Non integrano il delitto di frode processuale gli atti di immutazione dei luoghi, delle cose o delle persone posti in essere nel medesimo contesto spazio-temporale dell'autore di una condotta criminosa (nella specie, omicidio), non potendosi ad essi attribuire autonomo rilievo al fine della configurazione del concorso materiale di reati, per la sostanziale contiguità e il difetto della necessaria alterità rispetto alla condotta precedente.

Cass. pen. n. 23615/2005

Il delitto di frode processuale, reato di pericolo a consumazione anticipata, è integrato da qualsiasi immutazione artificiale dello stato dei luoghi o delle cose, commessa al fine di inquinare le fonti di prova o di ingannare il giudice nell'accertamento dei fatti. Costituendo tale finalità il dolo specifico e non un elemento oggettivo del reato, il fatto che il giudice non abbia ancora disposto l'assunzione del mezzo di prova non assume alcuna rilevanza ai fini della configurabilità del reato.

Cass. pen. n. 41931/2003

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 374, primo comma c.p. (frode processuale), nella nozione di procedimento civile vanno compresi non solo il procedimento di cognizione e quello di esecuzione, ma anche i procedimenti cautelari che servono a predisporre e a garantire i mezzi probatori del processo definitivo (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la configurazione del reato de quo in un caso in cui era stato immutato artificiosamente lo stato dei luoghi di uno stabile in costruzione prima dell'espletamento dell'accertamento tecnico disposto dal presidente del tribunale ex art. 696 c.p.c.)

Cass. pen. n. 37409/2001

Non integra il reato di frode processuale la produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per la violazione delle norme sulla circolazione stradale, giacché tale reato richiede per la sua configurazione che il fatto sia compiuto al fine di trarre in inganno il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il perito nell'esecuzione di una perizia.

Cass. pen. n. 4026/2000

Una volta esclusa, almeno allo stato degli atti, l'inquadrabilità del fatto nello schema dell'illecito penale, non può legittimamente paralizzarsi l'esecuzione di un provvedimento giurisdizionale civile, attraverso l'attivazione di uno strumento tipico del processo penale. Pertanto, il sequestro preventivo non può essere utilizzato per fini diversi da quelli previsti dalla norma, ovvero non può surrogare altri istituti propri del diritto civile: in particolare, non può tutelare i privati interessi del debitore esecutato i quali possono trovare rimedio nei mezzi civilistici che l'ordinamento appresta. (Nella specie la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento di sequestro preventivo, emesso dal Gip, di una rilevante somma di denaro assegnata al creditore nell'ambito di una procedura esecutiva civile a carico del debitore, il quale aveva denunciato il creditore per il reato di truffa in suo danno commesso attraverso l'induzione fraudolenta in errore delle «competenti autorità giudiziarie», che avevano concesso il decreto ingiuntivo in favore dello stesso creditore: i giudici di legittimità hanno affermato il principio dopo avere precisato che non integra gli estremi dell'illecito penale l'induzione in inganno il giudice con artifici e raggiri al fine di conseguire con una decisione favorevole un ingiusto profitto a danno della controparte, non essendo prevista come reato la cosiddetta «truffa processuale», atteso che il giudice, con la propria decisione, va a incidere sul patrimonio altrui non con un atto di disposizione, ma sulla base di un potere pubblicistico; d'altra parte, la frode processuale assume rilievo penale solo nei ristretti limiti tipizzati dall'art. 374 c.p.).

Cass. pen. n. 13645/1998

In tema di frode processuale, prevista dall'art. 374 c.p., l'immutazione dei luoghi non integra il reato solo quando sia talmente grossolana e così agevolmente percepibile a prima vista da non essere idonea a indurre in errore nessuno, non comportando il pericolo implicato dalla norma incriminatrice, pericolo che esiste invece ogni qual volta l'immutazione sia percepibile soltanto a un esame non superficiale e possa sfuggire a un occhio non particolarmente esperto. (Fattispecie riguardante un immobile sul quale era stata disposta perizia per l'accertamento di vizi redibitori, derivanti da difetti dell'impianto idrico causativi di umidità nei muri, immobile del quale l'imputato aveva provveduto a ritinteggiare le pareti, così da occultare dette tracce, rilevabili solo da un occhio esperto e a seguito di attento esame).

