Confronto del nuovo testo con quello del vecchio codice
L'art. 711 del codice civile del 1865 era cosi formulato: «
Le cose che non sono ma possono venire in proprietà di alcuno si acquistano con l'occupazione. Tali sono gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca, il tesoro e le cose mobili abbandonate ».
Basta confrontare il testo dei due articoli per rilevare che nel nuovo codice non vi sono, per questo articolo, novità sostanziali. La forma, tuttavia, dell'art. 923 vale per se stessa ad eliminare alcune delle questioni che erano state sollevate nella interpretazione dell'art. 711, ad es. quella che concerneva la possibilità di acquisto degli immobili, mediante occupazione.
Esclusione dell'acquisto degli immobili
Il nuovo testo parla espressamente di occupazione di cose mobili e implicitamente esclude quella degli immobili, mentre dicendosi nel codice del 1865, all'art. 710, in forma generica, che la proprietà si acqui- con l'occupazione e ribadendosi nell'art. 711 che «
le cose.... si acquistano con l'occupazione », senza alcuna specificazione, sorgeva spontanea l'interpretazione che ii legislatore avesse voluto ammettere l'acquisto degli immobili per occupazione. La maggioranza della dottrina era in questo senso e tale prevalente opinione trovava appoggio, oltre che nella lettera della legge, in valide argomentazioni di carattere storico e logico.
Oggi, oltre che dal testo dell'art. 923, per se stesso già chiaro, ogni possibilità di dubbio sull'esclusione degli immobili dall'acquisto per occupazione è eliminata dall'
art. 827 del c.c., il quale stab-lisce che «
i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato ».
Elementi dell'occupazione. Elemento soggettivo
Appare ora opportuno precisare, in relazione al primo comma dell'articolo in esame, quali sono gli elementi che devono sussistere affinchè si possa parlare di occupazione.
Circa l'elemento soggettivo, se cioè basti che l'occupante si impossessi della cosa che non è in proprietà di alcuno, basti, quindi, l'acquisizione del
corpus oppure occorra anche l'
animus, cioè l'intenzione nell'occupante di divenire proprietario della cosa, il legislatore, con l'articolo in esame, non ha preso posizione. Vi sono, invece, codici stranieri che provvedono esplicitamente al riguardo. Il codice ex-austriaco sancisce che
« il modo di acquistare consiste nell'occupazione con la quale si riduce in proprio potere la cosa che non appartiene ad alcuno, con l'intenzione di farla propria ». Il codice tedesco esprime lo stesso concetto: «
chi prende possesso di una cosa mobile di nessuno con l'animus di averla per sé ne acquista la proprietà ». E così il codice cinese dispone che «
colui il quale, con la volontà di essere proprietario, prende possesso di una cosa mobile senza padrone, ne acquista la proprietà ». Altri codici invece,al pari del nostro, non precisano l'elemento soggettivo.
La questione sulla necessità di questo elemento, consistente nella precisa intenzione di voler acquistare la proprietà con l'occupazione, è stata lungamente e vivacemente dibattuta dagli interpreti del diritto romano. La maggioranza di essi ritiene necessario
l'elemento intenzionale ora indicato, ad esempio Scialoja ha evidenziato che «
l'animus necessario per occupare sia l'animus possidendi e che non vi si debba aggiungere quest'altro elemento dell'intenzione diretta ad acquistare la proprietà ».
Anche i1 Segre nella Relazione per il titolo «
della occupazione e del ritrovamento » al progetto della Commissione Reale per la riforma dei codici scrive che «
l'occupazione non è che acquisto del possesso; non occorre altro animus che quello occorrente per l'acquisto del possesso, in altri termini, l'animus d'insignorirsi della cosa, non quella di diventare proprietario ».
Ma dal punto di vista pratico, che è quello che deve guidare il legislatore nel redigere il testo legislativo e il magistrato nell'applicarlo, sembra che sia, se non impossibile, certo molto difficile valutare nei casi singoli se questo «
insignorimento della cosa » si arresti, nell'intenzione dell'occupante, ad una potestà di fatto concretante il possesso oppure si estenda alla pienezza di godimento e di esclusività che caratterizzano la proprietà. L'indagine riuscirebbe ancor più scabrosa oggi che il possesso è definito dall'
art. 1140 del c.c. quale «
potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà ».
Ora, quando la manifestazione esterna della volontà dell'occupante finisce per essere identica tanto se egli abbia l'intenzione di divenire semplicemente possessore quanto se abbia quella di acquisire la proprietà della cosa, bene ha fatto il legislatore a non richiedere espressamente quale elemento soggettivo determinante l'occupazione, la precisazione dell'intenzione dell'occupazione e a preoccuparsi piuttosto di mettere in evidenza il fatto dell'occupazione ai fini dell'acquisto della proprietà.
Indubbiamente la materialità dell'impossessamento è accompagnata da un'intenzione, ma poiché questa è dal legislatore implicitamente collegata col fatto, quale intenzione di acquisto di proprietà, è necessario, perché tale acquisto non avvenga, che l'occupante, compiendo l'impossessamento, manifesti esplicitamente la propria volontà, negativa, quella cioè di non volere avere la proprietà della cosa, su cui tuttavia ha preso it potere di fatto. Si concreterebbe siffatta ipotesi nel caso di chi dichiarasse nel momento dell'impossessamento, di compiere questo in nome altrui oppure di compierlo al solo fine di custodire temporaneamente la cosa senza volerla far propria. Sono ipotesi rare, ma devono essere prevedute.
