In attuazione dei criteri di cui alla legge delega, le nuove disposizioni disciplinano i rapporti dell’
improcedibilità dell’
azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di
impugnazione con l’
azione civile esercitata nel
processo penale e la
confisca disposta con la sentenza impugnata.
L’attuale regime applicabile in caso di
estinzione del reato per
amnistia o per prescrizione regola in modo omogeneo le due ipotesi negli artt. 578 e
578 bis c.p.p., attribuendo al giudice penale il compito di decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, o ai soli effetti della confisca “in casi particolari”, secondo un’impostazione che, tuttavia, è in parte superata alla luce del quadro normativo sopravvenuto e, comunque, riguardando la diversa ipotesi di
proscioglimento per estinzione del reato, non è mutuabile per disciplinare i rapporti tra azione civile o confisca e improcedibilità per superamento dei termini massimi del giudizio di impugnazione.
Per attuare la delega con riguardo ai rapporti con la dichiarazione d’improcedibilità, quindi, occorre tenere conto dei principi ricavabili dalla stessa legge n. 134 del 2021 e dei principi generali del sistema.
Quanto ai principi ricavabili dalla legge delega, la direttiva che impone di «
disciplinare i rapporti tra l’improcedibilità dell’azione penale […] e l’azione civile esercitata nel processo penale, nonché i rapporti tra la medesima improcedibilità dell’azione penale e la confisca disposta con la sentenza impugnata», non fornisce indicazioni specifiche su come atteggiare tali rapporti, lasciando astrattamente aperte soluzioni diverse (quali la caducazione delle statuizioni civili e in materia di confisca o la prosecuzione o devoluzione del giudizio in altra sede).
Dirimente, quindi, nell’orientare la scelta del legislatore delegato, è il quadro generale di sistema. Sotto tale profilo, occorre considerare che la pronunzia di improcedibilità ha carattere processuale e, come tale, impedisce di proseguire nell’esame del merito e di giungere a una
condanna definitiva, caducando la precedente pronuncia.
L’improcedibilità preclude, quindi, l’applicazione della confisca che presuppone una “condanna” (comunque la si voglia intendere, tanto in senso formale, quanto in senso sostanziale).
Né può ricorrersi a un’estensione della differente disciplina prevista dall’art. 578
bis c.p.p. nel caso di estinzione del reato per
prescrizione, poiché il superamento dei termini massimi previsti per il giudizio di impugnazione è uno sbarramento processuale che impedisce qualsivoglia prosecuzione del giudizio, anche solo finalizzata all’accertamento della responsabilità da un punto di vista sostanziale e svincolato dalla forma assunta dal provvedimento (come invece consentito, a seguito della sentenza della C. Cost., 26.3.2015 n. 49, nel caso di
sentenza di proscioglimento per prescrizione).
Sarebbe impropria, del resto, l’assimilazione di una causa impediente della prosecuzione del giudizio, di natura processuale, a una causa estintiva del reato, che è fenomeno attinente al merito del processo.
Esclusa la possibilità che il processo penale prosegua ai soli effetti della confisca, un’alternativa che trasferisca altrove l’accertamento dei suoi presupposti, consentendo all’imputato di difendersi anche in ordine alla
responsabilità penale, non è proponibile, trattandosi di misura che deve essere applicata in un procedimento giurisdizionale informato a tutte le garanzie costituzionali e convenzionali della materia penale (ivi inclusa la garanzia della ragionevole durata).
Pertanto, non si potrebbe trasferire nel
procedimento di prevenzione l’azione patrimoniale dopo che la confisca sia stata applicata con una sentenza penale non definitiva.
L’imputato potrebbe difendersi rispetto alla decisione di confisca, appellando anche o soltanto i punti riguardanti la responsabilità penale (presupposto della confisca), che non potrebbero essere decisi, seppur
incidenter tantum, dal giudice della prevenzione.
Neppure potrebbe essere previsto un trasferimento della decisione al giudice penale dell’esecuzione. Se l’azione patrimoniale fosse trasferita in sede esecutiva dopo una sentenza penale di condanna non definitiva, senza il presupposto dell’accertamento (definitivo) sul tema della responsabilità penale, nel procedimento dinanzi al giudice dell’esecuzione dovrebbe paradossalmente svolgersi il controllo sul giudizio penale di primo grado demandato alle impugnazioni (appello e ricorso per cassazione) penali.
In definitiva, il criterio di delega riguardante «
i rapporti tra l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione […] e la confisca disposta con la sentenza impugnata» non può che attuarsi nel senso della privazione di effetti della confisca in sede penale, con la sola eccezione costituita dalle ipotesi di confisca obbligatoriamente prevista dalla legge anche fuori dai casi di condanna (come è, ad esempio, per le cose intrinsecamente criminose di cui all’art.
240, secondo comma, n. 2 c.p.).