Cass. pen. n. 8699/1996

In caso di frode processuale l'esimente di cui all'art. 384 c.p. è invocabile dal soggetto che abbia commesso l'immutazione allo scopo di eludere le investigazioni e di evitare un procedimento penale, in virtù del principio non esplicito, ma immanente al sistema, nemo tenetur se detegere. Tale causa di non punibilità è applicabile anche quando lo stato di pericolo - per la libertà o per l'onore - sia stato cagionato volontariamente dall'agente.

Cass. pen. n. 10386/1989

Il peculato per appropriazione di denaro o cosa mobile, appartenenti alla P.A., si realizza ogni qualvolta il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che ne ha il possesso per ragioni di ufficio, converta nelle proprie disponibilità — per un tempo minimo, purché apprezzabile — la cosa stessa anche se ciò avvenga con l'intenzione di restituirla e che poi effettivamente sia restituita. Qualora, invece, il pubblico funzionario prelevi il denaro o la cosa mobile e contestualmente li sostituisca con denaro dello stesso valore nominale o con cose aventi la medesima attitudine funzionale, viene a mancare l'elemento materiale del reato de quo, perché il predetto funzionario nulla converte nel proprio patrimonio e nessun interesse dello Stato-Amministrazione è correlativamente intaccato, salvo a realizzare con la predetta condotta, a seconda dello scopo illecito che si prefigga di raggiungere un diverso titolo di reato, ove ne ricorrano i presupposti. (Nella fattispecie un geometra dell'ufficio tecnico di un comune si era appropriato della testina rotante a carattere Livius di una macchina da scrivere elettrica, di cui si era valso per la redazione di uno scritto anonimo, sostituendola con un'altra testina a carattere Silvia, al fine di poter conservare l'anonimato, potendo attraverso la perizia dattilografica disposta dal giudice di merito, essere individuato quale autore dell'anonimo realizzandosi così l'ipotesi della frode processuale ex art. 374 c.p. e non già quella di peculato per appropriazione).

Cass. pen. n. 4467/1989

Il reato di frode processuale si configura non con una generica immutazione dei luoghi, ma solo con quella che abbia attitudine a generare l'inganno o il pericolo dell'inganno stesso.

Cass. pen. n. 1438/1986

L'ipotesi delittuosa della immutazione artificiosa dello stato delle cose anteriormente all'inizio di un procedimento penale, di cui all'art. 374 c.p., richiede, sotto il profilo oggettivo, che venga apportata allo stato delle cose una modificazione materiale tale da implicare il pericolo di una diversa interpretazione del fatto, a causa dell'alterazione delle sue componenti probatorie, come nel caso di una pistola sottratta, prima dell'arrivo dell'autorità giudiziaria, a persona deceduta in un conflitto a fuoco; sotto il profilo soggettivo esige il fine, nella specie rivelato dallo stesso comportamento dell'agente che ha taciuto della sottrazione e non ha dato altre motivazioni alla sua azione, di trarre in inganno l'autorità giudiziaria.

Cass. pen. n. 9075/1985

In tema di reati previsti dall'art. 374 c.p., l'assoluta inidoneità dell'immutazione dei luoghi a generare la frode processuale si verifica solo quando la condotta è talmente grossolana da rivelare ictu oculi l'artificio, sì da togliere qualsiasi potenzialità ingannatrice all'immutazione stessa con una valutazione da effettuare ex ante, in base agli strumenti apprestati o alla loro oggettiva capacità offensiva. Ne consegue che il compimento delle operazioni di ripristino e di ripulitura di un terreno agricolo in vista della coltivazione dello stesso, effettuate per contrastare lo stato di fatto presentato al sopralluogo dell'autorità giudiziaria in un procedimento di reintegra possessoria, peraltro consistente in una condizione di completa incoltura dell'area di terreno, configura l'elemento materiale del delitto de quo, essendo idoneo a far apparire, contrariamente alla realtà, che i terreni non erano in stato di abbandono, ma anzi preparati per le opportune colture.

