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Articolo 2937 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Rinunzia alla prescrizione

Dispositivo dell'art. 2937 Codice Civile

Non può rinunziare alla prescrizione chi non può disporre validamente del diritto(1).

Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta(2).

La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione(3).

Note

(1) Fondamentale presupposto della rinunzia è il potere di disporre del vantaggio economico prodotto dalla prescrizione, ossia di possedere la titolarità del diritto in questione.
(2) Le parti non possono rinunziare preventivamente alla prescrizione, come non possono prolungare o abbreviare i termini sanciti ex lege (v. art. 2936): se fosse consentita alle parti la rinunzia preventiva questa diventerebbe una clausola di stile, cioè apposta a tutti i contratti e le disposizioni in tema di prescrizioni rimarrebbero lettera morta. Per analoghe ragioni non è inoltre permessa la rinunzia mentre è ancora in corso il termine prescrizionale.
Diversa è invece la situazione rispetto alla rinunzia successiva: una volta verificatasi la prescrizione, risulta ormai interesse esclusivo del soggetto che ne è avvantaggiato la scelta se farla valere o meno.
(3) La rinunzia alla prescrizione può essere tanto espressa quanto tacita e, in quest'ultimo caso, può essere dedotta da un fatto che risulti incompatibile con la volontà di valersi dell'istituto, come ad esempio il pagamento di un acconto o la promessa di un pagamento a breve scadenza.

Ratio Legis

La norma in esame continua, al pari delle precedenti, a delineare l'istituto della prescrizione allo scopo di soddisfare l'esigenza di ordine pubblico di fornire certezza e stabilità ai rapporti giuridici. Le disposizioni a riguardo sono pertanto inderogabili e si dispone la nullità di qualsiasi patto che miri ad operare modifiche alla disciplina legale.

Spiegazione dell'art. 2937 Codice Civile

La rinunzia alla prescrizione come negozio giuridico. Requisiti soggettivi

Se la prescrizione trova la sua ragion d'essere nella di liberare chi v'è tenuto da un'obbligazione della quale il titolare non si è curato di domandare l'adempimento ; se essa deve ritenersi incidente l'interesse del debitore, si spiega come questi possa rinunziare ad avva­lersi della facoltà che il diritto gli accorda di eccepire la prescrizione. L'art. 2937 secondo comma, stabilendo che si può rinunziare alla prescrizione solo quando essa è compiuta, riconosce esplicitamente tale facoltà. Di questa ora occorre studiare : a) la natura ; b) il momento in cui può essere effettuata ; c) la capacità richiesta in chi la compie ; d) la forma di cui deve rivestirsi ; e) gli effetti.

a) La rinuncia è un negozio unilaterale che può qualificarsi di di­sposizione : unilaterale come quello che dipende esclusivamente dalla volontà di chi lo compie ; di disposizione in quanto, nella specie, rinun­ziare vuol dire continuare ad essere tenuto ad una prestazione da cui poteva liberarsi, rilevandone la prescrizione. La rinunzia, inoltre, è un negozio non recettizio in quanto opera di per sé, senza bisogno di accetta­zione ed anche senza che occorra la sua notificazione alla parte cui giova : ciò significa che come questa non può impedire gli effetti della rinunzia (lo potrebbe dando vita ad un negozio giuridico a favore del rinunciante), così il rinunziante non può ritirare la sua dichiarazione sotto il pre­testo che essa non sia stata ancora accettata.

b) La rinuncia può (e deve) essere fatta solo quando la prescrizione si è compiuta : prima di tale momento essa è nulla. Ove si volesse ricer­care il motivo di questo principio, ci sembra sufficiente riflettere sul carattere suo d'ordine pubblico, per cui si verrebbe a togliere ad essa qualsiasi efficacia se si rendesse possibile rinunziarvi preventivamente : intatti ogni creditore imporrebbe al proprio debitore di rinunziare alla prescrizione innanzi il suo compimento, minando l'istituto nella stessa sua funzione sociale. Né sulla dichiarata nullità di una rinunzia preven­tiva si potrebbe osservare che, consentendo la legge — come vedremo — una interruzione della prescrizione in corso per il riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale questo può farsi valere, il divieto dell'articolo in esame si presta ad essere facilmente superato, in quanto interrompere la prescrizione equivale rinunziare alla medesima. Un tal rilievo, però, non tiene conto che la rinunzia alla prescrizione dal rico­noscimento del diritto si differenzia dal punto di vista del momento in cui l'una e l'altro possono compiersi: il negozio ricognitivo deve aver Solo dopo che questa si è compiuta ed anche dopo che il prescrivente ha dichiarato o dimostrato di avvalersi della prescrizione.

