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Articolo 387 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Non riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile

Dispositivo dell'art. 387 Codice di procedura civile

Il ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge (1).

Note

Si esclude pacificamente l'applicazione della norma al regolamento preventivo di giurisdizione [v. 41], ciò in quanto esso non costituisce un mezzo di impugnazione ma solo uno strumento mediante il quale le parti tendono ad ottenere la definitiva risoluzione di una questione di giurisdizione.

Ratio Legis

La norma sancisce il principio di consumazione del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile. Essa va letta congiuntamente all'art. 358 che riconosce il medesimo principio in materia di appello.

Spiegazione dell'art. 387 Codice di procedura civile

Il principio che viene qui sancito, parallelamente a quanto disposto all'art. 358 del c.p.c. in materia di appello, è quello della consumazione dell'impugnazione, per effetto del quale, intervenuta una pronuncia di inammissibilità o di improcedibilità, il ricorso non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge.

La consumazione dell'impugnazione (sia nel caso di appello che di ricorso per cassazione), che ne impedisce la riproposizione, prescinde dalla decorrenza del termine fissato per legge; ciò significa che, pur non essendo ancora decorso il termine per l'impugnazione, non è più possibile riproporre il ricorso per il quale vi sia stata dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità.

Nella particolare ipotesi in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, è possibile proporre il secondo ricorso, in sostituzione del primo, purché l'improcedibilità o l'inammissibilità di quest'ultimo non sia stata ancora dichiarata.

I suddetti principi non trovano applicazione in caso di rinnovazione dell'impugnazione, la quale ricorre quando venga proposto un nuovo ricorso in sostituzione del precedente, a seguito del quale è possibile prospettare motivi in tutto o in parte diversi da quelli dell'originario ricorso irrituale.

In giurisprudenza si è soliti distinguere tra impugnazioni ordinarie ed impugnazioni straordinarie.
Il principio di consumazione dell'impugnazione, desumibile dalla norma in esame, è applicabile nel caso di impugnazioni ordinarie, quali l'appello o il ricorso per cassazione, o anche di revocazione c.d. ordinaria (per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 del c.p.c.), mentre non può essere esteso anche alla c.d. revocazione straordinaria (ossia quella per i motivi previsti dai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del c.p.c.), la quale è esperibile anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Questa disposizione, inoltre, non si applica al giudizio di rinvio, non risultando specificamente richiamata; pertanto, la nullità, giudizialmente dichiarata, della citazione riassuntiva del giudizio di rinvio non ne preclude la proponibilità ex novo, purché ciò avvenga nel termine annuale fissato dall'art. 392 del c.p.c..

La dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità viene resa con ordinanza non impugnabile e non è neppure revocabile, ai sensi del secondo comma dell’art. 177 del c.p.c., trattandosi di provvedimento decisorio e non ordinatorio.
Essa ha carattere preliminare e prevalente rispetto a quella relativa alla rinuncia al ricorso, in quanto non può ritenersi ammissibile una rinuncia ad un diritto che manchi dei presupposti indispensabili per il suo esercizio.

Il principio della consumazione non si applica all'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, e ciò in considerazione del fatto che questo non si configura come vero e proprio mezzo di impugnazione, ma come strumento processuale diretto alla risoluzione, in via preliminare e con effetti definitivi, della questione di giurisdizione. Da ciò ne consegue che esso può essere incondizionatamente riproposto anche se l'istanza precedente sia stata dichiarata inammissibile o improcedibile.

Massime relative all'art. 387 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 25437/2020

Nel giudizio di cassazione, ove la stessa parte abbia proposto due ricorsi avverso la medesima decisione con il ministero di due distinti difensori, senza che l'ultimo risulti designato in sostituzione dell'altro, è ammesso l'esame del solo ricorso notificato per primo, perché nell'ordinamento processuale civile vige il principio della consumazione del potere di impugnazione, per effetto del quale, una volta che tale potere venga esercitato, si esaurisce la facoltà di critica della decisione pregiudizievole, salvo che tale ricorso non sia stato già dichiarato inammissibile o improcedibile e che quello successivamente notificato rispetti il termine di decadenza previsto dalla legge. (Nella specie, la S.C. in presenza di due ricorsi presentati per la stessa parte da due diversi difensori e notificati telematicamente nello stesso giorno, ha dichiarato inammissibile quello trasmesso 44 minuti dopo il primo). (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE NAPOLI, 11/02/2019).

