Cass. civ. n. 57018/2018
In caso di concorso di persone nel reato commesso in parte all'estero, ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana e per la punibilità di tutti i concorrenti è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificata anche solo una frazione della condotta ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, che, seppur priva dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia comunque significativa e collegabile in modo chiaro e univoco alla parte restante realizzata in territorio estero.(Fattispecie in tema di concorso di persone nel reato di cui all'art. 270-bis cod. pen., in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la decisione che aveva ravvisato la giurisdizione italiana in relazione alla condotta dell'imputato che, introdottosi illegalmente in Italia, in possesso di documenti falsi e condannato per il reato di cui all'art. 497-bis cod. pen., deteneva materiali idonei allo svolgimento di attività di proselitismo e si tratteneva illecitamente nel territorio dello Stato italiano,in assenza di elementi che evidenziassero la rescissione del vincolo associativo con l'organizzazione criminale denominata Isis). (Rigetta, CORTE ASSISE APPELLO BRESCIA, 24/11/2017).
Cass. pen. n. 9559/2015
In tema di lesioni personali occorse durante una competizione agonistica fra squadre iscritte ad campionato dilettantistico, deve escludersi l'infortunio sul lavoro e, quindi, la competenza del giudice del Tribunale, essendo invece competente il giudice di pace, in quanto gli artt. 28 e 29 delle norme organizzative interne della F.I.G.C. (N.O.I.F.) attribuiscono la qualifica di calciatori professionisti soltanto a coloro che militano nelle serie A, B e C, mentre i calciatori militanti nelle categorie inferiori devono reputarsi dilettanti senza che possa rilevare la diversa regolamentazione voluta dalle parti. (Annulla senza rinvio, Trib. Sassari, 28/02/2013).
Cass. pen. n. 36336/2015
Ai fini della determinazione della competenza funzionale, deve aversi riguardo esclusivamente alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a nulla rilevando eventuali valutazioni in via prognostica, anticipatorie del merito della decisione. (In applicazione del principio, la S.C., risolvendo un conflitto negativo di competenza concernente il reato di cui all'art. 612, comma secondo, cod. pen., ha disatteso il rilievo del Tribunale secondo cui la fattispecie, "così come contestata", appariva di competenza del giudice di pace). (Dichiara competenza, Trib. Genova, 16/02/2015).
Cass. pen. n. 4964/2010
Il delitto di promozione, direzione od organizzazione di un'associazione di tipo mafioso aggravato ai sensi dell'art. 416-bis, comma quarto, c.p. (associazione armata), appartiene alla competenza della Corte d'Assise e non a quella del Tribunale, qualora la consumazione del reato si sia protratta anche successivamente all'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005.
–
Nel caso in cui la competenza per materia per il delitto di promozione, direzione od organizzazione di un'associazione di tipo mafioso appartenga alla Corte d'Assise, viene attratto nella competenza di quest'ultima anche l'eventuale procedimento a carico dei partecipi alla medesima associazione, necessariamente connesso, ai sensi dell'art. 12, comma primo lett. a), c.p.p., a quello nei confronti dei partecipi di rango primario.
–
L’aggravamento dei limiti edittali di pena operato dalla legge n. 251 del 2005 in relazione al delitto di cui all’art. 416-bis c.p. ha determinato un diverso riparto di competenza tra Tribunale e Corte d’Assise. La fattispecie criminosa in oggetto, invero, nelle ipotesi di cui ai primi due commi, anche se aggravate dalla circostanza di cui al comma sesto (ed in quelle di mera partecipazione di cui al primo comma anche se aggravate dalla circostanza di cui al quarto comma, eventualmente congiunta a quella del sesto), sono di competenza del Tribunale in virtù della regola residuale di cui all’art. 6 c.p.p., a norma del quale il Tribunale è competente per i reati che non siano di competenza della Corte d’Assise. Diversamente, in relazione all’ipotesi criminosa prevista al comma secondo, aggravata dalla circostanza di cui al comma quarto, la competenza appartiene, quoad poenam, alla Corte d’Assise. (Nella fattispecie, stante la connessione tra procedimento a carico dei partecipi di rango primario e quelli nei confronti dei partecipi secondari, il dettato normativo di cui all’art. 15, comma primo, c.p.p. determina la competenza per tutti della Corte d’Assise).
Cass. pen. n. 28545/2004
In virtù del principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali la competenza per materia in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, commesso prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 151/2003, appartiene alla competenza del giudice di pace, perché competente al momento in cui il fatto è stato commesso. Una volta radicata, la competenza rimane ferma in base al principio della
perpetuatio jurisdictionis, a nulla rilevando che una legge successiva l'abbia modificata a meno che non venga introdotta una disciplina derogatoria.