c) Della capacità in chi intende rinunciare alla prescrizione si occupa il primo comma dell’articolo in esame, in cui si precisa che quella non può essere fatta da chi non può disporre del diritto. La diversità tra questa norma e l’art. 2108, abrogato, secondo cui non può rinunciare alla prescrizione chi non può alienare, è meramente formale, in sostanza richiedendo entrambi la capacità di disporre del diritto che è per prescriversi. Chi volesse rendersi conto della necessità di siffatto requisito deve considerare che a causa della rinunzia si pone in essere un atto di disposizione da parte di chi ha prescritto, in quanto egli non in­tende lasciare acquisito al proprio patrimonio un diritto che avrebbe ben potuto esserlo per la prescrizione compiutasi a suo favore ; il che vuol dire che la prescrizione opera ipso iure, con efficacia allo scadere del termine, e che la domanda di parte costituisce soltanto il necessario presupposto della sentenza la cui indole è, perciò, meramente dichiara­tiva. Richiesta la capacità di disporre, ne deriva che per quanti (per­sone fisiche) di tale capacità sono sprovvisti, dovranno osservarsi, ai fini di una valida rinunzia alla prescrizione, le necessarie forme abili­tative e che, allo stesso scopo, le persone giuridiche dovranno essere previamente autorizzate secondo le norme generali in materia.



Forma della rinuncia

d) Per la dichiarazione di rinunzia non si richiedono forme spe­ciali, giacché essa può risultare anche da un fatto incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione; è possibile, cioè, desumere la rinunzia dall'incompatibilità tra un particolare comportamento del sog­getto e la volontà di trarre vantaggio dagli effetti della prescrizione. Attesa la complessità degli atti che possono far ritenere l'esistenza di una tale volontà, non è possibile stabilirne, a priori, una casistica, tutto risolvendosi nell'esame del caso singolo.

Effetti della rinuncia

e) Si suole comunemente dire che la rinunzia alla prescrizione opera con efficacia retroattiva, in quanto fa considerare questa come mai verificatasi, ed assoluta, poiché ripristina la precedente situazione erga omnes. Il vero è che la retroattività esiste ma circoscritta sola a deter­minate persone, poiché solo nei confronti di costoro può parlarsi di as­solutezza della rinunzia. Infatti se questa dovesse essere efficace erga omnes, come si spiega l'art. 2939 che consente ai creditori del debitore di opporla persino se la parte vi ha rinunciato ? Questa facoltà accordata ad alcune persone ed attuantesi in duplice modo ci induce a ritenere che l'efficacia della rinunzia sia ristretta solo a chi l'ha compiuta, che, cioè, soltanto costui è tenuto a considerare come non estinto il diritto.

Gli effetti della rinunzia si limitano, come s' è già accennato, tra la persona che l’ha compiuta e quella a cui vantaggio è fatta.

Questa regola vale anche nell'ipotesi che la rinunzia sia fatta da uno dei debitori in solido, giacché essa non ha effetto riguardo agli altri condebitori, vale a dire costoro sono liberati dalla prescrizione; ma nei rapporti interni, fra i condebitori, sussiste sempre la relatività della rinuncia in quanto il condebitore che l'ha compiuta non ha regresso verso gli altri debitori liberati in conseguenza della prescrizione (art. 1310) e pure ciò é ovvio in quanto non possono costoro essere pregiudicati dal fatto volontario di in loro condebitore.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1200 Nell'art. 2937 del c.c. sono insieme fuse, con qualche ritocco che non ne altera la sostanza, le disposizioni degli articoli 2107, 2108 e 2111 del codice anteriore. Rimane fermo il duplice principio che si può rinunciare alla prescrizione solo quando questa è compiuta e che non può rinunciarvi chi non può disporre validamente del diritto. E' riprodotta nell'art. 2938 del c.c. la disposizione dell'art. 2109 del codice del 1865 circa la non rilevabilità d'ufficio della prescrizione non opposta e nell'art. 2939 del c.c. la disposizione dell'art. 2112, con una variante, rispetto a quest'ultimo articolo, diretta a porre in rilievo che la prescrizione può essere opposta dai terzi che vi abbiano interesse anche dopo che la rinuncia del debitore a opporla sia già avvenuta. Ho eliminato la norma dell'art. 2110 del codice precedente sull'opponibilità della prescrizione in appello, poiché incompatibile con il disposto dell'art. 345 del c.p.c., secondo comma, del nuovo codice di procedura civile, che non consente alle parti di proporre in appello nuove eccezioni, salvo che esistano gravi motivi accertati dal giudice.

