Una volta affermata la natura contrattuale della donazione non si poteva, senza un’evidente contraddizione, identificare la capacità di far donazione con quella di far testamento, come stabiliva l’art. #1052# del codice precedente. Si spiega, così, la norma dell’articolo in esame, la quale risponde al principio comune in materia contrattuale che la capacità è la regola, l’incapacità l’eccezione.
Per la donazione è richiesta la piena capacità di disporre dei propri beni, il che si comprende riflettendo sull’effetto dispositivo dell’atto di liberalità. Pertanto non possono donare: il minore, gli interdetti per infermità di mente e quelli legali, gli inabilitati. Si tratta, in questi casi, di incapacità personali (salvo il caso dell’interdetto per causa di pena, per il quale si pone un divieto giustificato da un principio di ordine pubblico): pertanto, la donazione fatta da un incapace è annullabile e può essere convalidata solo quando il donante diviene capace o da chi lo rappresenta o lo assiste.
Un’eccezione all’incapacità a donare è posta dall’art. 774 nei riguardi del minore e dell'inabilitato, ai quali è riconosciuta la capacità di donare nel contratto di matrimonio. In tal modo si stabilisce, come già nell’art. #1336# del vecchio codice del 1865, un’estensione della capacità del minore e dell’inabilitato dai rapporti personali di famiglia ai rapporti patrimoniali familiari; è, in sostanza, la stessa capacità che, abilitando alla celebrazione del matrimonio, abilita anche alle convenzioni matrimoniali, secondo il noto brocardo: habilis ad nuptias, habilis ad pacta nuptialia. La validità di una tale donazione, quasi accessoria al contratto di matrimonio ed a questo subordinata nello scopo e negli effetti, è condizionata, da un lato, all’osservanza delle norme sostanziali e formali per essa dettate nel libro I e, dall’altra, al fatto che deve trattarsi del matrimonio dell'incapace; in tal senso inducono a ritenere, oltre un’ovvia considerazione, anche il termine “loro” che si legge nell'articolo in esame, il quale esclude che l’incapace possa donare sia in occasione del suo matrimonio a favore di persona che non sia l’altro sposo o della prole nascitura, sia in occasione di matrimonio altrui.
L’eccezione appena considerala riflette solo i minori e gli inabilitati; ne sono eccettuati gli interdetti per infermità di mente (per i quali, in verità, non si pone neppure la relativa questione, poiché ad essi è vietato contrarre matrimonio) e gli interdetti legali, anche se abilitati a contrarre matrimonio, poiché il codice penale applica all’interdizione legale, per ciò che concerne la disponibilità, l’amministrazione dei beni e la rappresentanza degli atti ad essi relativi, le norme della legge civile sull'interdizione giudiziale.
Vi è, poi, un'ulteriore eccezione, quella relativa al minore emancipato che sia commerciante: il comma 2 espressamente prevede che anche questo soggetto possa donare. La maggior parte della dottrina, infatti, ritiene che la donazione possa, per le sue circostanze e finalità particolari, essere considerata un atto di commercio (e può aver tale carattere, ad esempio, nel caso in cui sia fatta a scopo di pubblicità o per acquisire clientela), e dunque essa è consentita anche al minore autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale.
L’art. 774 non parla della capacità a donare delle persone giuridiche, il che significa che per queste vige la regola generale della capacità; il che non sembra dubbio. Anzi, vi è tutta una categoria di enti il cui scopo principale è appunto quello di fare delle donazioni, sia a titolo di carità che di premio alle virtù, di incoraggiamento alle ricerche, alle scienze, ecc. Devono, però, ritenersi sempre salve, nei confronti delle persone giuridiche, le norme abilitative contenute, a tal fine, in leggi speciali. Il precisare, poi, i limiti entro cui le persone giuridiche possono fare donazione è problema che trova la sua soluzione non in precetti generali di legge, ma nelle norme che i singoli enti pongono nell’atto costitutivo o nello statuto per disciplinare in concreto le attività che i loro organi direttivi devono svolgere.
In quale momento deve richiedersi la capacità a donare? In quello in cui la donazione è fatta o nell’altro in cui è accettata? La questione si risolve tenendo presenti le regole che disciplinano la formazione di un contratto: poiché la capacità del proponente deve esistere nel momento in cui dichiara la sua volontà all’altra parte e persistere anche quando egli riceve notizia della volontà di quest’ultima, si deve concludere che se i due momenti - proposta ed accettazione della donazione - non sono contestuali, la capacità del donante, che deve esistere nel primo momento, deve persistere anche in quello in cui egli viene a conoscenza dell’accettazione.