Cass. pen. n. 9477/1982

Per la sussistenza del reato di cui all'art. 374 c.p. è sufficiente che l'immutazione artificiosa dei luoghi avvenga dopo l'instaurazione del giudizio civile, ciò che avviene, con la notifica dell'atto di citazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 374 Codice Penale

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B. P. chiede
sabato 31/12/2022 - Campania
“In una procedura di esecuzione immobiliare l'espropriata ha approfittando di artifici passati di falsa rappresentazione catastale rispetto al reale stato dei luoghi, ha occultato il condono del bene espropriato che ne rappresentava l'effettivo stato e consistenza sanandone la difformità catastale rappresentata da due particelle di cui una parte di un BCNC ed altra principale C/6 formante un parcheggio pubblico organico e funzionale. Inoltre la stessa esecutata aveva anche in epoca non sospetta presentata istanza di condono per tale accorpamento e cambio di destinazione, tutt'ora pendente. Al fine di sottrarre alla esecuzione la parte non riportata in catasto e registrata come BCNC la signora non ha mai denunciato tale esistenza del condono affermando anzi che la detta particella era esclusa dal pignoramento. Stranamente il CTU, pur incaricato di cercarlo, non ha trovato il condono facendo anche una falsa documentazione di aver chiesto l'accesso agli atti ufficio condono. Circostanza negata dall'ufficio condono. Il Ctu fa una relazione contraddittoria ed errata nella identificazione del bene oggetto di vendita circa la parte accessione per destinazione del pater familias. Dopo varie opposizioni dell'aggiudicatario il giudice da incarico ad altro CTU di effettuare nuove indagini ed infine trova il condono e la effettiva consistenza. Ma nel frattempo cambia il giudice e quello nuovo non tiene in alcun conto la nuova CTU con il condono rinvenuto. Pertanto da mandato al delegato di procedere con la stesura del decreto di trasferimento. Questi, senza tener conto del ritrovato condono, copia la bozza del primo giudice in tutto e per tutto senza inserire il condono trovato. Ora la domanda è: dato l'occultamento del condono, con il mancato ritrovamento del 1° CTU e il mancato inserimento del condono e della effettiva consistenza nel decreto di trasferimento firmato dal giudice ma predisposto dal delegato, non si ravvisano gli estremi di frode giudiziaria? Infatti la espropriata ha fatto una serie di opposizioni alla nostra richiesta di trasferimento anche della porzione aggregata e condonata, che oltre tutto è indispensabile al parcheggio perché ne consente l'accesso, asserendo strenuamente che era escluso e che l'aggiudicatario voleva approfittare di una superficie non dovuta, pur sapendo che lei stessa aveva fatto il condono comprovante il contrario. Non potendo provare come e perché il CTU aveva indirettamente favorito la sua tesi, posso procedere con una denuncia di truffa procedurale contro l'aggiudicataria e di danno per incompleto ed errato espletamento del mandato conferito dal giudice congiuntamente anche al delegato- custode? Quest'ultimo anche per aver omesso il condono rinvenuto dal CTU nel decreto di trasferimento? Spero che sia chiaro. Il punto è che io ho fatto anche opposizione al decreto di trasferimento ma il giudice che è della stessa sezione esecuzione mi ha dato torto ed ora ho presentato ricorso per CassazionNelle more volevo valutare anche un.azione autonoma contro la espropriata, il CTU sostituito dal giudice con altro e lo stesso delegato per mancata vigilanza e per omissione di inserimento del condono rinvenuto. Purtroppo è una estorsione perchè la espropriata vuole una somma enorme per chiudere la partita.”
Consulenza legale i 27/01/2023
Per quanto riguarda l’azione in sede penale occorre distinguere le posizioni dei soggetti:
poiché il CTU assume la funzione di Pubblico Ufficiale ai sensi dell'art. 357 del c.p., in qualità di ausiliario del Giudice, può incorrere in una serie di reati direttamente collegati a tale ruolo; la giurisprudenza ha chiarito che “In materia di reati contro la pubblica amministrazione con specifico riguardo alla nuova nozione di pubblico ufficiale introdotta dalla legge 26 febbraio 1990 n. 86, l'espressione "giurisdizionale" contenuta in detta legge deve essere intesa in senso improprio, non solo quale esercizio della giurisdizione, ma anche con riferimento alle funzioni di altri organi giudiziari (quale il pubblico ministero e gli ausiliari del giudice, tra i quali deve essere annoverato il curatore del fallimento)” (Cass. Pen. Sez. VI 14 settembre 1994 n. 9900). L’esperto stimatore, nell'espletamento della propria attività, è soggetto a responsabilità civile, penale e disciplinare. Reati indicati dal titolo III del codice penale, i DEI DELITTI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA sono riferibili però solo al “Perito”. Sotto il profilo penalistico occorre fare quindi riferimento all'art. 64 del c.p.c., che consente di applicare al consulente tecnico di ufficio, le disposizioni del codice penale relative ai periti, tra cui gli artt. 366 c.p. e 373 c.p., o la contravvenzione prevista per il caso di colpa grave nella esecuzione dell’incarico ma tuttavia non si può estendere l’incriminazione anche all’esperto nominato ex art. 568 del c.p.c., poiché l’esperto stimatore è un ausiliario diverso dal C.T.U. sarebbe una violazione del principio di legalità di cui all' 25, comma 2, Cost. e all'art. 2 del c.p..