Massime relative all'art. 2937 Codice Civile

Cass. civ. n. 2157/2022

Poiché l'obbligazione di pagamento di una somma di danaro è distinta da quella di pagamento degli interessi su di essa, è possibile che il debitore rinunci alla prescrizione dell'una senza che ciò implichi anche la rinuncia a quella dell'altra.

Cass. civ. n. 24113/2015

La rinuncia alla prescrizione, integrando un'eccezione in senso lato, può essere rilevata anche d'ufficio, purché i fatti su cui essa fonda, anche se non allegati dalle parti, siano stati ritualmente acquisiti al processo.

Cass. civ. n. 10955/2014

Il creditore che, per paralizzare l'eccezione di prescrizione del suo diritto, eccepisca a sua volta l'esistenza, da parte del debitore, di una rinuncia tacita alla prescrizione stessa, deve dimostrare non solo il compimento di fatti esplicitanti una volontà incompatibile con quella di avvalersi della prescrizione, ma anche che i fatti medesimi siano stati posti in essere dal soggetto in cui favore la prescrizione sia maturata, e cioè dal soggetto che ha acquisito il diritto a farla valere e, quindi, anche a rinunciare ad essa. Ne consegue che, ove la prescrizione sia maturata in favore di un ente pubblico che l'abbia ritualmente eccepita, il creditore che, a sua volta, ne controeccepisca la rinuncia deve provare anche che il comportamento esplicitante la volontà abdicativa sia stato posto in essere dal soggetto che, secondo la normativa vigente al momento di tale comportamento, era legittimato a disporre del diritto ad eccepire la prescrizione ovvero a rinunciarvi. (Omissis).

Cass. civ. n. 18425/2013

La rinunzia alla prescrizione è un atto negoziale che implica la volontà di dismettere definitivamente il proprio diritto alla liberazione di un obbligo. Ne consegue che la mera dichiarazione del proprietario del fondo servente, resa al momento dell'acquisto del bene, avente ad oggetto la conoscenza dell'esistenza della servitù (nella specie di lume di grotta) non vale ad integrare rinunzia tacita ad avvalersi della prescrizione del diritto stesso.

Cass. civ. n. 21248/2012

Perché sussista una rinunzia tacita alla prescrizione occorre che nel comportamento del debitore sia insita la volontà inequivocabile del medesimo di non avvalersi della causa estintiva del diritto altrui; il relativo accertamento rientra nei poteri del giudice di merito, e non è censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi motivazionali rilevabili in tale sede. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che potesse qualificarsi come rinuncia alla prescrizione il rifiuto, opposto da un assicuratore privato, di pagamento dell'indennizzo per motivi diversi dal decorso del termine di prescrizione).

Cass. civ. n. 7527/2012

La prescrizione presuntiva, anche se fondata su di una presunzione, non è un mezzo di prova, ma incide direttamente sul diritto sostanziale limitandone la protezione giuridica, in modo per sua natura non diverso, anche se più limitato, rispetto a quello derivante dalla prescrizione ordinaria, ed è pertanto regolata dagli stessi principi. Ne consegue che è applicabile alla prescrizione presuntiva il principio della rinunciabilità della prescrizione di cui all'art. 2937 c.c., e che la rinuncia può risultare anche tacitamente, purché vi sia una incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui.

Cass. civ. n. 3883/2012

La rinuncia a far valere la prescrizione dell'azione proposta "ex adverso" può essere desunta dalle difese svolte dal procuratore della parte, senza che possa rilevare in contrario la mancanza di potere dispositivo nel procuratore alle liti, poiché ciò vale per la rinuncia espressa, ma non per le conseguenze che possono derivare per implicito dalla linea difensiva adottata dal difensore, il quale, nell'adempimento del mandato conferitogli, sceglie in piena autonomia la condotta tecnico - giuridica ritenuta più confacente alla tutela del proprio cliente.

