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Articolo 101 Codice del processo amministrativo

(D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Contenuto del ricorso in appello

Dispositivo dell'art. 101 Codice del processo amministrativo

1. Il ricorso in appello deve contenere l'indicazione del ricorrente, del difensore, delle parti nei confronti delle quali è proposta l'impugnazione, della sentenza che si impugna, nonché l'esposizione sommaria dei fatti, le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, le conclusioni, la sottoscrizione del ricorrente se sta in giudizio personalmente ai sensi dell'articolo 22, comma 3, oppure del difensore con indicazione, in questo caso, della procura speciale rilasciata anche unitamente a quella per il giudizio di primo grado.

2. Si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello o, per le parti diverse dall'appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio.

Spiegazione dell'art. 101 Codice del processo amministrativo

La norma in esame si occupa di disciplinare il contenuto del ricorso in appello.
Per facilitare la lettura della norma, pare utile fornire un’elencazione schematica degli elementi che il ricorso in appello deve necessariamente contenere, a pena di nullità:
  1. l'indicazione del ricorrente;
  2. l’indicazione del difensore;
  3. l’indicazione delle parti nei confronti delle quali è proposta l'impugnazione;
  4. l’indicazione della sentenza che si impugna;
  5. l'esposizione sommaria dei fatti;
  6. le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata;
  7. le conclusioni;
  8. la sottoscrizione del ricorrente se sta in giudizio personalmente oppure del difensore con indicazione, in questo caso, della procura speciale rilasciata anche unitamente a quella per il giudizio di primo grado.
Come chiarito con riferimento al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sub art. 40 c.p.a, al fine di dichiarare l’eventuale nullità dell’appello, dovrà valutarsi l’atto nel suo complesso: fermo restando che la nullità consegue automaticamente alla mancanza della sottoscrizione, per quanto riguarda gli altri elementi se è possibile identificare chiaramente l’oggetto della domanda nonché le parti coinvolte allora l’appello può considerarsi valido.
Nel caso in cui sussista una assoluta incertezza circa tali elementi, invece, esso deve considerarsi nullo.

Analogamente a quanto disposto per l’appello della sentenza civile, anche per il processo amministrativo il legislatore prevede uno specifico onere di riproposizione: si intendono infatti rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello.
Per le parti diverse dall'appellante, peraltro, è necessario riproporre tali questioni con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio.
Da tale norma si trae dunque che, pur configurandosi l’appello come un’impugnazione di carattere devolutivo (nel senso che il giudice di secondo grado procederà ad un nuovo esame della controversia che terminerà con una pronuncia sostitutiva di quella di prime cure), vige il principio della domanda.

Massime relative all'art. 101 Codice del processo amministrativo

Cons. Stato n. 4512/2019

Nel processo amministrativo di appello è inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice, dato che l'effetto devolutivo dell'appello non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo l'appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado.

Cons. Stato n. 4200/2019

La memoria di costituzione in appello che reca la mera indicazione del riportarsi a tutte le eccezioni formulate negli atti difensivi di primo grado, che in tale sede devono intendersi integralmente ritrascritte, costituisce una formula di stile che non risponde alla previsione dell'art. 101, comma 2, D.Lgs. n. 104/2010, la cui ratio è quella di esplicitamente delimitare il thema decidendum del secondo grado, contenendo l'effetto devolutivo dell'appello; ciò, richiede che le eccezioni riservate alla parte, come è l'eccezione di prescrizione, vengano esplicitate, appunto, nella memoria di costituzione. In mancanza di siffatta espressa tempestiva riproposizione dell'eccezione di prescrizione se ne deve ritenere la decadenza, ai sensi della norma di rito suddetta.

La consulenza tecnica d'ufficio non può essere richiesta per colmare la lacuna probatoria, poiché questo è mezzo istruttorio volto alla valutazione degli elementi di fatto che la parte, gravata del relativo onere - come è il danneggiato che agisca per il risarcimento - deve autonomamente introdurre in giudizio, tanto più in casi in cui non vi è alcuna impossibilità o estrema difficoltà della relativa prova, consistente in risultanze meramente documentali.

Cons. Stato n. 3360/2019

In sede di appello le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado che non vengano espressamente riproposte nell'atto di gravame si intendono rinunciate ex art. 101, comma 2 del D.Lgs. n. 104/2010.

Cons. Stato n. 3253/2019

L'appellante non può limitarsi a riproporre i motivi del ricorso di primo grado senza articolare puntuali censure avverso la sentenza gravata, atteso il contrasto col generale principio della specificità dei motivi di appello che discende dal carattere impugnatorio dell'appello.

Cons. Stato n. 2826/2019

In ambito amministrativo il principio devolutivo di cui all'art. 101, comma 2 del D.Lgs. n. 104/2010 consente al giudice dell'appello di decidere, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure.

Cons. Stato n. 2673/2019

Il ricorso in appello deve contenere specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, infatti, nel giudizio amministrativo costituisce specifico onere dell'appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l'oggetto di tale giudizio è costituito da quest'ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado; il suo assolvimento esige quindi la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata, con la conseguenza che il mancato assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità della censura relativa al capo della decisione che è rimasto estraneo alle critiche svolte nell'atto d'appello, con conseguente reiezione del gravame se detto autonomo capo della sentenza è idoneo a sorreggere di per sé la decisione assunta.

Cass. civ. n. 4878/2017

L'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale autonomo capo della decisione.

Cons. Stato n. 1822/2016

Anche nel regime processuale precedente all'entrata in vigore del c.p.a., i motivi dedotti in primo grado, respinti o non esaminati dalla decisione impugnata, si intendevano rinunciati, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., applicabile al giudizio amministrativo, ove non espressamente riproposti in appello.