Si possono configurare i reati di cui all’art. 373 del c.p., falsa perizia o interpretazione, che punisce il perito nominato dall’autorità giudiziaria che dà parere o interpretazioni mendaci o afferma fatti non conformi al vero, nonché il successivo art. 374 del c.p., frode processuale, che sanziona l’ausiliario che nell’esecuzione di una perizia immuti artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone.

Dall’esame della questione pare maggiormente configurabile l’art. 373 del c.p., relativamente all’accesso agli atti per verificare la conformità urbanistica. Difficilmente configurabile il reato di truffa, poiché si tratta di reato a forma vincolata, che punisce cioè solo determinate e specifiche condotte. Viene infatti punito chi, ricorrendo ad artifizi o raggiri, induce taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Per danno si intende una effettiva perdita patrimoniale, mentre per profitto si intende anche un vantaggio di natura non patrimoniale; danno e profitto andranno dimostrati in sede di processo e, allo stato, la prova pare essere difficile.

Per quanto riguarda la responsabilità penale del professionista delegato, occorre preliminarmente ricordare che egli, in qualità di ausiliario anch’esso del giudice, è certamente un pubblico ufficiale. Valgono le stesse considerazioni espresse per il CTU. Alla medesima conclusione si è giunti in relazione alla figura del commissionario, assimilabile al professionista delegato ex art. 591 bis c.p.c., per il quale si è statuito che “Il commissionario per la vendita delle cose pignorate, in quanto esecutore delle disposizioni del giudice civile finalizzate alla conversione del compendio pignorato in equivalente pecuniario, esercita, quale ausiliario del giudice, una pubblica funzione giudiziaria e pertanto riveste la qualità di pubblico ufficiale” (Cass. pen. sez. VI 28.11.2013 n.10886).
Dunque sono configurabili nei confronti del professionista delegato i reati di cui agli artt. 476 ss. c.p., aventi ad oggetto la c.d. falsità in atti, indipendentemente dal fatto che si tratti di falso materiale o ideologico. Il professionista delegato può rispondere del reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 del c.p. e ancora, a tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, il delegato risponde del reato di rivelazione dei segreti d’ufficio ed utilizzazione degli stessi ai sensi dell’art. 326 del c.p. Infine, laddove il professionista non compia le operazioni delegate nei tempi fissati dal giudice dell’esecuzione, può configurarsi il reato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio di cui all’art. 328 del c.p..
Lo stesso è tenuto ad effettuare un controllo sull’iter procedurale e sulla perizia, al fine di chiedere chiarimenti e/o integrazioni al CTU oppure informare immediatamente il GE. Dalla descrizione del caso il delegato ha omesso di verificare la seconda perizia redigendo il decreto di trasferimento in modo errato. Non si configura tuttavia il delitto di frode processuale, non avendo lo stesso immutato l’immobile.
Nessuno dei sopradescritti reati appare nel caso prospettato configurabile.

