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Articolo 55 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 09/10/2024]

Redditi d'impresa

Dispositivo dell'art. 55 TUIR

1. Sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa.

2. Sono inoltre considerati redditi d'impresa:

  1. a) i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.;
  2. b) i redditi derivanti dall'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;
  3. c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività agricole di cui all'articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa.

3. Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo.

Massime relative all'art. 55 TUIR

Cass. civ. n. 1508/2020

In tema di imposte sui redditi d'impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi dell'art. 55, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986, si realizza in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di riserve, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all'esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza (in applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso l'assoggettamento a tassazione di una sopravvenienza attiva generata dall'insussistenza di passività esposta per errore in precedente esercizio).

Cass. civ. n. 15321/2019

In materia tributaria, integra abuso del diritto, il cui divieto costituisce principio generale antielusivo, l'operazione economica volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la gravata sentenza che aveva ritenuto antieconomica e priva di razionalità la rinuncia, da parte di un socio, ad un ingente credito nei confronti della società, cui era seguita la cessione delle quote ad un prezzo incongruo rispetto al loro valore, senza alcun ritorno economico).

Cass. civ. n. 16217/2018

In materia tributaria, l'operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco costituisce condotta abusiva, la quale, pertanto, non ricorre qualora tale operazione possa spiegarsi altrimenti, che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, senza valorizzare i diversi elementi sintomatici della sussistenza dell'abuso allegati dall'Agenzia delle Entrate né affrontare le concrete ricadute dell'operazione medesima ed erroneamente configurando un risparmio fiscale solo potenziale e futuro, aveva ritenuto non elusiva la complessa operazione negoziale tra società controllate, contraddistinta dalla rinuncia ad un credito della controllante verso la controllata, con conseguente sterilizzazione, ad opera di quest'ultima, della sopravvenienza attiva, ex art. 55 T.U.I.R.).

Comm. Trib. Reg. Lombardia n. 203/2018

Il reddito delle società soggette ad IRES, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d’impresa, mentre l’agevolazione di cui all’art. 11, comma 2, l. 30 dicembre 1991, n. 413 si applica alla determinazione del reddito fondiario e non del reddito d’impresa; pertanto, i canoni di locazione percepiti da tali società costituiscono ricavi che concorrono alla determinazione del reddito d’impresa, dovendosi escludere che quelli derivanti dalla locazione di immobili di interesse storico o artistico siano classificabili come reddito fondiario e che possano godere dell’agevolazione in questione.

Cass. civ. n. 19219/2017

In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'art. 55 del D.P.R. n.917 del 1986 qualifica come sopravvenienza attiva da iscrivere in bilancio anche la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in precedenti esercizi, ovvero esistenti al momento della loro iscrizione e poi venute meno per fatti sopravvenuti, ipotesi da tenersi distinta rispetto alla passività fittizia, cioè inesistente, che come tale non può essere equiparata alle altre passività iscritte nei precedenti esercizi in quanto essa rileva al momento della sua eliminazione per decisione discrezionale del contribuente.

Cass. civ. n. 7636/2017

In tema di determinazione del reddito d'impresa, secondo la disciplina dettata dall'art. 55 (oggi art. 88), comma 4, del D.P.R. n. 917 del 1986, nella formulazione, vigente "ratione temporis", come introdotta dal D.L. n. 557 del 1993, conv., con modif., dalla L. n. 133 del 1994, a partire dall'esercizio 1993, la rinuncia, da parte del socio, ai crediti nei confronti della società non va considerata sopravvenienza attiva ove sia operata in conto capitale, atteso che, in tale ipotesi, esprime la volontà di patrimonializzare la società e non può, pertanto, essere equiparata alla rimessione del debito da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale.

Cass. civ. n. 23555/2015

In tema di determinazione del reddito d'impresa, sono contributi in conto capitale e, quindi, sopravvenienze attive, che concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui sono incassati (criterio di cassa) oppure in quote costanti nell'esercizio in cui sono incassati ed in quelli successivi, non oltre il quarto, quelli erogati per incrementare i mezzi patrimoniali del beneficiario, senza che la loro concessione si correli all'onere di uno specifico investimento in beni strumentali, mentre sono contributi in conto impianti, che confluiscono nel reddito sotto forma di quote di ammortamento deducibili, quelli destinati all'acquisto di beni (materiali o immateriali) strumentali. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza con cui il giudice di merito ha configurato come contributi in conto capitale le somme erogate per la ristrutturazione di un immobile già esistente, da adibire ad azienda agricola). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Sicilia - Sez. dist. Caltanissetta, 12/01/2009).

Cass. civ. n. 16434/2015

In tema di determinazione del reddito d'impresa, i contributi in conto impianti e, cioè, destinati all'acquisto o costruzione di beni strumentali, erogati in virtù del D.L. n. 415 del 1992, convertito con modificazioni nella legge n. 488 del 1992, secondo la formulazione dell'art. 55 (ora 88) del D.P.R. n. 917 del 1986, vigente a partire dal 1° gennaio 1998, non sono configurabili come sopravvenienze attive e concorrono alla formazione del reddito nella stessa misura in cui il costo dei beni ammortizzabili, cui fanno riferimento, vi confluisce sotto forma di quote di ammortamento deducibili. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Puglia, 22/02/2008).

