Cos’è una donazione?
Si tratta del “contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione” (art. 769 c.c.). Per spirito di liberalità si intende la volontà di arricchire l’altra parte senza aspettarsi nulla in cambio.
È chiaro che le donazioni fatte in vita dal donante possono incidere in maniera significativa sul complesso assetto patrimoniale del defunto e impoverire potenzialmente la quota di eredità spettante ai legittimari. I quali, lo abbiamo detto prima, possono agire entro 10 anni dalla morte del de cuius con l’azione di riduzione per lesione di legittima.
Cosa succede quando la donazione è fatta in favore di un legittimario?
La donazione fatta a legittimari del donante è considerata dalla legge un anticipo di eredità. Questo vuol dire che, al momento della morte del donante, la donazione dovrà essere imputata alla quota riservata.
Facciamo un esempio: Tizio, padre di due figli e non coniugato, decede senza fare testamento e lasciando un patrimonio residuo di 300.000 euro. Il primo figlio (Caio) ha ricevuto dal padre, quando era ancora in vita, una donazione del valore di 20.000 euro. Il secondo figlio (Sempronio), al contrario, non ha ricevuto alcunché a titolo di donazione. All’apertura della successione Caio sarà tenuto a conferire nella massa ereditaria quanto ricevuto per donazione (20.000 euro), portando l’eredità di Tizio, che dovrà essere divisa fra i due figli, a 320.000 euro.
Ma cosa accade quando somme di denaro siano state date dal genitore al figlio che con esso conviveva?
Esempio: Tizio, padre di due figli e non coniugato, decede senza fare testamento e lascia un patrimonio residuo di 300.000 euro. In vita ha dato, periodicamente, al primo figlio Caio, con lui convivente, parte della sua pensione (per un totale di 20.000 euro) che Caio ha usato per fare la spesa, acquistare medicinali, pagare bollette. Il secondo figlio Sempronio, non convivente, non ha ricevuto mai un soldo dal padre. Alla morte di Tizio, la pensione data a Caio (20.000 euro) deve essere conferita, come nell'esempio precedente, nella massa ereditaria del defunto al fine di essere equamente divisa tra tutti e due i figli?
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18814 del 4 luglio 2023.
Il fatto: una madre, durante il periodo di convivenza con la figlia, aveva elargito parte della sua pensione a favore di quest’ultima e dei suoi bisogni quotidiani. Dopo la morte della donna, gli altri suoi figli agivano contro la sorella avanzando la tesi secondo cui quel denaro avrebbe dovuto essere considerato parte dell’eredità e quindi soggetto a collazione. Dopo le decisioni di entrambi i giudici di merito che avevano accolto la domanda dei fratelli e condannato la figlia della de cuius alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto dalla madre durante la loro convivenza, la condannata ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte con l’ordinanza n. 18814/2023 respingeva la tesi dei due fratelli e sanciva il principio per cui non sono soggette a collazione le attribuzioni patrimoniali operate in favore del figlio convivente se non si dimostra lo spirito di liberalità e che quindi non siano state fatte per adempiere alle obbligazioni derivanti dalla convivenza.
Per cui alla domanda che ci siamo prima posti dovremo rispondere che: no, la pensione data a Caio non deve considerarsi anticipazione di eredità, in quanto le somme elargite dal padre (Tizio) al figlio convivente (Caio) sono state da quest’ultimo utilizzate per l’adempimento di obbligazioni nascenti dalla convivenza piuttosto che dallo spirito di liberalità.