Non di meno, nel caso in cui, con la sentenza impugnata, sia stata disposta la confisca di beni in
sequestro, si prevede che il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare l’improcedibilità ai sensi dell’art
344 bis c.p.p., trasmetta gli atti all’autorità giudiziaria competente per la proposta di applicazione delle
misure di prevenzione patrimoniali, affinché la stessa valuti la sussistenza dei presupposti per l’instaurazione del procedimento di prevenzione e l’applicazione, anche in via d’urgenza, di misure conservative, in vista dell’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.
Non si tratta, quindi, di trasferimento o prosecuzione del giudizio ai fini della confisca penale in altra sede, ma di impulso per l’eventuale attivazione di altra e distinta procedura, da svolgersi nel rispetto della propria disciplina, dettata dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
Onde garantire il necessario coordinamento tra le procedure e impedire l’eventuale dispersione dei beni sequestrati in sede penale nelle more della decisione del giudice della prevenzione, si prevede che il sequestro penale cessi di avere effetto se, entro novanta giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, non è disposto il sequestro dal tribunale competente per le misure di prevenzione, ai sensi dell’articolo
20 o
22 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
Analoga contraddizione sistematica, in ragione del carattere processuale e impediente della pronuncia di improcedibilità, produrrebbe una prosecuzione del giudizio di impugnazione ai soli effetti civili, considerata la natura accessoria dell’azione civile nel processo penale.
A tale ultimo riguardo, peraltro, soccorre un ulteriore dato sistematico, ricavabile dalla disposizione già in vigore introdotta nel comma 1
bis dell’art. 578 c.p.p., ad opera della legge n. 134 del 2021, secondo cui, in caso di condanna per la responsabilità civile, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare improcedibile l’azione penale ai sensi dell’art. 344
bis c.p.p, rinvia per la prosecuzione al giudice civile.
Il legislatore, per quanto concerne i rapporti tra improcedibilità e azione civile, ha quindi scelto di percorrere una “terza via”, mediana rispetto alla soluzione di lasciare al giudice penale il compito di decidere sulla domanda risarcitoria nonostante l’improcedibilità e a quella di imporre una riproposizione della domanda al giudice civile di primo grado.
La scelta punta a ridurre il carico di lavoro del giudice penale nella fase delle impugnazioni, assicurando il diritto della
parte civile a una decisione sull’azione risarcitoria in tempi non irragionevoli.
In coerenza con tale scelta e con la ratio stessa della legge n. 134/2021, pertanto, si propone di attuare la delega in ordine ai rapporti tra improcedibilità dell’azione penale e azione civile trasferendo la decisione al giudice civile.
L’opzione di trasferire al giudice civile la decisione sull’impugnazione, dopo la formazione del giudicato sui capi penali, sviluppa il percorso esegetico seguito dalla giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 578, comma 1, c.p.p e, quindi, si basa sul presupposto che, per non incorrere in violazioni della presunzione d’innocenza dell’
imputato, è necessario restringere l’oggetto di accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato.
È pertanto ragionevole attribuire il compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui devono essere verificati gli estremi della responsabilità civile, senza poter accertare nemmeno incidentalmente la responsabilità penale. Ciò accade già, secondo la sentenza costituzionale n. 182 del 2021, nelle ipotesi coperte dall’art. 578, comma 1, c.p.p dove “
il giudice penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice”, ma “
se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)”, valutando quindi se la condotta contestata “
si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno”.
Secondo la
Corte costituzionale, “
la mancanza di un accertamento incidentale della responsabilità penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la possibilità per il danneggiato di ottenere l’accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l’imputato, derivante dalla presunzione di innocenza” (sent. n. 182/2021, par. 14 m.).
Questa ricostruzione è stata portata alle logiche conseguenze in sede di attuazione della legge delega, nella parte in cui impone di disciplinare i rapporti tra l’improcedibilità dell’azione penale e l’azione civile. L’art. 578, comma 1
bis, c.p.p. è stato pertanto modificato, includendo il riferimento ad “
ogni caso” di impugnazione della sentenza “
anche” per gli interessi civili (quindi anche in mancanza di una pronuncia di condanna alle
restituzioni o al
risarcimento dei danni).
La “prosecuzione” del processo davanti al giudice civile, disposta dopo il necessario controllo del giudice penale sull’assenza di cause d’inammissibilità dell’impugnazione, non determina effetti pregiudizievoli per la parte civile o per l’imputato né dal punto di vista cognitivo, in quanto il
giudice competente deve decidere tutte le “questioni civili”, con esclusione di quelle penali coperte dal giudicato (la decisione civile non potrebbe quindi incidere sulla presunzione d’innocenza), né dal punto di vista probatorio, in quanto restano utilizzabili le prove acquisite nel processo penale, in contraddittorio con l’imputato, oltre a quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.
Onde salvaguardare anche le cautele reali che assistono la domanda civile in sede penale, si introduce, con il nuovo comma 1
ter dell’art. 578 c.p.p., una disposizione che – in deroga a quanto previsto dall’art.
317, comma 4, c.p.p. (a tal fine opportunamente interpolato) – prevede, nel caso di trasferimento dell’azione civile, la persistenza degli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non sia più soggetta a impugnazione.