Cass. pen. n. 3857/1992

Ai fini della concessione della remissione del debito prevista dall'art. 56 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario) si richiedono tre condizioni: a) - che il debito si riferisca a spese del procedimento o di mantenimento; b) - che si tratti di condannati o internati che vengano a trovarsi in disagiate condizioni economiche; c) - che detti condannati o internati abbiano tenuto una regolare condotta ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 30-ter della medesima legge, secondo il quale la condotta dei condannati è considerata regolare allorquando i soggetti durante la detenzione hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali. Ne consegue che la regolarità della condotta del condannato deve riferirsi a tutto l'arco di durata della detenzione, non bastando che essa riguardi solo la parte terminale di essa. (dichiara inammissibile, Mag. Sorv. Pisa, 29 aprile 1992).

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Consulenze legali
relative all'articolo 55 TUIR

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T. G. chiede
lunedì 23/12/2019 - Trentino-Alto Adige
“Salve, possiedo 4 appartamenti costituenti due case in una zona assai frequentata di turisti. Negli ultimi anni gli ho affittati tramite i portali ......... ed ........., usufruendo del regime forfettario (raggiungendo un fatturato di ca. 44 mila), dal quale però uscirò dal 2020 per superamento dei 30mila da reddito dipendente.
Offro biancheria, Wifi e pulizia, nessun‘altro servizio aggiuntivo. Domanda:
Potrò affittare dal 2020 come privato con cedolare al 21%, SENZA correre alcun rischio che dopo cinque anni arriva l‘Agenzia a riclassificare il tutto come reddito d‘impresa in regime normale? Il dubbio sorge una volta per il n. appartamenti (che un domani saranno 5) e poi per il fatturato che eccede il reddito dipendente.
Grazie, buone feste”
Consulenza legale i 30/12/2019
Al fine di rispondere al quesito occorre affrontare la questione sotto due distinti profili: un primo profilo è quello delineato dalla normativa regionale in materia di B&B; un secondo profilo è quello indicato dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria.
Effettivamente la normativa regionale (seppure con alcune differenze da regione a regione) qualifica l’attività di cui si discute in modo diversificato (reddito diverso o reddito di impresa) a seconda del numero delle unità immobiliari destinate alla stessa e della durata del soggiorno (inferiore a 30 giorni/superiore a 30 giorni).
Pare, però, dalla lettura del quesito, che il punto di vista di maggiore interesse sia quello dell’Agenzia delle Entrate, posto che il dubbio posto attiene principalmente alla probabilità di una eventuale riclassificazione del reddito da parte di detta amministrazione.

L’Agenzia delle Entrate ha affrontato la problematica in un primo documento di prassi che è la Risoluzione n. 180 del 14 dicembre 1998 del Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso tributario.
Nella predetta risoluzione, che muove dall’esame della Legge della Regione Lazio 29 maggio 1997, n. 18, è infatti sostenuto che la possibilità di ricondurre l’attività di cui si discute nel solco delle attività di tipo imprenditoriale è, fondamentalmente, ancorata alla sussistenza del requisito della professionalità nell'esercizio del servizio di fornitura di “alloggio e prima colazione”, ricavabile, sotto il profilo amministrativo, dal fatto che detta attività travalichi il limite dell'ospitalità volontaria per sfociare in quello dell'ospitalità imprenditoriale.

La risoluzione individua il predetto discrimine, in primo luogo, nella compresenza del titolare e degli ospiti nelle unità immobiliari messe a disposizione, lasciando intendere che l'attività non rientra tra quelle di sfruttamento dell'immobile per fini commerciali (e non ha, dunque, natura imprenditoriale), se questo è destinato principalmente a soddisfare le esigenze abitative di coloro che offrono ospitalità.
In secondo luogo, nella mancanza di autorizzazione sanitarie, posto che precisa ancora che è da ritenere che rientrino nella normale conduzione e manutenzione dell'immobile i servizi di pulizia delle stanze e di prima colazione, forniti unitamente alla messa a disposizione dei locali, resi in assenza delle suddette autorizzazioni e senza l'impiego di particolari strumentazioni tecniche ma avvalendosi della normale organizzazione familiare.
In terzo luogo, anche se non assume in se valore decisivo, nel contesto normativo delineato, appare rilevante il fatto che l'esercizio dell'attività non sia subordinato al rilascio di autorizzazioni amministrative.
A contraris, laddove i predetti parametri vengano superati e, dunque, laddove le prestazioni di servizi siano non occasionali ma rientranti in un'attività esercitata per professione abituale; laddove l’attività non abbia il carattere della saltuarietà e tale attività, anche se esercitata periodicamente, sia svolta in modo sistematico, con un carattere di stabilità, evidenziando una opportuna organizzazione di mezzi che è indice della professionalità dell'esercizio dell'attività stessa, in questi casi si configura una vera e propria attività di impresa, così come definita dall’art. 4 del T.U. IVA e, pertanto, il reddito che ne deriva rientrerà nella categoria del reddito di impresa e sarà, altresì, attratto nella sfera impositiva dell’IVA.