Per quanto riguarda l’esecutata si esclude il delitto di frode processuale non essendo la stessa ausiliario del Giudice, mentre il delitto di truffa è astrattamente configurabile qualora si dimostrasse il danno e il suo consequenziale profitto. Potrebbe essere configurabile il reato di estorsione punito all’art. 629 del c.p. . La condotta deve necessariamente consistere in una costrizione realizzata attraverso la violenza o la minaccia, poiché esse sono lo strumento per la realizzazione della costrizione, e, al contempo, la costrizione deve costituire l’effetto della violenza o della minaccia. Per minaccia va intesa la prospettazione di un male ingiusto e notevole, proveniente dal soggetto minacciante mentre la violenza deve invece essere tale da non coartare completamente la volontà della vittima, la quale deve dunque avere un margine di autodeterminazione, nel senso di poter scegliere se cedere all'estorsione o subire il male minacciato. È, altresì, necessario che la condotta del reo procuri un danno ad un altro soggetto, inteso disposizione patrimoniale che sia derivato dalla costrizione posta in essere dall’agente e che quest’ultimo ottenga un ingiusto profitto. Qualora, dunque, vi sia una costrizione ma non sia stata posta in essere una violenza o una minaccia, ci si trova di fronte ad una mera induzione, la quale non è idonea ad integrare il delitto. Da quanto descritto, difettano violenza e minaccia pertanto il reato non è configurabile.

Da ultimo, una considerazione sull’attività del Giudice.
È stata fatta valere l’erroneità parziale del decreto di trasferimento nella parte in cui non veniva trasferita anche l’area di mq 300 antistante alla particella 239 e la decisione del giudice sul punto è censurabile.
Nella sentenza si legge che non risulterebbe possibile considerare come oggetto di trasferimento anche la diversa area di mq 300 antistante alla particella 239, in quanto la stessa (quale parte di una diversa particella catastale) non è stata oggetto di pignoramento né tanto meno di vendita, per cui non può formare oggetto di pignoramento,tuttavia ciò non è del tutto vero in quanto la giurisprudenza ritiene in casi simili la possibilità di estensione del pignoramento.
L’orientamento è difatti unanime nel ritenere che “In materia di esecuzione forzata, i beni trasferiti a conclusione di un'espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell'art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette; sicché, il trasferimento di un terreno all'esito di procedura esecutiva comporta, in difetto di espressa previsione contraria, il trasferimento del fabbricato insistente su di esso, ancorché abusivo” (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 17041 del 28/06/2018).
Ancor più di recente, la medesima giurisprudenza di legittimità ha stabilito come “i beni trasferiti a conclusione di un'espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell'art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, sì da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette, donde il trasferimento di un terreno all'esito di procedura esecutiva comporta, in difetto di espressa previsione contraria, il trasferimento del fabbricato ivi insistente” (Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 17811 del 22/06/2021).
Vista la costante giurisprudenza sul punto, il decreto di trasferimento avrebbe potuto essere emendato o integrato.

