Cons. Stato n. 3936/2019
Il ricorso in appello avente ad oggetto l'ordinanza resa ai sensi dell'articolo 116, comma 2, del D.Lgs. n. 104/2010 è ammissibile atteso che alla stessa è riconosciuto valore decisorio indipendente dal giudizio principale.
Cons. Stato n. 2737/2019
L'art. 24, comma 3, L. n. 241 del 1990 opportunamente esclude dall'accesso le istanze preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni, tenuto conto che lo strumento dell'accesso documentale, postulando, a norma dell'art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241 del 1990 un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, non è dato in funzione della tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, vale a dire a un controllo generalizzato da parte di chiunque sull'attività dell'amministrazione, ma alla salvaguardia di singole posizioni differenziate e qualificate e correlate a specifiche situazioni rilevanti per la legge, che vanno dimostrate dal richiedente che intende tutelarle. In ossequio all'interpretazione della disciplina sull'accesso documentale, plasticamente applicabile al nuovo istituto dell'accesso civico generalizzato, la tutela da parte dell'aspirante accedente nei confronti del silenzio rifiuto, del provvedimento espresso di diniego, totale o parziale e del provvedimento con cui si dispone il differimento, formatisi o resi dall'amministrazione su una istanza estensiva, deve essere esercitata entro e non oltre il termine decadenziale di trenta giorni (ai sensi dell'art. 116, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010), decorrente dallo spirare del termine procedimentale di trenta giorni (previsto dall'art. 25, quarto comma, L. n. 241 del 1990 per l'accesso documentale e, per l'accesso civico, dall'art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 33 del 2013), sicché la proposizione della domanda giudiziale oltre il termine decadenziale di impugnazione del diniego di accesso civico generalizzato: 1) rende irricevibile il ricorso tardivamente proposto dinanzi al giudice amministrativo (ovvero nelle sedi giustiziali indicate nell'art. 5, commi 8 e 9, D.Lgs. n. 33 del 2013); 2) rende inammissibile la (ri)proposizione di una domanda di accesso (civico generalizzato) dello stesso tenore di quella fatta oggetto del silenzio diniego, del provvedimento espresso di diniego parziale o totale ovvero del provvedimento di differimento non tempestivamente impugnati.
Cons. Stato n. 297/2019
La tutela del controinteressato nel rito afferente al diritto di accesso è quella, anticipata, connessa all'evento di rischio costituito dall'impatto dell'accesso sul diritto alla riservatezza, fattispecie non più ravvisabile nei suoi tratti salienti laddove l'accesso sia già stato consentito. La qualità di controinteressati nel rito in materia di accesso di cui all'art. 116 cod. D.Lgs. 104/2010, sulla base della lettera dell'art. 22, comma 1, lett. c), della L. n. 241 del 1990, non va riconosciuta a tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, siano nominati o comunque coinvolti nel documento oggetto dell'istanza estensiva, ma solo quei soggetti che per effetto dell'ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza. E ciò rilevando che, non basta, perciò, che taluno venga chiamato in qualche modo in causa dal documento in richiesta, ma occorre in capo a tale soggetto un quid pluris, vale a dire la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento. La veste di controinteressato in tema di accesso è una proiezione del valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto. Se ne desume che non tutti i dati riferibili ad un soggetto sono per ciò solo rilevanti ai fini in discorso, ma solo quelli rispetto ai quali sussista, per la loro inerenza alla personalità individuale, o per i pregiudizi che potrebbero discendere da una loro diffusione, una precisa e ben qualificata esigenza di riserbo.
Cons. Stato n. 1033/2018
In tema di accesso agli atti, al di là degli specifici vizi e della specifica motivazione dell'atto impeditivo dell'accesso, il giudice deve verificare se sussistono o meno i presupposti per l'ostensione del documento, potendo pertanto negare l'esibizione anche per motivi diversi da quelli indicati dal soggetto detentore del documento reclamato. In tema di accesso agli atti, l'atto con il quale chi detiene il documento si pronuncia non costituisce espressione di un potere autoritativo, ma si inquadra nell'ambito di un rapporto di tipo paritetico per cui la sua motivazione non assume la funzione tipica che quest'ultima riveste in relazione ai provvedimenti amministrativi. Ne consegue che l'erroneità, l'incompletezza o l'inadeguatezza della motivazione a supporto del diniego di accesso non ne provoca di per sé l'illegittimità. In tema di accesso agli atti, il giudizio sull'ostensione ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto di accesso e non quello della legittimità dell'atto con cui l'ostensione viene negata. Infatti, il giudice può disporre l'esibizione dei documenti richiesti, ordinando all'amministrazione un tacere pubblicistico, solo se ne sussistono i presupposti.
Cons. Stato n. 351/2018
Nel processo amministrativo il giudice adito, qualora ravvisi posizioni di controinteresse può anche d'ufficio, in applicazione dell'art. 116 del D.Lgs n. 104/2010, imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte controinteressata.
Cons. Stato n. 3178/2015
È inammissibile un ricorso avverso un provvedimento di diniego di accesso agli atti adottato da una Autorità statale (nella specie si trattava di un Istituto scolastico) che sia stato notificato direttamente presso la sede dell'Autorità stessa e non già presso la sede dell'Avvocatura distrettuale dello Stato; infatti, in mancanza di una norma che autorizzi la notificazione del ricorso in materia di accesso presso la sede dell'organo statale, il principio ricavabile dall'art. 11 del t.u. n. 1611 del 1933, sviluppo della regola fondamentale sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato di cui all'art. 1 del r. d. n. 1611/1933, al quale l'art. 41, comma 3, cod. proc. amm. fa rinvio, non ammette eccezioni, neppure in materia di accesso, a nulla rilevando che in quest'ultima materia l'art. 23 del cod. proc. amm. ammette la difesa personale delle parti.
Cons. Stato n. 117/2011
L'accesso costituisce oggetto di un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva.
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Il giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto di accesso, più che la verifica della sussistenza o meno dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo. Infatti, il giudice può ordinare l'esibizione dei documenti richiesti, così sostituendosi all'Amministrazione e ordinandole un tacere pubblicistico, solo se ne sussistono i presupposti (art. 116 comma 4, c.p.a.). Questo implica che, al di là degli specifici vizi e della specifica motivazione del provvedimento amministrativo di diniego dell'accesso, il giudice deve verificare se sussistono o meno i presupposti dell'accesso, potendo pertanto negarlo anche per motivi diversi da quelli indicati nel provvedimento amministrativo. Di conseguenza, non sussiste il vizio di ultrapetizione della sentenza, che ha ampliato e corroborato gli argomenti ostativi all'accesso rispetto al provvedimento impugnato.