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Danno biologico: i certificati medici privati possono essere equiparati a quelli pubblici?

Danno biologico: i certificati medici privati possono essere equiparati a quelli pubblici?
Ai fini della corretta valutazione del danno biologico i giudici devono tenere conto anche dei certificati medici redatti da medici privati, costituendo anch'essi prova documentale a sostegno dei fatti allegati.
La Corte di Cassazione, III sez. civ., con l’ordinanza n. 27574/2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in merito alla valutazione del danno biologico.

Nel caso sottoposto al vaglio degli Ermellini, sia in primo che in secondo grado, era stata respinta la richiesta di risarcimento del danno biologico (oltre che di un danno morale e di un danno da invalidità temporanea) avanzata da parte dei genitori di un ragazzo ferito durante l’orario scolastico.

In particolare, i ricorrenti, lamentavano come, sia il giudice di prime cure che la Corte territoriale, non avessero preso affatto in considerazione, ai fini della decisione, tutti i documenti prodotti a sostegno della loro richiesta.
Invero, i precedenti giudicanti, avevano fondato la loro decisione sulla non validità probatoria dei certificati medici allegati, in quanto provenienti da medici privati, non asseverati da giuramento.

Al pari, non erano state considerate neanche le due relazioni mediche prodotte per dimostrare i postumi permanenti residuati, in quanto semplici copie fotostatiche e non documenti originali.
Era rimasta, altresì, inattesa anche la richiesta di ammettere una consulenza tecnica d’ufficio.

La Suprema Corte si pronunciava sul caso e accoglieva il ricorso, definendo cosi la questione: La provenienza della certificazione medica da una struttura pubblica, quanto la sua asseverazione con giuramento, non costituisce requisito necessario perché essa possa essere presa in considerazione quale elemento di prova documentale a sostegno dei fatti allegati che richiedano un accertamento e/o una valutazione di tipo tecnico-scientifico sul piano sanitario, potendo al più incidere sull’attendibilità del suo contenuto”.

Esaminando, poi, anche la contestazione relativa alle consulenze mediche prodotte, la Corte ha sottolineato che, la produzione di un documento in copia fotostatica, in mancanza di specifiche contestazioni, ai sensi dell’art. 2719 c.c. ha la stessa valenza probatoria dell’originale.
Quanto alla consulenza tecnica d’ufficio, trattandosi, nel caso de quo, di uno strumento probatorio necessario, poiché volto ad accertare e valutare i fatti allegati, doveva essere effettivamente disposta.

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte accoglieva il ricorso e rinviava la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima riesaminasse tutto il caso.





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