Intanto, si ritiene opportuno precisare che, nel campo dell’attività edilizia, sotto il profilo della tipologia degli interventi, occorre distinguere tra:
a) Attività a edilizia libera: si tratta, come è facile intuire, di quella attività per la quale non è necessario alcun titolo abilitativo, permesso o comunicazione (salvo particolari disposizioni comunali).
Vi rientrano tutti i "lavori di manutenzione ordinaria", quali a titolo meramente esemplificativo:
- rifare il tetto (con gli stessi materiali);
- rifare il pavimento
- rinnovare il bagno
- ritinteggiare la facciata
- installare un'antenna tv
- sostituire una finestra (senza alterare la struttura)
- sostituire la pavimentazione
- sostituire un ascensore (senza modifiche)
- installare un impianto di riscaldamento autonomo (comunicando il calcolo del consumo energetico).
- attività volte all'eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o ascensori esterni o di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;
- opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, i movimenti di terra nelle attivita' agricole e la costruzione di serre mobili sprovviste di strutture in muratura
- installazioni di pompe di calore di potenza termica utile nominale inferiore a 12 kw (la quasi totalità dei condizionatori d'aria domestici).
- opere dirette a soddisfare esigente contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e comunque entro 90 giorni (con avvio di comunicazione al Comune);
- opere di pavimentazione e finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, se stabilito dal Comune, compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;
- installazione di pannelli solari, fotovoltaici a servizio degli edifici da realizzare al di fuori della zona A (zone urbane a carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale);
- realizzazione di aree ludiche senza fini di lucro e/o di elementi di arredo nelle aree pertinenziali degli edifici.
b) Attività che necessita di semplice comunicazione di inizio lavori: tale comunicazione può anche essere inviata telematicamente per i Comuni che prevedono questa modalità.
Rientrano in questo tipo di attività gli interventi di manutenzione straordinaria, quali:
- realizzazione di servizi igienico-sanitari oppure tecnologici
- installazione di centrali termiche od ascensori
- apertura di porte interne e abbattimento-spostamento-costruzione di muri divisori interni, a patto che non si tratti di muri portanti e che non riguardino parti strutturali dell'edificio
- attività che aumentano il numero delle unità immobiliari e implicano l’incremento dei parametri urbanistici
c) Attività che necessita di SCIA o di permesso di costruire: vi rientrano tutti i lavori di:
- "manutenzione straordinaria", "restauro" e "risanamento conservativo" relativi a parti strutturali dell’edificio, come chiedere un cambio di destinazione dell'immobile e dunque effettuare quegli interventi che ne consentono l'adeguamento alla nuova destinazione
- "ristrutturazione": ne costituiscono un esempio tutti i lavori di trasformazione di un edificio a seguito dei quali si giunga ad ottenere una struttura che sia in parte o del tutto nuova
- nuova costruzione.
Dopo aver inquadrato e suddiviso per grandi linee l’attività edilizia, ovviamente l’interrogativo che subito ci si pone è quello di come riuscire a stabilire in quale tipologia di attività possa farsi rientrare l’intervento edilizio che si intende realizzare o che si è già realizzato, ed a tale interrogativo può rispondersi dicendo che il corretto riferimento normativo lo si rinviene nel c.d. Testo unico dell'edilizia, e più precisamente all’art. 3 del D.P.R. n. 380/01, contenente appunto la definizione degli interventi edilizi.
Una volta chiarito sulla base di quale norme ed in quale categoria inquadrare l’attività edilizia che è stata svolta su un immobile che dovrà formare oggetto di vendita o di divisione, può passarsi a trattare della disciplina applicabile agli atti notarili che tali immobili avranno ad oggetto.