Nicola S. chiede
mercoledì 18/12/2019 - Abruzzo
“Consulenza
Il problema dello scrivente riguarda due cause civili, tra Maria Teresa, ex coniuge dello scrivente, e la sorella Angela Rosa, cioè una possessoria e un regolamento di confine.
A parere dello scrivente in entrambi le due cause si configura la truffa processuale.
1) Nella causa possessoria è stato immutato completamente lo stato del luogo.
Una semplice casa rurale si vuole fare apparire un condominio, una palazzina con vari piani, la scalinata e la corte in comune, che la ricorrente aveva sempre circolato su due metri che circonda l’intero fabbricato. In oltre la ricorrente con artificio ha creato una barriera sul retro della casa al fine di accusare la sorella (nel presente caso sarebbe la convenuta) che avrebbe ostruito il passaggio sulla corte comune, tra l’altro anche inesistente. E’ da precisare che la questione riguarda, come detto, una semplice casa rurale composto di due appartamenti con ingressi e pertinenze separate, non è un condominio, una palazzina con la scalinata e la corte in comune, non vi sono vari piani e non è agevole circolare sui due metri intorno al fabbricato, ma soprattutto la ricorrente Angela Rosa insiste di avere il diritto del possesso e la comproprietà di due metri di larghezza anche sul terrazzo antistante all’abitazione della sorella Maria Teresa, mentre la volontà espressa dal donante che aveva diviso i sui beni, ha donato l’appartamento di piano terra con la sua pertinenza alla figlia Maria Teresa e l’appartamento del primo piano, sempre con la sua pertinenza alla figlia Angela Rosa, facendo in modo da non creare interferenze tra le due proprietà né sovrapposizioni di passaggi pedonali per evitare situazioni di attrito o contese fra le parti. Infatti, il donante in questa maniera, ha espresso la volontà di evitare interferenze e sovrapposizione di percorsi pedonali fra i due proprietari e oltremodo evitare di costituire aree cortilizie comuni. Gli accessi alle rispettive abitazioni sono stati sempre differenti sin dalla stipulazione del rogito del 1986 con due diversi cancelli situati sulla strada e diametralmente opposti proprio per evitare il nascere di simili dissidi.
2) per quando riguarda il confine, la ricorrente Angela Rosa ha causato la caduta del recinto per attivare il contenzioso, ha sollecitato l’immediato ripristino, subito dopo che il recinto era stato ristabilito, cita in giudizio la sorella Maria Teresa che nel ristabilire il recinto avrebbe trasferito la linea del confine con usurpazione di circa 45 mq di terreno a suo danno.
A parere dello scrivente la truffa processuale si configura nei momenti in cui chiede al giudice di verificare l’esatta linea di confine anziché se il recinto fosse stato ripristinato com’era prima della caduta. In tal caso è un raggiro, induce il giudice all’errore, gli fa verificare l’esatta linea di confine, anziché se il recinto era stato ripristinato com’era prima della caduta, costringendo il giudice anche alla violazione della regola, “potente il giudice ricorrere ad altro mezzo di prova solo qualora il confine di fatto non sia rintracciabili in nessun modo”. Mentre nel caso in argomento è più che rintracciabile, è lo stesso CTU che lo afferma nella perizia, cioè dichiara due ipotesi, da una parte che il recinto era stato ripristinato com’era prima della caduta dall’altra che la linea di confine era traslata. In realtà anche in questo caso vi è l’inganno del giudice.
Il mio avvocato dice che non si ravvisa il reato di truffa processuale in nessuno dei due casi, il che non mi convince, se non sono truffe processuali questi casi quando si può definire tale? A mio parere nel primo caso, da un lato vi è l’immutazione dello stato del luogo, dall’altro induce in errore il giudice con la finalità di ottenere la modifica di un atto pubblico, cioè il vantaggio a danno dall’altra, come pure la barriera nel retro della casa per ingannare il giudice.
Nell’altro caso è evidente l’artificio per ingannare il giudice per fargli arretrare la linea di confine, (chiede la verifica dell’esatta linea di confine anziché se il recinto era stato ripristinato com’era prima della caduta), come pure l’incoerenza del CTU con due ipotesi come prima riferito.
Nella speranza d’essere stata chiara nell’esposizione dei fatti e fiducioso di un V/s attendo esame e voler chiarire i mie dubbi, se negativi gradirei sapere il perché.
In attesa di un V/s riscontro, porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 09/01/2020
Il delitto di frode processuale, previsto e punito dall’art. 374 del codice penale, sebbene formulato in modo ingannevole (tale da far apparire come punibili una serie indefinita di condotte) è in realtà molto specifico e, per comprenderlo, bisogna necessariamente partire dall’interesse tutelato.

