Cass. civ. n. 13421/2008
In tema di estensione del fallimento ai sensi dell'art. 147 legge fall., qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, si accerti l'esistenza di altro socio illimitatamente responsabile (ovvero, dopo la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale, risulti l'esistenza di una società di fatto tra lo stesso imprenditore ed altro od altri soci ), la successiva dichiarazione di fallimento ha natura costitutiva ed effetto ex nunc in virtù del carattere autonomo che (pur in seno al simultaneus processus ) va ad essa riconosciuta. (Nell'affermare tale principio, la S.C. ha ritenuto che il termine dell'anno anteriore al fallimento, ai sensi dell'art. 67, primo comma, n. 4 legge fall. ed ai fini della revocabilità di un'ipoteca costituita dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, andasse computato con riferimento alla data del fallimento del socio e non a quella della prima procedura concorsuale instaurata a carico della società ).
Cass. civ. n. 16213/2007
In caso di estensione del fallimento di una società di persone al socio illimitatamente responsabile, che sia anche titolare di un'impresa individuale, quest'ultimo risponde con tutto il suo patrimonio sia delle obbligazioni contratte in qualità di titolare di detta impresa, sia di quelle contratte dalla società, senza che possano ipotizzarsi al riguardo due masse distinte (come avviene invece nel rapporto tra la società ed il socio, che sono soggetti diversi): pertanto, il curatore del fallimento è legittimato ad agire in revocatoria per tutti i pagamenti eseguiti dal predetto socio, ivi compresi quelli effettuati nell'esercizio dell'impresa individuale.
Cass. civ. n. 11084/2004
I fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili costituiscono, ad onta dell'unicità della sentenza dichiarativa e dell'unicità degli organi, entità giuridiche diverse, centri diversificati di imputazione giuridica degli effetti della dichiarazione di fallimento, atteso che gli artt. 147 e 148 legge fall. impongono una distinzione tra i patrimoni dell'una (la società) e quelli degli altri (i soci illimitatamente responsabili), tra gli stati passivi e le masse che siano da riferire all'una o agli altri; ciò inevitabilmente si riflette sulla posizione del curatore, il quale sarà legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale o quale organo del fallimento di ciascuno dei soci a seconda della riferibilità della controversia, della direzione e dell'incidenza degli effetti della pronuncia giurisdizionale destinata a regolarla. Ne consegue che anche nel giudizio di opposizione ai sensi dell'art. 18 legge fall., che riguardi un socio e il (le ragioni del) suo fallimento personale, il curatore deve agire o essere chiamato in giudizio in qualità di organo del fallimento del socio, dunque con esplicito riferimento al fallimento di quest'ultimo. (Nella specie, tuttavia, la S.C. ha ritenuto, sulla base di una interpretazione dell'atto di opposizione diversa da quella data dal giudice di merito, che l'atto stesso era inequivocabilmente diretto nei confronti del curatore quale organo del fallimento personale dell'opponente).
Cass. civ. n. 4363/2003
In tema di fallimento in estensione, il principio c.d. di automaticità dettato dall'art. 148, comma terzo della legge fallimentare (a mente del quale “il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero anche nel fallimento dei singoli soci”) comporta, in linea generale, che la domanda di ammissione al passivo di una società di persone estenda ipso facto i suoi effetti anche allo stato passivo del socio, tale estensione comprendendo, per l'effetto, anche l'eventuale privilegio generale che assista il credito, in considerazione della causa di questo e dell'unicità del rapporto da cui sorge. Detto principio non può, per converso, operare, attesine i limiti intrinseci, né quando la prelazione non scaturisca dal medesimo rapporto, ma da un rapporto accessorio — come nel caso di pegni e/o ipoteche costituiti dalla società o dal socio —, né quando essa non riguardi genericamente i beni del debitore (sia esso la società o il socio), ma afferisca, invece, a specifici beni della società, individuati dalla legge, ovvero a specifici beni, della società o del socio, individuati con il rapporto accessorio costitutivo della garanzia reale, poiché, in tali casi, la prelazione stessa grava, in definitiva, su beni appartenenti al patrimonio soltanto di uno dei soggetti obbligati e non può, in mancanza di collegamento tra prelazione stessa e patrimonio, intendersi dichiarata anche nel fallimento di un soggetto diverso, dovendo essa, per converso, esser fatta valere nel solo stato passivo del fallimento del titolare del bene gravato (nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha così escluso che la prelazione su specifici beni, richiesta con la domanda di insinuazione al passivo della sola società, potesse legittimamente ed automaticamente intendersi come richiesta anche nello stato passivo del socio).