Cass. pen. n. 3407/1994
In materia di reati concernenti carte di credito e documenti ad esse assimilati, quali attualmente previsti dall'art. 12 del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazione in L. 5 luglio 1991, n. 197, la competenza a conoscere del fatto originariamente qualificato come ricettazione e commesso prima dell'entrata in vigore di detta normativa speciale spetta al tribunale e non al pretore, in applicazione (mancando norma transitoria), del principio di ordine generale circa la immediata operatività delle disposizioni incidenti sulla disciplina processuale. (Nella fattispecie, relativa a risoluzione di conflitto, la Corte ha anche rilevato che non poteva farsi riferimento, in contrario, al principio costituzionale della precostituzione del giudice naturale giacché l'esercizio dell'azione penale risultava posteriore all'entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria).
Cass. pen. n. 128/1994
I fatti previsti dall'art. 73, n. 5, L. 22 dicembre 1975, n. 685, nel testo sostituito dall'art. 14, L. 26 giugno 1990, n. 162, non costituiscono ipotesi autonome di reato ma elementi aventi carattere di circostanze attenuanti oggettive ad effetto speciale. Ne consegue che competente a conoscere di siffatti reati è il tribunale, posto che l'art. 4 c.p.p. esclude qualsiasi incidenza delle circostanze attenuanti sulla determinazione della competenza.
Cass. pen. n. 9986/1993
In materia di reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, l'art. 19 della L. 26 aprile 1990 n. 86, integrando l'art. 6 c.p.p., attribuisce al tribunale la competenza di delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del c.p., con le esclusioni espressamente indicate. La legge, entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione, avvenuta il 27 aprile 1990, non contiene una disciplina transitoria (né può applicarsi l'art. 259 comma primo D.L.vo 28 luglio 1989, che si riferisce alle modifiche della competenza apportate dal nuovo c.p.p.), sicché essa è di immediata applicazione nei riguardi dei processi pendenti, non ancora definiti in primo grado, in ossequio al principio tempus regit actum che regola la successione nel tempo delle norme processuali. (Fattispecie in tema di abuso di ufficio, previsto dall'art. 323 c.p.).
Cass. pen. n. 2125/1993
In virtù del principio tempus regit actum l'accertamento della competenza per materia è ancorato alle disposizioni di carattere sostanziale, attinenti al trattamento sanzionatorio, vigenti nel momento in cui l'atto deve compiersi o deve verificarsi la legittimità di quello in precedenza compiuto, essendo - per contro - svincolato da ogni riferimento alle diverse norme che fossero in vigore all'epoca della commissione del reato. Invero, trattandosi di norme processuali non sono applicabili le previsioni di cui all'art. 2 c.p., circoscritte alla normativa di carattere sostanziale, bensì, appunto, il principio suddetto che impone l'applicazione delle regole di competenza con riferimento al tempo in cui una determinata attività di giurisdizione deve essere esercitata, indipendentemente dal tempo della commissione dei reati per cui si procede. (Fattispecie in cui il ricorrente lamentava che il tribunale, in sede di riesame di un provvedimento di sequestro preventivo per il reato di cui al secondo comma dell'art. 12
quinquies, D.L. n. 306 del 1992, convertito in L. n. 356 del 1992, adottato dal Gip presso il tribunale nonostante all'epoca detto reato fosse di competenza pretorile, non aveva rilevato l'incompetenza per materia di detto giudice; la Cassazione ha respinto il ricorso sulla scorta del principio di cui in massima e sul rilievo che nel momento in cui il tribunale aveva pronunciato la sua ordinanza il reato era divenuto di competenza del tribunale a seguito dell'elevazione dell'entità del massimo edittale della pena per esso prevista ad opera del D.L. n. 14 del 1993).
Cass. pen. n. 912/1993
Poiché il reato permanente costituisce un'entità giuridicamente unitaria che non può essere scissa, esso, se attribuito a persona che all'epoca di inizio dell'attività criminosa era minore d'età, rientra per intero nella competenza per materia del tribunale penale ordinario, e non — frazionatamente — in quella del tribunale minorile e in quella ordinaria, anche perché un'eventuale scissione finirebbe in pregiudizio per l'imputato.
Cass. pen. n. 4147/1992
La competenza per materia, determinata in base al fatto contestato in relazione al momento della commissione dello stesso, per il principio generale del tempus regit actum, applicabile alle norme processuali, resta radicata presso il giudice della cognizione, anche nell'ipotesi in cui, dopo il decreto di investitura per il giudizio, sopravvenga una legge che modifichi la struttura del reato, con conseguente modifica della competenza, che non derivi da disposizioni di natura processuale. (Nella fattispecie, in tema di spaccio di modica quantità di sostanza stupefacente, commesso anteriormente all'entrata in vigore della L. 26 giugno 1990, n. 162, la Corte di cassazione ha risolto il conflitto tra pretore e tribunale dichiarando la competenza del primo).