Cass. civ. n. 5053/2009

Nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, è ammissibile la proposizione del secondo in sostituzione del primo, purché l'improcedibilità o l'inammissibilità di quest'ultimo non sia stata ancora dichiarata, restando escluso che la mera notificazione del primo ricorso comporti, "ex se", la consumazione del potere d'impugnazione. In relazione alla tempestività della seconda impugnazione occorre aver riguardo - in difetto di anteriore notificazione della sentenza - non solo al termine di un anno del deposito della sentenza di cui all'art. 327 cod. proc. civ., ma anche a quello breve, ex art. 325 cod. proc. civ., che decorre dalla data della notifica della prima impugnazione, la quale integra la conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante.

Cass. civ. n. 23019/2007

In tema di ricorso per cassazione, qualora una società abbia proposto ricorso in persona diversa dal suo legale rappresentante all'epoca e, quindi, in difetto di capacità processuale ai sensi dall'art. 75 c.p.c., l'intervento in causa della società in persona del suo legale rappresentante non può valere, essendosi ormai consumato il diritto di impugnazione, a sanare il vizio originario del ricorso, al quale si sarebbe potuto rimediare solo con la proposizione di un nuovo ricorso nei termini di cui all'art. 387 c.p.c.

Cass. civ. n. 3386/2007

La parte che abbia proposto un ricorso per cassazione improcedibile, per non essere stato depositato nel termine previsto dalla legge, si può validamente proporre un nuovo ricorso per cassazione se nel frattempo il termine per ricorrere non sia scaduto e l'improcedibilità del primo ricorso non sia stata dichiarata, dal momento che, in tale ipotesi, il diritto di impugnazione non può ritenersi consumato.

Cass. civ. n. 24100/2006

Il potere di proporre impugnazione avverso la sentenza del giudice del lavoro non sorge in conseguenza della semplice lettura del dispositivo in udienza (salva l'eccezionale ipotesi prevista dall'art. 433, secondo comma, c.p.c.), ma postula che la sentenza stessa sia completa nei suoi elementi strutturali (fra cui essenziale è la motivazione) e che sia stata depositata in cancelleria a norma degli artt. 430 e 438 c.p.c. Ne consegue che la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso per cassazione, erroneamente proposto. (prima che la sentenza acquisti con il deposito giuridica esistenza) contro il dispositivo della sentenza di appello letto in udienza non comporta l'irreparabile consunzione del diritto d'impugnare la sentenza dopo il deposito della stessa, sempreché non siano decorsi i termini previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c. (principio nella specie applicato dalla S.C. al rito locativo).

Cass. civ. n. 18236/2006

Anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge per impugnare, la declaratoria di estinzione del giudizio di cassazione emessa, a norma degli artt. 291, ultimo comma, e 307, terzo comma, c.p.c., per inosservanza del termine di rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo, rende inammissibile un ulteriore, analogo ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, in virtù del generale principio della consumazione del diritto di impugnazione (dettato per il giudizio di cassazione) dall'art. 387 c.p.c. e della parallela norma di cui all'art. 358 c.p.c. (dettata per il giudizio di appello), da ritenersi applicabile anche nel caso di dichiarazione di estinzione del processo, la quale determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, in base all'art. 338 c.p.c., norma che esprime un principio di carattere generale, valido anche per il giudizio di legittimità.

Cass. civ. n. 677/2005

La riproposizione di un ricorso per cassazione inammissibile per mancata produzione della relata di notificazione e, quindi, per inesistenza della notificazione, è possibile, fino a quando non sia intervenuta la prima declaratoria della inammissibilità, entro il termine di impugnazione lungo, in quanto deve escludersi che in tal caso possa essersi verificata la decorrenza del termine breve, supponendo essa la sussistenza di una valida notificazione del ricorso.

Cass. civ. n. 17411/2004

In tema di giudizio di cassazione, non si verifica consumazione del diritto di impugnazione, ai sensi dell'art. 387 c.p.c., qualora, dopo un primo ricorso non depositato nel termine di cui all'art. 369 del codice medesimo, venga proposto un secondo ricorso prima che sia stata pronunciata l'improcedibilità del precedente e detta riproposizione avvenga, ex art. 325, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del primo ricorso equivalendo questa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante — e, ex art. 327, nel termine annuale dalla pubblicazione della sentenza impugnata. Nel caso di tempestiva riproposizione, poi, il termine di venti giorni prescritto dagli artt. 370 e 371 per la notificazione del controricorso e del ricorso incidentale deve ritenersi decorrente dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del primo ricorso e non del secondo, atteso il suddetto rilievo da attribuire alla data di notificazione di tale primo ricorso — non depositato — ai fini del computo del termine breve per la sua valida riproposizione.