Le medesime considerazioni sono state riprese nella Risoluzione n. 155 del 13.10.2000, anch’essa del Min. Finanze - Dip. Entrate Aff. Giuridici Uff. del Direttore Centrale.
Anche in questo caso, con riferimento alle prestazioni di alloggio e prima colazione effettuate nelle strutture ricettive, meglio note come Bed and Breakfast, operanti nella Regione Emilia Romagna, da un lato si pone la Legge regionale n. 170 del 26 maggio 1999 che, all'articolo 1, comma 3, dispone che “costituisce attività ricettiva a conduzione familiare "Bed and Breakfast", l'offerta di alloggio e prima colazione esercitata in non più di quattro stanze dell'unità abitativa ad uso residenziale e con un massimo di
10 posti letto
”.
Inoltre, i successivi articoli 2 e 3, prevedono, tra l'altro, che l'esercizio dell'attività in argomento non costituisce cambio di destinazione d'uso dell'immobile e comporta per i proprietari delle unità abitative l'obbligo di residenza nello stesso.

La risoluzione, dal canto suo, riprendendo il precedente documento di prassi, afferma che il presupposto soggettivo di imponibilità all'IVA sussiste qualora le prestazioni di servizi siano non occasionali, cioè rientranti in un'attività esercitata per professione abituale, e che il carattere saltuario dell'attività di fornitura di "alloggio e prima colazione" si identifica con quello della occasionalità; ne consegue, in via generale, che l'esclusione dal campo di applicazione dell'IVA può affermarsi solo se l'attività viene esercitata non in modo sistematico o con carattere di stabilità e senza quella organizzazione di mezzi che è indice di professionalità dell'esercizio dell'attività stessa.
Aggiunge, quindi, che l'utilizzo delle tre camere a sei posti letto, previsto dalla predetta legge regionale per il Lazio, non rappresenta il vero elemento dirimente al fine di stabilire l'esclusione o meno della stessa attività dall'ambito applicativo dell’imposta sul valore aggiunto, posto che questo è da rinvenire esclusivamente nel fatto che detta attività venga svolta in modo sistematico e con carattere di stabilità, evidenziando una certa organizzazione di mezzi.

In tale situazione l'attività rientrerebbe nel campo di applicazione dell'IVA, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 4, comma 1, del d.P.R. n. 633/72, conformemente con quanto previsto dal dettato normativo comunitario.
Viene, inoltre precisato sotto il profilo delle imposte sui redditi, che l'attività in questione, ancorché - ricorrendone i presupposti - non rientri nell'ambito applicativo dell'IVA, in quanto attività commerciale non esercitata abitualmente, è soggetta all'imposizione sui redditi, come reddito diverso ai sensi dell'art. 67 del T.U.I.R., comma 1, lettera i).

Sembra, quindi, potersi concludere che laddove:
  • non vi sia una situazione di compresenza del titolare e degli ospiti nelle unità immobiliari messe a disposizione;
  • i servizi di pulizia delle stanze e di prima colazione, forniti unitamente alla messa a disposizione dei locali, siano resi con l'impiego di particolari strumentazioni tecniche e, comunque, non avvalendosi della normale organizzazione familiare (ad esempio rivolgendosi ad una ditta specializzata);
  • l'esercizio dell'attività sia subordinato al rilascio di autorizzazioni amministrative e sanitarie;
si configura una attività di tipo professionalmente organizzata che, in quanto tale, rientra nel campo di applicazione dell'IVA, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 4, comma 1, del d.P.R. n. 633/72 e non è più soggetta all'imposizione sui redditi come reddito diverso ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera i) del T.U.I.R. ma, costituisce vero e proprio reddito di impresa.

Riguardo, poi, al fatto di poter fruire del regime dei minimi, ossia del regime fiscale forfetario previsto per i contribuenti persone fisiche che esercitano attività di impresa, di cui all’art. 1, commi da 54 ad 89 della Legge n. 190/2014 (così come modificato dall’art. 1, commi 111-113 della Legge n. 208/2015), unitamente alla titolarità di un reddito di lavoro dipendente, va evidenziato che effettivamente esiste una soglia oltre la quale la titolarità del predetto reddito impedisce l’accesso al regime di cui si discute: non possono, infatti, avvalersi del regime forfetario i soggetti che, nell’anno precedente, hanno percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati eccedenti l’importo di € 30.000,00.
La verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro dipendente è cessato.
Come precisato nella Circolare n. 10/E del 04.04.2016, a seguito dell’introduzione di detto limite, è stato invece abrogato il precedente requisito di cui alla lett. d) del comma 54 dell’art. 1 della Legge n. 190/2014, che prevedeva che nell’anno precedente il reddito di impresa, connesso all’attività, fosse prevalente rispetto al reddito di lavoro dipendente o assimilato eventualmente percepito.
Ne deriva che, a decorrere dal 2016, l’unico limite per coloro che intendono fruire del regime di favore è che non devono avere percepito, nell’anno precedente, redditi di lavoro dipendente o assimilato superiori ad € 30.000,00.