Il delitto de quo tutela la genuinità di talune fonti di convincimento del giudice e, in buona sostanza, mira a garantire la correttezza dell’operato delle parti nell’ambito di un procedimento civile, penale e amministrativo.
Ciò che, in poche parole, sta a cuore alla fattispecie è che il soggetto si comporti correttamente nel corso dello svolgimento del processo al fine di evitare che il giudice venga ingannato in un qualsiasi atto di assunzione probatoria, non rendendosi conto dell’artificio commesso dal soggetto attivo del reato.

In tal senso depone il dato testuale dell’articolo allorché parla di condotte verificatesi “nel corso” di un procedimento e nel corso di atti di “ispezione, esperimento giudiziale, […] esecuzione di una perizia”.

É proprio questa la ragione per la quale, nel caso di specie, il reato non sembra sussistere, come peraltro affermato dal difensore delle cause civili.

Sebbene, infatti, la condotta della ricorrente nei contenziosi in essere non appaia di certo meritevole di encomio, dal tenore del parere emerge che i presunti atti di immutazione dei luoghi siano stati dalla ricorrente posti in essere prima del procedimento civile costituendone, anzi, la base della richiesta per la quale è stato attivato il contenzioso.

In buona sostanza, dunque, gli atti di immutazione attribuiti alla ricorrente non sembrano affatto posti in essere nel corso del procedimento per ingannare il giudicante nel corso di un accertamento specifico quanto, piuttosto, atti fatti a monte, assolutamente palesi e dichiarati e, dunque, scarsamente idonei a condurre in errore il giudicante che, anzi, dovrà pronunciarsi nella consapevolezza di quanto commesso da parte attorea.

Stando così le cose, viene meno l’elemento oggettivo previsto dalla fattispecie di frode processuale conseguendone l’insussistenza del reato.

Virgilio M. chiede
venerdì 12/05/2017 - Lazio
“già 3 volte ho fruito delle vostre consulenze - la domanda è "se un Avv. mentendo platealmente, ed lo posso ampiamente dimostrare, si può denunciare ed a chi ???”
Consulenza legale i 21/05/2017
Un avvocato può commettere il reato di frode processuale, reato previsto dall’art. 374 del c.p. che punisce “chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone". Il reato prevede come pena la reclusione da uno a cinque anni.

Nel caso di specie non si rappresenta la produzione di una prova falsa, ma solo di un rogito errato, vale a dire di una prova sbagliata.

A prescindere da come il legale di controparte può aver descritto tale documento era un dovere del Giudice valutarlo correttamente, l’errore pare, quindi, più che altro imputabile al Giudice.

Peraltro, la successiva C.T.U. pare aver rimediato all’errore sopraccitato.

Silvio C. chiede
venerdì 11/12/2015 - Toscana
“In corso di causa civile intentata da una Banca nei confronti del sottoscritto volta alla escussione di una garanzia fidejussoria è stato presentato in giudizio dalla stessa un documento fideiussorio dal me rilasciato ma reso nullo e/o superato da una successiva fideiussione sostitutiva sottoscritta per identico importo e motivo. Ne è conseguito che l’importo che volevasi garantire con l’atto fidejusorio è risultato raddoppiato rispetto all’effettivo impegno assunto.
Il Giudice adito ha di conseguenza emesso decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo a seguito del quale sono stati effettuati dalla banca disposizioni patrimoniali a carico del sottoscritto fideiussore mediante incameramento di somme e titoli presenti presso la banca de quo nonché atti ipotecari su beni immobili di proprietà.
Vorrei conoscere se il comportamento della Banca sia penalmente perseguibile, quali reati debbano ascriversi a tale comportamento truffaldino e quali azioni possano essere intraprese nei confronti della banca e di chi la rappresenta volte al ristoro degli ingenti danni procurati al sottoscritto”
Consulenza legale i 22/12/2015
La condotta descritta nel quesito è stata oggetto di analisi da parte delle giurisprudenza in relazione alla fattispecie della c.d. truffa processuale, quale particolare ipotesi del reato di truffa (art. 640 del c.p.).