Cass. civ. n. 16162/2002

Stante l'espressa previsione degli artt. 358 e 387 c.p.c., la consumazione del potere di impugnazione presuppone l'esistenza di due impugnazioni della stessa specie nonché, al tempo della proposizione della seconda, una declaratoria di inammissibilità della precedente; pertanto non si ha consumazione del potere di impugnazione quando il suo esercizio sia stato preceduto da una impugnazione di diversa specie.

Cass. civ. n. 13817/2002

In tema di pluralità di ricorsi per cassazione successivamente proposti avverso la stessa decisione, il principio secondo il quale la proposizione di un primo atto inidoneo a dar vita ad un valido ricorso (per mancanza di alcuno degli elementi prescritti dall'art. 366 c.p.c.) non impedisce alla parte di proporne uno successivo, in sostituzione (e non ad integrazione o modificazione) del precedente sin quando non intervenga una pronunzia dichiarativa dell'inammissibilità o improcedibilità del primo (discendendo, in tal caso, la preclusione dal disposto dell'art. 387 c.p.c.), ed a condizione che non siano scaduti i termini per la proponibilità del gravame si applica alla sola ipotesi del simultaneus processus, al di fuori del quale, per converso, risulta prevalente il principio di cui all'art. 366 c.p.c., secondo cui il ricorso per cassazione deve essere proposto, a pena di inammissibilità, con un unico atto, onde evitare la pendenza di più processi originati da diverse impugnazioni contro la medesima decisione. Ne consegue che, ove non risulti più possibile (come nella specie) la riunione delle più impugnazioni in un solo processo, ex art. 335 c.p.c., perché una di esse sia stata già decisa con sentenza, deve ritenersi che la seconda divenga ipso facto inammissibile.

Cass. civ. n. 12149/1999

Il mancato deposito del ricorso per cassazione nel termine di cui all'art. 369 c.p.c. non comporta consumazione del diritto di impugnazione quando non sia intervenuta pronuncia giudiziale di improcedibilità ed il ricorso sia stato riproposto nel rispetto del termine breve decorrente dalla data di notificazione della prima impugnazione.

Cass. civ. n. 1441/1997

Il principio per cui la consumazione del diritto di impugnazione che determina l'improponibilità del ricorso per Cassazione si verifica soltanto se interviene una declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità del precedente ricorso (art. 387 c.p.c.), comporta che in difetto di una tale dichiarazione deve ritenersi ritualmente proposto un nuovo ricorso (in sostituzione e non ad integrazione del precedente), nel termine breve decorrente dalla notificazione della prima impugnazione, atteso che detta notifica deve ritenersi equivalente alla notificazione della sentenza, quale atto avente analogo grado di certezza formale e legale.

Cass. civ. n. 9409/1994

A norma dell'art. 366 c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere proposto, a pena d'inammissibilità, con unico atto avente i requisiti di forma e di contenuto indicati in detta disposizione, con la conseguenza che è inammissibile un nuovo atto successivamente notificato a modifica o ad integrazione del primo, sia se concerna l'indicazione dei motivi, ostandovi il principio della consumazione dell'impugnazione, sia se tendente a colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti, quale l'esposizione dei fatti di causa, essendo possibile la proposizione di un nuovo ricorso (ove non siano decorsi i termini dell'impugnazione) solo in sostituzione — non ad integrazione, né a correzione — di un ricorso viziato ma non ancora dichiarato inammissibile.

Cass. civ. n. 6278/1990

La parte, che abbia già proposto ricorso (principale od incidentale) contro alcune delle statuizioni della sentenza d'appello, nel rapporto con un determinato avversario, non può successivamente presentare un secondo ricorso, nell'ambito dello stesso rapporto, nemmeno se nel frattempo abbia ricevuto notificazione del ricorso di detto avversario, ed a prescindere dal fatto che quest'ultimo possa suggerire un'estensione della contesa anche con riguardo ad altre pronunce relative a quel rapporto, tenendo conto che l'ordinamento non consente il reiterarsi o frazionarsi dell'iniziativa impugnatoria in atti separati (principio della cosiddetta consumazione dell'impugnazione), e che il relativo divieto non trova deroga, per il caso in cui sia sopravvenuta l'impugnazione avversaria, nelle disposizioni di cui all'art. 334 c.p.c., le quali operano solo in favore della parte che, prima dell'iniziativa dell'altro contendente, abbia fatto una scelta di acquiescenza alla sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 1855/1989

La consumazione del diritto di impugnazione, per effetto della proposizione del ricorso principale per cassazione, osta a che la stessa parte, ricevuta la notificazione del ricorso di altra controparte, possa introdurre nuovi e diversi motivi di censura con un successivo ricorso incidentale, che resta peraltro valido come controricorso, nei limiti in cui sia rivolto a contrastare la impugnazione avversaria.