Lo stesso Scialoja, del resto, finisce per concludere — dopo avere compiuta una interessante analisi di testi romani e dopo avere fatto acute e sottili distinzioni fra l'intenzione considerata sotto l'aspetto giuridico e quella considerata sotto l'aspetto economico — che «
per l'occupazione non è necessaria l'intenzione di divenire proprietario, se questa si considera come intenzione perfetta e cosciente giuridicamente, è necessaria, quando si consideri come intenzione tale che il diritto debba poi considerarla come sufficiente all'acquisto della proprietà ».
La maggior parte della dottrina è dell'opinione che debba esservi l'intenzione dell'occupante di far propria la cosa perché l'occupazione produca l'effetto dell'acquisto della proprietà. Di fronte al silenzio del legislatore circa l'elemento soggettivo, deve, tuttavia, intendersi praticamente che l'accennata intenzione sussista, e cioè che il fatto materiale dell'occupazione sia accompagnato dall'
animus domini dell'occupante a meno che il secondo non sia da escludere, come abbiamo già accennato, per una chiara manifestazione di volontà contraria dello stesso occupante.
Elemento oggettivo
Nell'art. 923, al contrario di quello soggettivo, è precisato l'elemento oggettivo dell'occupazione, consistente in «
cose mobili che non sono proprietà di alcuno ». Il vecchio codice aggiungeva
« ma che possono venire in proprietà »: l' aggiunta è stata soppressa perché era superflua. Se, infatti, una cosa non può costituire oggetto di proprietà perché
extra commercium, è evidente che l'atto di occupazione non potrebbe farle cambiare natura.
Le « cose che non sono in proprietà di alcuno » possono essere di due categorie secondo che non hanno formato mai oggetto di proprietà oppure che hanno avuto e più non hanno proprietario. La prima costituisce le
res nullius, originalmente tali, la seconda le
res derelictae divenute
nullius per abbandono.
Le res nullius
I Glossatori distinsero, per il diritto romano, sette gruppi di
res nullius a seconda ahe fossero tali per :
natura, facto, tempore, censura, casu, culpa, iuris naturalis constitutione.
I giureconsulti romani, tuttavia, fecero classificazioni più semplici. Gaio nelle sue
Institutions accenna a tutte le cose di cui in terra, nel mare e nel cielo ci si può impossessare perché prima non appartenevano ad alcuno, quali gli animali selvatici cioè le
terrae bestiae, gli uccelli, e i pesci. Paolo, riportando l'opinione di Nerva figlio, indica lo stesso concetto ora accennato di Gaio, aggiungendovi le prede belliche, l'isola nata nel mare, e le cose trovate sulla riva del mare quali le gemme, i lapilli, le perle. Ma la categoria più importante di cose di cui può essere acquistata la proprietà mediante occupazione, tanto per il diritto romano quanto per il diritto italiano odierno, resta costituita dagli animali che formano oggetto di caccia e di pesca, com'è espressamente detto nel secondo comma dell'art. 923. Nello stesso comma sono indicate le cose abbandonate, di cui diremo appresso, ma non il tesoro — come faceva l'art. 711 del vecchio codice — perché per il tesoro sono dettate norme particolari, in virtù delle quali non può dirsi che esso debba rientrare,
sic et simpliciter, fra gli oggetti di occupazione.
Quanto alla caccia e alla pesca, l' art. 712 del vecchio codice faceva richiamo alle leggi particolari e poneva il divieto di introduzione nel fondo altrui per esercitarvi la caccia o la pesca contro il divieto del possessore. Il contenuto dell'art. 712 non è stato soppresso — come potrebbe sembrare a chi si arrestasse al semplice confronto dei due codici in questo punto — ma è stato solamente spostato, per una più logica sistemazione della materia, fra le disposizioni generali della proprietà fondiaria. È stabilito, infatti, nell'
art. 842 del c.c. che «
il proprietario di un fondo non pub impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità. Per l'esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo ».
Il compito di illustrare tale articolo è stato già assolto. Ma, poiché questo si occupa dell'esercizio della caccia e della pesca soltanto in fondi altrui, si deve qui avvertire che non può restare dubbio alcuno che le norme sulla caccia e sulla pesca, quali mezzi di acquisto della proprietà degli animali per occupazione, continuano ad essere regolate dalle leggi speciali.
Le res derelictae
Le cose abbandonate, di cui parla il secondo comma dell'art. 113, costituiscono, come abbiamo sopra accennato, la seconda categoria delle «
cose che non sono proprietà di alcuno ».
Sulle
res derelictae sorse, nel periodo classico, una delle non poche dispute fra proculiani e sabiniani, perché questi ritenevano che fosse sufficiente l'abbandono della cosa con l'
animus derelinquendi perché la proprietà fosse perduta e la
res derelicta diventasse senz'altro
nullius quelli, invece, sostenevano che il proprietario, anche se
animo derelinquendi abbandonava la cosa, non ne perdesse la proprietà se non nel momento in cui il terzo ne prendeva possesso, cioè occupava la cosa stessa.
Ma Giustiniano risolse definitivamente la questione nel senso sabiniano dichiarando che, per effetto della derelizione, la proprietà sulla cosa cessava immediatamente e veniva poi acquistata da chi per primo compiva l'occupazione. Ed è questo il concetto che si è nei secoli mantenuto e continua anche oggi a vigere in materia.
Diritti dei terzi sulle cose abbandonate
Non deve però ritenersi che, con l'abbandono della cosa da parte del proprietario, come si estingue il diritto di proprietà si estinguano anche eventuali altri diritti spettanti a terzi sulla cosa stessa. L'occupante, invero, acquista la proprietà della cosa nello stato di fatto e di diritto in cui essa si trovava nel momento dell'occupazione, e poiché il proprietario con l'atto di derelizione poteva disporre e rinunciare soltanto al proprio diritto non già sopprimere quelli dei terzi, i diritti di questi, come potevano essere fatti valere contro il precedente proprietario così restano efficaci contro l'occupante, nuovo proprietario.