In sintesi, perché la truffa si configuri è necessario che un soggetto agisca mediante artifizi (trasfigurazioni della realtà) o raggiri (azioni e dichiarazioni che fanno credere vero ciò che è falso); questi devono indurre la vittima in errore, cioè ad una falsa rappresentazione della realtà, idonea ad incidere sulla sua volontà, e a portarla a porre in essere un atto di disposizione patrimoniale per lui dannoso. Tale condotta deve procurare all'agente (o a terzi) un profitto ingiusto e determinare un danno altrui.

Un'ipotesi particolare che è stata prospettata è, appunto, quella della c.d. truffa processuale, che si avrebbe a causa della condotta di una parte che, con artifici o raggiri, portando all'errore il giudice, consegua un provvedimento a se favorevole ed un danno alla parte avversa.

La giurisprudenza maggioritaria, tuttavia, tende oggi ad escludere che la condotta descritta possa essere ricondotta al reato in esame: questo perché mancherebbe un elemento tipico della fattispecie, ovvero il compimento di un atto di disposizione patrimoniale da parte dell'ingannato. Infatti, il giudice che decide non esercita un potere di disposizione sui beni della parte ma si limita ad esercitare una funzione pubblica. Infatti se anche prende una decisione che ha ad oggetto i beni del soggetto non esprime, in questo modo, una sua volontà, ma esercita un potere che l'ordinamento gli attribuisce (Cass. 21868/2002; Cass. 29929/2007). Il raggiro del giudice può rilevare solo nella diversa ipotesi (che qui non è integrata) di frode processuale ex art. 374 del c.p..

Questa posizione è stata espressa anche in un caso analogo a quello in esame, avente ad oggetto l'emissione di un decreto ingiuntivo: "La condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di truffa, per difetto dell'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, anche quando è riferita all'emissione di un decreto ingiuntivo, perché quest'ultima attività costituisce esercizio della funzione giurisdizionale" (Cass. 39314/2009).

Peraltro, va dato atto che alcune pronunce (seppur minoritarie) sono dell'avviso opposto, stabilendo che non può a priori escludersi la truffa quando il soggetto ingannato sia il giudice (Cass. 6335/1999). In ogni caso, perché sussista il reato devono ricorrere tutti gli elementi costitutivi.

La condotta della banca potrebbe rilevare, però, nel senso di configurare una responsabilità aggravata ex art. 96 del c.p.c.. Dispone il secondo comma che: "Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza".

Nello specifico, il primo comma della norma disciplina la responsabilità della parte che agisce o resiste con mala fede o [def ref=1489]colpa grave[7def]; il secondo comma, sanziona la condotta di chi intraprenda una delle azioni descritte senza che sussista il relativo diritto e senza agire con la normale prudenza. Quindi, mentre nel primo comma è necessario il dolo, nel secondo è sufficiente anche la colpa lieve (Cass. 8872/1987). La normale prudenza con cui deve agire la parte (nel caso la banca) dovrà essere valutata avendo riguardo a varie circostanze, ad esempio quelle in cui era sorto il credito che si è rivelato inesistente, nonché i comportamenti prudenziali da tenere in situazioni analoghe.

Quanto all'inesistenza del diritto (ciò che deve essere accertato dal giudice), la Cassazione ha riconosciuto che essa si ha anche in caso di sproporzione notevole tra quanto si accerta che è dovuto e le misure (nel caso trattato erano conservative) ottenute per lo scopo (Cass. 3075/1994).

Sul piano processuale, secondo la giurisprudenza la domanda con cui si vuole far valere il danno per l'illegittima esecuzione forzata deve essere fatta valere davanti al giudice dell'opposizione all'esecuzione, cui spetta la competenza sia sull'an che sul quantum (Cass. 10960/2010). Il danno può essere liquidato anche in via equitativa dal giudice ma resta fermo che la parte che lo chiede deve allegare quantomeno gli elementi di fatto necessari alla liquidazione stessa (Cass. S.U. 7583/2004).

In conclusione, si ritiene che la condotta della banca difficilmente possa integrare il reato di truffa processuale, mentre, al ricorrere dei relativi presupposti, si potrebbe eventualmente valutare se determini responsabilità aggravata ex art. 96 co. 2 c.p.c..

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