Cass. civ. n. 882/1988

Il diritto d'impugnazione in cassazione non si consuma finché non interviene una pronuncia d'inammissibilità e improcedibilità del ricorso e può essere, in conseguenza, proposto nuovo ricorso, in sostituzione di quello viziato, sempre che siano osservati i requisiti di legge e non siano decorsi i termini per impugnare. Per contro, la rituale introduzione del ricorso preclude al ricorrente di denunciare altri vizi o ripetere le stesse censure con un nuovo ricorso, anche se il termine per l'impugnazione non è ancora scaduto.

Cass. civ. n. 3713/1985

La riproposizione del ricorso inammissibile od improcedibile, consentita fino a che non sia intervenuta pronuncia giudiziale di inammissibilità od improcedibilità, è soggetta, in difetto di notificazione della sentenza, al termine breve decorrente dalla data della notificazione dell'impugnazione da rinnovare, atteso che tale notificazione deve ritenersi equipollente, al fine della conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante, alla notificazione della sentenza medesima.

Cass. civ. n. 985/1967

L'impugnazione immediata di sentenza non definitiva, proposta dopo la riserva di gravame, costituisce prematuro esercizio del potere d'impugnazione, ma non lo consuma, onde, dopo la pronuncia della sentenza definitiva, non è preclusa l'ammissibilità della impugnazione anche contro la sentenza non definitiva. Ciò anche quando l'impugnazione immediata sia già stata dichiarata inammissibile o improcedibile.

Cass. civ. n. 976/1949

La norma dell'art. 387 c.p.c. (non riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile) non è applicabile al regolamento di giurisdizione, che non è mezzo di impugnazione.

Cass. civ. n. 1029/1947

La inammissibilità e la improcedibilità del ricorso per cassazione — che sono dichiarate in tutti i casi espressamente indicati dalla legge e sempre quando sussistono ragioni impeditive dell'esame del ricorso nel merito — non differiscono tra loro per quanto concerne le concrete conseguenze giuridiche, tuttavia non coincidono nei rispettivi presupposti processuali; secondo il sistema del c.p.c. è inammissibile il ricorso che sia inefficacemente proposto per cause precedenti o contemporanee alla notificazione di esso; mentre l'improcedibilità è stabilita per inadempienza o altre cause intervenute successivamente alla notifica del ricorso ab initio validamente proposto.

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Leo chiede
lunedì 14/02/2011 - Sicilia

“In una causa di lavoro, la corte d'appello ha dichiarato con sentenza inammissibile l'appello proposto avverso una precedente decisione già favorevole all'appellato.
Quali conseguenze giuridiche produce l'inammissibilità?
In particolare, l'appellante può proporre ricorso in Cassazione? O la sentenza può considerarsi passata in giudicato?”

Consulenza legale i 18/02/2011

Ai sensi dell'art. 358 del c.p.c., l'appello dichiarato inammissibile (o improcedibile) non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge. Alcune ipotesi di inammissibilità dell'appello sono: proposizione dopo la decorrenza del termine (art. 325 del c.p.c.); nessuna delle parti ha provveduto a integrare il contraddittorio nel termine fissato dal giudice; la sentenza è ex lege inappellabile.

L'art. 357 del c.p.c., che contemplava il reclamo al collegio contro le ordinanze dichiarative di improcedibilità, inammissibilità ed estinzione dell’appello, è stato abrogato: ciò perché in seguito alla riforma del 1990 anche la trattazione dell'appello è affidata al collegio, e non più all'organo monocratico.

Poiché le suddette ordinanze hanno natura decisoria e definitiva, esse si ritengono ricorribili in cassazione ex art. 360 del c.p.c. (Cass. civ., 17 aprile 2001 n. 5610; Cass. civ., 17 maggio 2007 n. 11434).