Intanto, si ritiene essenziale premettere che, per la validità degli atti giuridici stipulati dinanzi al notaio ed aventi ad oggetto trasferimento o divisione di beni immobili, è necessario che sussistano, in conformità a quanto prescritto dagli artt. 46 T.U.E. (DPR 380/2001) e 40 Legge n. 47/1985, due requisiti, e precisamente:
I) requisito formale: l’atto notarile deve fare menzione, a pena di nullità, dei titoli edilizi in forza dei quali l’immobile è stato realizzato, fatta eccezione per gli atti aventi ad oggetto:
- immobili costruiti ante ’67, per i quali è richiesta la sola dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
- immobili sui quali sono stati realizzati interventi c.d. minori (ossia posti in essere a seguito di autorizzazione edilizia, CIL, CIL asseverate), per i quali non è richiesta la menzione dei relativi titoli autorizzativi
II) requisito sostanziale: oggetto dell’atto notarile possono essere soltanto immobili dotati dei requisiti minimi di regolarità urbanistica, per cui si avrà che, mentre gli edifici costruiti prima del ’67 saranno da qualificare sempre come commerciabili, per quelli post ’67 occorre verificare se siano stati realizzati sulla base di progetto debitamente approvato, al quale dovranno essere riferibili e riconducibili.
Due sono le teorie sviluppatesi in dottrina e giurisprudenza in ordine alla necessità o meno dei suddetti requisiti, e precisamente:
- la c.d. teoria della nullità formale: secondo tale tesi l’atto notarile è da considerare nullo solo se manca la menzione dei titoli edilizi, a prescindere dal fatto che tale menzione sia falsa o meno;
- la c.d. teoria della nullità sostanziale: secondo tale tesi, invece, occorre non solo che l’atto faccia menzione dei titoli edilizi, ma anche che l’immobile che ne costituisce l’oggetto sia in regola con la normativa urbanistica.
E’ questa seconda teoria quella che ha avuto il maggior seguito, argomentando dalla quale la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fatto osservare che il requisito sostanziale (ossia il fatto che l’immobile sia dotato dei requisiti minimi di regolarità urbanistica) è in effetti il presupposto stesso per l’esistenza del requisito formale, in quanto il rispetto del requisito formale presuppone che i titoli edilizi citati effettivamente esistano e siano riferibili al fabbricato negoziato.
Si è così pensato di introdurre una terza espressione di nullità, ossia la c.d. nullità testuale, la quale ricorrerebbe non soltanto quando difettano le menzioni urbanistiche (il c.d. requisito formale), ma anche quando tali menzioni sono contenute nell’atto ma non corrispondono al vero (si tratta del c.d. requisito sostanziale).
A questo punto il problema che ci si pone è quello di identificare quelle difformità edilizie dalle quali può discendere, quale conseguenza ulteriore, la nullità dell’atto notarile, per mancanza di quello che sopra abbiamo definito requisito sostanziale.
Intanto va detto che se si tratta di edificio ante ’67 e mai ristrutturato, il bene sarà in ogni caso commerciabile; l’unica verifica di carattere sostanziale potrà riguardare l’epoca di effettiva costruzione, accertata la quale, il requisito sostanziale di validità degli atti notarili sussiste sempre, per una sorta di riconoscimento ex lege della regolarità urbanistica dell’immobile.
Per gli edifici invece costruiti o ristrutturati dopo il 1° settembre 1967, bisogna valutare la gravità di eventuali irregolarità edilizie commesse in sede di costruzione o di ristrutturazione maggiore.
A tal proposito la Corte di Cassazione, Sezione seconda civile, con la sentenza n. 52 del 7 gennaio 2010, ha ritenuto rilevante, al fine di escludere la commerciabilità di un fabbricato, il compimento di qualsiasi opera tale da modificarne sagoma e volume, ossia quel tipo di attività che prima abbiamo visto necessitare di SCIA o permesso di costruire.
In contrario, tuttavia, la dottrina ha rilevato che sarebbe preferibile in questi casi fare ricorso all’istituto della c.d. nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c., in quanto la realizzazione di un volume autonomamente utilizzabile oltre i limiti di progetto concretizza un abuso di totale difformità ma limitatamente al solo volume realizzato “fuori progetto”, non potendone da esso derivare l’incommerciabilità dell’intero fabbricato.