Cons. Stato n. 5459/2015

È inammissibile un ricorso in appello, per violazione dei doveri di specificità e chiarezza, nel caso in cui: a) contenga plurime e intricate reiterazioni dei medesimi argomenti, che rendono difficoltosa la lettura e la comprensione del testo, non ordinato fra fatto, svolgimento del processo e motivi di impugnazione; b) rechi motivi non formulati in primo grado ex se inammissibili; c) non sia univoco circa l'impugnativa o meno del capo della sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Cons. Stato n. 4967/2015

È da ritenere nulla la notifica dell'appello al Consiglio di Stato effettuata nei confronti di una Amministrazione statale presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, piuttosto che presso l'Avvocatura Generale dello Stato, ai sensi dell'art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260; né tale invalidità può essere sanata dall'avvenuta costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale dello Stato, nel caso in cui tale costituzione sia intervenuta al solo fine di far dichiarare il ricorso inammissibile.

Cons. Stato n. 4803/2015

È inammissibile l'appello innanzi al Consiglio di Stato ove risulti che le notificazioni effettuate agli appellati (nella specie alla P.A. ed alla controinteressata) siano affette da nullità, in quanto non eseguite - come dovuto - nel domicilio eletto da ciascuna di dette parti nel giudizio di primo grado (v. art. 330 cod. proc. civ. ed art. 93, comma 1, c.p.a.), ma presso quello effettivo. Siffatta invalidità delle notificazioni dell'impugnazione, non dipendente da causa non imputabile al notificante (che aveva piena conoscenza del domicilio eletto - o da intendersi eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), c.p.a. - da ciascuna delle controparti in primo grado quale risulta dalla sentenza impugnata) e che nella specie risulta non sanata dalla costituzione in giudizio della P.A. (avvenuta oltre il termine di tre mesi dato per la proposizione dell'appello e dunque quando era stato consumato il potere di impugnazione), vale a determinare l'inammissibilità dell'appello.

Cons. Stato n. 3990/2015

La questione di giurisdizione può essere sollevata per la prima volta con l'appello proposto da una delle parti resistenti in primo grado, atteso che nessuna norma o principio impone alla parte resistente in primo grado di dedurre, sin da quel grado di giudizio, la questione di giurisdizione a pena di futura inammissibilità.

Sussiste la preclusione in ordine alla proposizione in appello dell'eccezione di difetto di giurisdizione solo in capo alla parte a cui risale, mediante la scelta del giudice di primo grado, l'individuazione della stessa; tale regola processuale trova, infatti, fondamento nei divieto dell'abuso del diritto, quale è da ritenersi, a guisa di figura paradigmatica, il venire contra factum proprium, dettato da ragioni meramente opportunistiche, in quanto vige nel nostro sistema un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva (divieto che, ai sensi dell'art. 2 Cost. e dell'art. 1175 c.c., permea le condotte sostanziali al pari dei comportamenti processuali di esercizio del diritto), in cui si inserisce anche l'abuso del processo.

Cons. Stato n. 1769/2015

Ove l'atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza. Tale principio deve ritenersi traslabile anche alla ipotesi della omessa impugnazione di un capo autonomo della sentenza idoneo, anche isolatamente considerato, a sorreggere la statuizione gravata: è pertanto inammissibile, per carenza di interesse, un gravame che non attinga l'intero ventaglio dei capi di decisione lesivi in quanto, anche ove accolto, non potrebbe travolgere la statuizione che - in carenza di impugnazione - è divenuta regiudicata.

Cons. Stato n. 5160/2013

I motivi del ricorso incidentale dichiarati improcedibili in primo grado non possono essere riproposti in appello con semplice memoria, in quanto la predetta statuizione non è assimilabile ad un omesso esame o ad una dichiarazione di assorbimento.

Ai sensi dell'art. 101 comma 1 Cod. proc. amm., l'appello non può limitarsi a una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado quando gli stessi sono stati puntualmente disattesi dal giudice di prime cure, ma deve contenere «le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata».

Cons. Stato n. 1626/2011

Il ricorso non sottoscritto da un legale abilitato, deve ritenersi inammissibile per mancata valida instaurazione del contraddittorio, essendo nullo l'atto difensivo prodotto da un soggetto sfornito dello "ius postulandi" dinanzi al Consiglio di Stato, con conseguente impossibilità dell'appello di poter introdurre il corretto esercizio della funzione giurisdizionale. Nè può giovare alle ragioni della parte appellante la circostanza che l'atto introduttivo del giudizio di secondo grado contenga, nell'epigrafe ed in calce, la mera indicazione nominale di altro legale abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, in quanto il ricorso risulta sottoscritto soltanto dall'avvocato privo dello "ius postulandi" e che, di conseguenza, la paternità dello stesso non può che ascriversi esclusivamente a quest'ultimo difensore.

Il ricorso in appello deve ritenersi inammissibile sotto il profilo dell'inesistenza dell'autenticazione della firma del ricorrente effettuata da un avvocato non abilitato in quanto, la validità dell'autenticazione va correlata con l'abilitazione a difendere in giudizio e, pertanto, deve ritenersi invalida l'autenticazione della firma del mandato effettuata, a margine del ricorso, da un avvocato non abilitato al patrocinio.

Cons. Stato n. 996/2011

L'erronea declaratoria di inammissibilità di una domanda da parte del Tar non ha per conseguenza l'annullamento con rinvio della sentenza, ma comporta che il giudice di appello decide nel merito ex art. 105, comma 1, c.p.a.

Cons. Stato n. 693/2011

Qualora la sentenza non accolga in modo chiaro le eccezioni di tardività ed inammissibilità del ricorso originario, rigettandolo nel merito, sussiste comunque l'onere per la resistente di proporre appello incidentale sul punto.

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