La norma presuppone che, in base alla volontà del de cuius, il legittimario consegua qualche cosa meno della legittima, ma, d’altra parte, anche qualche cosa della disponibile.
La lesione della legittima può riguardare tanto il godimento quanto la nuda proprietà.
Esempio: asse 100, legittimario un solo figlio legittimo. Il de cuius dispone dell'usufrutto per 60 a favore di un terzo. Il figlio, invece della legittima 50 in piena proprietà, conseguirebbe 40 in piena proprietà e 60 in nuda proprietà. Oppure il de cuius dispone, a favore del terzo, della nuda proprietà per 60: allora il figlio conseguirebbe 40 in piena proprietà e 60 in usufrutto. In questi casi esiste senza dubbio una lesione qualitativa della quota. Ma è anche possibile una lesione quantitativa in relazione alla durata della vita della persona cui è attribuito il godimento, e pure questa lesione eventuale vuole evitare la legge, escludendo per il legittimario l’alea inerente alla capitalizzazione dell’usufrutto o della rendita vitalizia.
Quando l’ereditando, mediante testamento o donazione, abbia disposto in uno dei modi indicati, il legittimario può conformarsi alla sua volontà, oppure può pretendere integralmente la legittima, ma allora non può acquistare la parte della disponibile che gli era stata attribuita dall’ereditando: così si evita per via diversa da quella solita dell’imputazione il cumulo della legittima e della disponibile. Questa si devolve invece alle persone in cui favore il de cuius aveva disposto dell’usufrutto, della rendita o della nuda proprietà.
L'attuale codice, come già il corrispondente art. #810# del codice precedente, parla impropriamente di abbandono della disponibile da parte del legittimario. Intanto, se si trattasse di abbandono, la nuda proprietà della disponibile non sarebbe acquistata dai legatari dell’usufrutto o della rendita vitalizia, ma dagli eredi, legittimi o testamentari. Ma in realtà manca il presupposto non solo dell’abbandono, ma anche di un trasferimento inter vivos dal legittimario al destinatario della liberalità, e cioè l’acquisto della disponibile da parte del legittimario che ha reclamato la sua legittima. In realtà l’onorato acquista direttamente dall’ereditando e ope legis la nuda proprietà o il godimento, da quello attribuiti al legittimario. Pertanto, in base all’art. #810#, doveva ritenersi che il legatario dell'usufrutto o della rendita, acquistando la piena proprietà della quota disponibile o di una parte di essa, acquistasse anche la qualità di erede, per effetto di un singolare intreccio, nella vocazione, della volontà legislativa con la volontà testamentaria. E anzi, poiché l’art. #1091# del codice precedente estendeva il disposto dell’art. #810# anche alla donazione, si sarebbe dovuto concludere per l’innesto di una vocazione legale a titolo universale anche sulla mera attribuzione inter vivos, mediante donazione dell’usufrutto o della rendita. Conseguenza quest’ultima davanti alla quale la riluttanza sembrava giustificata, poiché in questo caso a sostegno della vocazione ereditaria veniva a mancare una qualunque volontà testamentaria.
La nuova disposizione esclude espressamente, con grave deroga al sistema, che l’acquisto della disponibile di cui è privato il legittimario faccia assumere al legatario o donatario dell’usufrutto o della rendita vitalizia la qualità di erede.
Nel silenzio dell’art. #810# si faceva la questione se, essendo più i legittimari, occorresse l’accordo di tutti per la scelta. La questione doveva probabilmente risolversi nel senso che la scelta potesse essere diversamente esercitata dai legittimari, poiché la legge non limitava il diritto di scelta. L'attuale codice ha invece risolto opportunamente la questione nel senso che occorra l’accordo di tutti perché la disposizione testamentaria abbia effetto.
Altra questione, non risolta espressamente dal codice, è se la norma si applichi, quando non una, ma più liberalità eccedano, per il godimento o la nuda proprietà, la disponibile. La dottrina anteriore lo negava, specialmente in considerazione degli inconvenienti che si verificherebbero nel riparto della disponibile tolta al legittimario. Si ritiene che la legge consideri l’ipotesi di un solo onorato limitatamente alla destinazione della disponibile di cui è privato il legittimario, e che perciò, se il legittimario reclami la legittima in natura nei confronti di più onorati, l’intera disponibile debba devolversi secondo le regole ordinarie della vocazione legittima o testamentaria.