Sulla scia di questo orientamento dottrinario si è così sostenuto, in forza peraltro di una Circolare del Consiglio Nazionale del Notariato di marzo 1987, che l’esigenza di repressione degli abusi edilizi deve essere contemperata con l’esigenza di una ragionevole tutela e certezza del traffico giuridico.
E’ stato così affermato che per la commerciabilità degli edifici occorre fare riferimento alla vicenda costruttiva originaria, con la conseguenza che il bene da trasferire sarà da considerare commerciabile qualora sia riferibile ad un progetto debitamente approvato ed autorizzato, indipendentemente da eventuali successive interventi che, anche se hanno in qualche modo modificato l’edificio, non sono di portata tale da far venir meno la sua riconducibilità al progetto originario.
Tale orientamento troverebbe anche conferma nella Circolare del Ministero dei lavori pubblici del 17 giugno 1995 n. 2241, ove si afferma che per gli abusi di minore gravità, gli immobili che ne sono interessati restano assoggettati alle sanzioni di tipo amministrativo o penale, con esclusioni di sanzioni di tipo civilistico, quale la nullità dell’atto notarile di cui costituiscono oggetto.
Si è così giunti a poter definitivamente affermare che:
a) è da qualificare nullo l’atto traslativo o divisionale che abbia per oggetto un edificio sul quale è stato integrato un abuso c.d. maggiore, per tale intendendosi:
- una costruzione o ristrutturazione c.d. maggiore eseguita ab initio in assenza di titolo edilizio
- una costruzione o ristrutturazione c.d. maggiore eseguita in totale difformità dal titolo edilizio rilasciato.
Va precisato che per “ristrutturazione maggiore” deve intendersi la realizzazione di un organismo edilizio diverso, con modifica di volumetria complessiva e prospetti, cambio di uso e modifica di sagoma se trattasi di bene vincolato (si tratterebbe di quella attività edilizia che necessita di SCIA o permesso di costruire, all’inizio inquadrata sotto lettera c).
Il riferimento normativo relativo alle conseguenze che può subire il relativo atto notarile si rinviene nell’art. 46 comma 5 bis del DPR 380/2001 (il quale sanziona appunto con la nullità gli atti traslativi o divisionali sui quali siano stati eseguiti interventi edilizi mediante denuncia di inizio attività ex art. 22 comma 3 stesso T.U.) e l’art. 22 comma 3 T.U. (il quale prevede che, in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati con denuncia di inizio attività, fra gli altri, gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 10 comma 1 lettera c).
Dottrina e giurisprudenza hanno a tal proposito ulteriormente distinto tra:
abuso edilizio totale, quando la costruzione avviene in assenza di qualsiasi titolo abilitativo.
La costruzione in assenza di permesso di costruire si realizza quando il titolo non è stato mai richiesto o non è mai stato rilasciato nonché quando il titolo c’è ma risulta privo di efficacia, sia in origine, sia a seguito di un provvedimento di autotutela del Comune o una pronuncia di annullamento da parte del giudice amministrativo.
L’abuso totale si verifica quindi in caso di realizzazione di manufatti completamente diversi per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso, nonché per l’esecuzione di volumi oltre i limiti indicati nel progetto e autonomamente utilizzabili.
- abuso edilizio sostanziale, se la costruzione ha subito variazioni essenziali rispetto a quanto oggetto di permesso o addirittura ha caratteristiche costruttive o destinazione d’uso completamente diverse.
L’abuso edilizio sostanziale si verifica nel caso ci siano le cosiddette “variazioni essenziali” ovvero sostanziale differenza qualitativa/quantitativa rispetto al progetto autorizzato in origine.
Nell’articolo 32 del Testo unico dell’edilizia si trovano indicati i criteri per la definizione delle variazioni essenziali ovvero:
- cambio di destinazione d’uso con variazione degli standards,
- aumento della cubatura o della superficie,
- modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto
- violazione della normativa edilizia antisismica.
