Il D.P.R. n. 600/1973, all’art. 32, consente all’Amministrazione di esaminare i rapporti finanziari dei contribuenti, prevedendo specifiche presunzioni legali sui movimenti non giustificati.
Quando su un conto vengono accreditati bonifici, assegni o contanti di cui il contribuente non riesce a dimostrare con precisione origine e natura, quelle somme vengono automaticamente considerate quali ricavi o proventi non dichiarati. E non conta la categoria cui appartiene il contribuente: che si tratti di lavoratore dipendente, pensionato o libero professionista, l’onere della prova grava interamente su di lui. Pertanto, qualora non sia in grado di giustificare con apposita documentazione la somma, il Fisco la riterrà tassabile, con relative sanzioni.
Prelievi ingiustificati: non sempre sono ricavi nascosti
Ma cosa accade se a finire sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate non sono gli accrediti, bensì i prelievi in contanti? La normativa prevede che, per gli imprenditori, i prelievi di denaro dal conto senza giustificazione siano indizio di ricavi “in nero”. Questo perché si presume che quelle somme servano per pagare fornitori o dipendenti “fuori bilancio”, legati a vendite altrettanto occulte.
Tuttavia, questa logica non si applica indistintamente. In particolare, i professionisti e i lavoratori autonomi che operano senza una vera e propria struttura imprenditoriale non rientrano in questa presunzione, che è invece riservata agli operatori economici che svolgono attività d’impresa in forma organizzata. La logica alla base è chiara: chi produce o commercializza beni e servizi deve sostenere spese per l'acquisto di materie prime, forniture o prestazioni di terzi.
In questo contesto, ogni prelievo in contanti non giustificato potrebbe celare un pagamento “in nero” di costi legati all’attività produttiva. Ed è proprio su questo meccanismo – costi occulti che generano ricavi non dichiarati – che si fonda la presunzione: il denaro prelevato, se non tracciabile, diventa il sintomo di un guadagno non dichiarato.
La sentenza che fa chiarezza: nessuna presunzione automatica per professionisti e autonomi
Una recente pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio (n. 1869/2025) ha chiarito che i prelievi non documentati, effettuati da liberi professionisti o autonomi privi di un’organizzazione aziendale strutturata, non possono essere considerati automaticamente ricavi sommersi. In altre parole, per chi lavora con il proprio ingegno o manualità (avvocati, artigiani, consulenti, agenti, ecc.) non si può applicare la formula “prelievi = compensi in nero”.
È fondamentale precisare che tale esclusione si estende anche ai soggetti il cui reddito, seppur qualificato fiscalmente come reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 del T.U.I.R. – come accade, ad esempio, per gli agenti di commercio – non deriva da un’attività imprenditoriale in senso proprio. Ai fini dell’applicazione della presunzione in materia di prelievi bancari, non rileva la classificazione formale del reddito, bensì la reale configurazione dell’attività svolta. In assenza di una struttura organizzata e laddove il contributo personale risulti elemento prevalente, l’interessato non può essere assimilato all’imprenditore per gli scopi specifici della presunzione, la quale resta quindi inapplicabile.
Perché i prelievi non sono sempre un problema per i professionisti
La ratio è semplice: mentre un versamento è un’entrata inspiegata che potrebbe essere reddito, un prelievo è un’uscita. E se, per un’impresa, il prelievo può essere legato a spese non registrate, per chi lavora in autonomia il denaro prelevato può servire per spese personali o per costi professionali tracciabili. È per questo che il legislatore limita la presunzione solo ai soggetti con reddito d’impresa derivante da attività organizzate.
Conti correnti sotto osservazione: cosa può fare l’Agenzia delle Entrate?
Attenzione però: questo non significa che i professionisti siano esenti da controlli. L’Agenzia delle Entrate conserva pieno potere d’indagine. Anche in assenza della presunzione automatica sui prelievi, può comunque:
- accertare eventuali versamenti non giustificati;
- avvalersi di strumenti induttivi e sintetici (come gli ISA);
- effettuare controlli incrociati con clienti o fornitori;
- costruire accertamenti basati su elementi indiziari, come incongruenze tra reddito dichiarato e stile di vita.
Sebbene la presunzione relativa ai prelievi bancari non trovi applicazione in determinati casi, ciò non esime il contribuente dall’adottare un comportamento improntato alla massima cautela nella gestione dei movimenti finanziari. È infatti opportuno:
- conservare con cura ogni documento che giustifichi le operazioni bancarie significative, tanto in entrata quanto in uscita. Tale documentazione si rivela determinante non solo per superare la presunzione in materia di versamenti, ma anche per fronteggiare eventuali richieste di chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria;
- favorire, ove possibile, strumenti di pagamento tracciabili – come bonifici o carte – in luogo del contante, la cui natura rende più complessa la ricostruzione dei flussi finanziari;
- ove compatibile con l’organizzazione personale e professionale, distinguere nettamente i rapporti bancari utilizzati per finalità private da quelli destinati all’attività lavorativa, così da semplificare la rendicontazione delle operazioni;
- mantenere una contabilità ordinata e coerente, anche in presenza di regimi agevolati o semplificati, che consenta un’immediata riconciliazione tra i dati contabili e i movimenti registrati sui conti correnti;
- porre particolare attenzione ai versamenti, che costituiscono l’aspetto più esposto al rischio di contestazione: è sempre necessario essere in grado di dimostrare in modo puntuale la provenienza delle somme accreditate, che si tratti di incassi da prestazioni, liberalità ricevute, prestiti formalizzati, indennizzi o vincite.