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Articolo 432 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Inabilitazione nel giudizio di revoca dell'interdizione

Dispositivo dell'art. 432 Codice Civile

L'autorità giudiziaria [712, 720 c.p.c.] che, pur riconoscendo fondata l'istanza di revoca dell'interdizione, non crede che l'infermo abbia riacquistato la piena capacità, può revocare(1) l'interdizione e dichiarare inabilitato l'infermo medesimo.

Si applica anche in questo caso, il primo comma dell'articolo precedente.

Gli atti non eccedenti l'ordinaria amministrazione [426] compiuti dall'inabilitato [415] dopo la pubblicazione della sentenza che revoca l'interdizione [429], possono essere impugnati [427] solo quando la revoca è esclusa con sentenza passata in giudicato [324 c.p.c.].

Note

(1) Tale pronuncia avrà natura dichiarativa, e la eventuale conversione potrà avvenire solo diminuendo gli effetti del precedente provvedimento (non quindi ampliando l'inabilitazione - anzichè revocandola, come richiesto dalle parti - in interdizione).

Spiegazione dell'art. 432 Codice Civile

Questo articolo ammette la possibilità che su domanda di revoca d'interdizione, quest'ultima venga bensì fatta cessare, ma al posto di essa sia pronunziata l'inabilitazione.
E, corrispondentemente a quanto si è disposto per la sentenza di revoca pura e semplice, aggiunge che anche le sentenze di conversione dell'interdizione in inabilitazione producono i loro effetti soltanto dal passaggio in cosa giudicata, ma che gli atti compiuti dopo la domanda dalla persona già interdetta ed ora inabilitata devono essere trattati alla stessa stregua degli atti compiuti da un inabilitato e quindi debbono aversi per validi quelli non eccedenti la semplice amministrazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 432 Codice Civile

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Zopito F. chiede
martedģ 24/02/2015 - Abruzzo
“Salve,
Vorrei sapere quali sono i miei “DOVERI“ in relazione all’Art. 433 C.C.

Premesso che :
• Sono sposato e mia moglie risulta “nulla tenente” ed al momento del matrimonio abbiamo scelto il regime della “COMUNIONE DEI BENI”;
• Io sono proprietario di una casa costruita in data precedente alla data del matrimonio e vivo con il provento della mia pensione;
• Mia moglie ha una sorella con un attestato di “INVALIDITA’ PER DEFICIT MENTALE al 100%” per cui percepisce una piccola pensione ed un fratello che “ POTREBBE” dilapidare i beni SUOI E DI SUA SORELLA;
Precisato che:
• Mia moglie è il parente più prossimo di sua sorella;
• Che il fratello di mia moglie ha due figlie e risulta divorziato dalla moglie;
Ipotizzando, in un prossimo futuro, lo stato di “INDIGENZA “ per i due fratelli di mia moglie:
VORREI SAPERE:
1. Quali sono i “ DOVERI “ MIEI e di MIA MOGLIE nei confronti dei due fratelli di mia moglie tenuto conto anche del fatto che mia moglie risulta “ NULLA TENENTE”;
2. Nell’ipotesi in cui, di comune accordo, io e mia moglie dovessimo “passare“ ad un REGIME di SEPARAZIONE DEI BENI, io e mia moglie saremmo esentati legalmente da qualsiasi dovere ai sensi dell’Art 433? (Osservazione : I cognati non sono citati nell’Art. 433)
3. Passando ad un regime di “SEPARAZIONE DEI BENI”, in futuro, mia moglie potrebbe correre il rischio di NON AVERE PIU’ DIRITTO alla reversibilità della mia pensione, dopo la mia eventuale morte?
Ringrazio anticipatamente certo di una cortese attenzione.”
Consulenza legale i 02/03/2015
Come correttamente evidenziato nel quesito, la moglie è tenuta ai sensi dell'art. 433 all'obbligo di prestare gli alimenti ai fratelli: suo marito, cioè il "cognato", non ha alcun obbligo giuridico. Tuttavia, per i due fratelli valgono discorsi diversi.
La sorella, invalida civile, senza una propria famiglia e senza genitori (supponiamo), ha come unici parenti ai sensi della disciplina sugli alimenti i propri fratelli: quindi, questi ultimi saranno eventualmente tenuti ad aiutarla in caso di bisogno, in concorso tra loro e in proporzione alle proprie condizioni economiche. Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione o sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l'autorità giudiziaria, secondo le circostanze (art. 441 del c.c.).
Il fratello con prole, invece, se si trova in stato di bisogno, dovrà rivolgersi prima di tutto alle figlie, e poi in via residuale ai fratelli (l'art. 433 stabilisce un ordine preciso tra le persone tenute all'obbligo).

Trattandosi di fratelli, trova applicazione l'art. 439 del c.c., secondo il quale tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello "stretto necessario". Con questa espressione ci si riferisce ai bisogni primari dell'individuo, quindi vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, con esclusione di tutti i bisogni ulteriori.

In ogni caso, gli alimenti sono dovuti solo da chi abbia le capacità economiche per prestarli: quindi, se anche un fratello sia nel bisogno, ma la sorella non abbia la capacità economica per sostenere un obbligo alimentare, questo non può essere disposto dal giudice. Si tratta di una valutazione rimessa alla discrezionalità dell'autorità giudiziaria, quindi non può farsi a priori, prima del processo.
Nel nostro caso, la signora non è titolare di alcunché (certamente non dell'immobile che era di proprietà del marito da prima del matrimonio); quanto alla pensione del marito, si tratta di denaro che cade in comunione del beni ai sensi dell'art. 177 del c.c., ma che rimane di proprietà del coniuge che lo percepisce fino al momento dello scioglimento della comunione legale (che si verifica ad esempio a seguito di separazione o divorzio): solo in quel momento, il residuo non consumato dovrà essere diviso a metà tra i coniugi.
Quindi, le probabilità che i fratelli possano ottenere degli alimenti dalla sorella è piuttosto bassa.
Per completezza, va ricordato che, se infine la sorella fosse condannata a pagare gli alimenti ad esempio alla sorella invalida (sempre che il giudice possa individuare che essa ne ha la capacità economica), ai sensi dell'art. 189 del c.c., colui che deve ricevere gli alimenti potrà soddisfarsi solo in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato.

Non va dimenticato che gli alimenti sono dovuti solo laddove richiesti con domanda giudiziale: prima di allora, non esiste per nessuno l'obbligo di versarli alla persona bisognosa, di conseguenza non esiste un diritto agli "arretrati".

Vista la situazione economica dei coniugi descritta nel quesito, la separazione dei beni non sembra essere assolutamente necessaria, considerato anche che scegliere un altro regime patrimoniale comporta dei costi, poiché va fatto con l'atto pubblico.
Va sottolineato che, per l'esattezza, il regime di separazione dei beni non esclude l'applicazione dell'art. 433 nei confronti della sorella (il cognato è sempre escluso), ma la scelta avrebbe solo ragioni di "opportunità", perché la pensione del marito non competerebbe più per metà alla moglie al momento dello scioglimento della comunione (ad esempio, per il decesso del marito).

Tale scelta, comunque, non ha alcuna influenza sulla pensione di reversibilità: la separazione dei beni tra due coniugi regolarmente sposati costituisce solo un regime relativo alla titolarità e alla gestione dei beni della famiglia.
Addirittura, la reversibilità spetta anche al coniuge separato (davanti al Tribunale), anche se è esclusa per il coniuge superstite separato cui sia stata addebita la separazione e non sia stato riconosciuto il diritto agli alimenti, nonché al coniuge divorziato se titolare di assegno divorzile (v. sito INPS).