Anche se c’è una differenza notevole tra l’assenza del permesso, la totale difformità e le variazioni essenziali, in tutti e tre i casi viene applicata l’ordinanza di demolizione.
b) è da considerare pienamente valido ed efficace l’atto traslativo avente ad oggetto un edificio sul quale è stato realizzato un abuso c.d. minore (per tale intendendosi una variazione anche essenziale o una parziale difformità): si parla per tali immobili di commerciabilità giuridica, dovendosi comunque evidenziare che la presenza di un abuso minore, pur se non ha alcuna incidenza sulla validità del negozio giuridico, può legittimare la richiesta di risoluzione o la richiesta di riduzione del prezzo e di risarcimento dei danni da parte del compratore.
A tale proposito interessante risulta la sentenza della Cassazione, Sez. II Civile n. 25357 del 28/11/2014, nella quale è detto che la responsabilità del venditore ex art. 1489 c.c. (la cui azione si prescrive nel termine ordinario di 10 anni) non può essere invocata dal compratore che fosse edotto della difformità al momento dell’acquisto, né può configurarsi buona fede qualora l’acquirente non abbia assunto deliberatamente o per trascuratezza tutte le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo edilizio nonché sulla compatibilità dell’immobile con gli strumenti urbanistici.
Questa è la ragione per cui, benché non sia obbligatorio, si ritiene opportuno chiedere al notaio di riportare in atto gli estremi dei relativi provvedimenti autorizzativi; trattandosi, comunque, di dichiarazioni facoltative, la loro mancanza non determinerà la nullità dell’atto.
Con sentenza del Consiglio di Stato n. 2325 del 1° giugno 2016 è stato affermato che la difformità parziale si riscontra quando la costruzione è stata sì autorizzata ma risulta in parziale difformità rispetto al titolo, mentre non sarà ovviamente possibile parlare di parziale difformità quando si tratta di opere realizzate senza titolo per ampliare un manufatto preesistente.
In tal senso può anche citarsi la sentenza del Consiglio di Stato n. 3676 del 10 luglio 2013, che ha definito “difformità parziale” l’innalzamento di un solaio eseguito per agevolare lo scorrimento delle acque meteoriche.
Per quanto concerne la posizione del notaio chiamato a stipulare il relativo negozio giuridico, sembra consolidata la tesi secondo cui il professionista deve soltanto curarsi di ricevere dall’alienante gli elementi richiesti in forma di dichiarazioni, mentre su di lui non può incombere alcun dovere di ricerca o verifica tecnica di questi elementi.
Trattandosi di un controllo puramente formale, egli risponderà soltanto delle cause di nullità che può conoscere, mentre non risponderà di quelle cause di nullità che presuppongono conoscenze tecniche non rientranti nella sua competenza professionale.
Si avrà, dunque, violazione dell’art. 28 della Legge notarile, soltanto qualora il notaio abbia ricevuto o autenticato un atto nullo e non convalidabile, purché ovviamente la nullità sia a lui imputabile, il che potrà avvenire in caso di omesse menzioni in atto ovvero in caso di nullità per difformità totale percepibile per tabulas o per falsa dichiarazione in quanto contraddittoria.
La sua responsabilità potrà venir meno soltanto nel caso in cui sia possibile sanare l’atto nullo con un successivo atto di conferma anche unilaterale, disciplinato espressamente dall’art. 40 comma 2 della Legge 47/1985 e dall’art. 46 comma 4 T.U. edilizia (DPR 380/2001); ovviamente la conferma sarà possibile soltanto nel caso in cui la mancanza delle menzioni non sia dipesa dalla loro insussistenza all’epoca dell’atto.
E’ anche prevista una ipotesi di convalida di atto nullo per sopravvenuto rilascio di provvedimento in sanatoria ex art. 2 comma 57 Legge 23.12.1996 n. 662.