Cass. civ. n. 99/2011

La rinuncia tacita a far valere la prescrizione presuppone un comportamento processuale in cui sia necessariamente insita la univoca volontà di non sollevare la relativa eccezione; pertanto, se la parte si difende nel giudizio di primo grado sul merito della causa senza eccepire preliminarmente la prescrizione, non per questo tale condotta assume la valenza di un comportamento univoco, incompatibile con la volontà di sollevare tale eccezione, la quale, oltretutto, nella vigenza del testo originario dell'art. 345 c.p.c. - applicabile alla fattispecie "ratione temporis" - poteva essere dedotta per la prima volta anche in appello.

Cass. civ. n. 16379/2009

La rinuncia alla prescrizione per effetto di atto incompatibile con la volontà di avvalersi di essa, a norma dell'art. 2937 c.c., ovvero l'interruzione della prescrizione medesima per effetto di riconoscimento, a norma dell'art. 2944 c.c., possono conseguire anche da una proposta transattiva, qualora questa, anziché presupporre la contestazione del diritto della controparte, venga formulata in circostanze e con modalità tali da implicare ammissione del diritto stesso, e sia rivolta solo ad ottenere un componimento sulla liquidazione del "quantum".

Cass. civ. n. 13870/2009

La rinuncia alla prescrizione - espressamente prevista dall'art. 2937 c.c. - è un negozio unilaterale non recettizio, la cui validità ed efficacia prescinde dalla conoscenza che ne abbia iI soggetto interessato, essendo necessario soltanto che la volontà del rinunciante risulti in modo inequivocabile.

Cass. civ. n. 14748/2002

Le trattative per comporre bonariamente la vertenza, non avendo quale precipuo presupposto l'ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai sensi dell'art. 2944 c.c., non hanno efficacia interruttiva della prescrizione, né possono importare rinuncia tacita a far valere la stessa, perché non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta — senza cioè possibilità alcuna di diversa interpretazione — con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell'altrui diritto, come richiesto dall'art. 2937, terzo comma, c.c.

Cass. civ. n. 14091/2001

Perché sussista rinuncia tacita alla prescrizione è necessaria un'incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà del medesimo di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui; occorre cioè che nel comportamento del debitore sia insita, senza possibilità di una diversa interpretazione, l'inequivoca volontà di rinunciare alla prescrizione già maturata e, quindi, di considerare come tuttora esistente ed azionabile quel diritto che si era estinto. L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità se sonetto da congrua e logica motivazione.

Cass. civ. n. 7409/1999

L'invio, da parte dell'ente espropriante, di missive con le quali si riconosca l'obbligo, nei confronti del privato, di corresponsione dell'indennità di espropriazione (in realtà non dovuta, per essere la proprietà del suolo passata all'ente in forza di occupazione acquisitiva ed in mancanza di un legittimo decreto di esproprio), invitandosi, nel contempo, la controparte ad un bonario componimento della vertenza, può integrare gli estremi della fattispecie della rinuncia tacita alla prescrizione (quinquennale) del diritto al risarcimento dei danni da occupazione acquisitiva.

Cass. civ. n. 8304/1996

La rinuncia tacita alla prescrizione, a norma dell'art. 2937 c.c., deve risultare da un comportamento del tutto incompatibile con la volontà di opporre la causa estintiva del diritto altrui e cioè essere non altrimenti interpretabile se non nel senso di considerare tuttora esistente ed azionabile quel diritto che era, invece, estinto. Ne consegue che non può configurarsi rinuncia tacita nel caso in cui il debitore abbia accettato di discutere nel merito le pretese avanzate dalla controparte, giacché il debitore potrebbe avere interesse in un primo tempo a contestare l'esistenza dell'obbligazione, riservandosi di eccepire successivamente, se necessario, l'intervenuta prescrizione.

Cass. civ. n. 3672/1988

Al fine di stabilire se un determinato comportamento del debitore integri rinuncia tacita alla prescrizione, ai sensi dell'art. 2937 c.c., per incompatibilità con la volontà di avvalersi della relativa eccezione (nella specie, in tema di indennizzo assicurativo per infortunio, convocazione dell'assicurato da parte dell'assicuratore per sottoporlo a visita medica), occorre fare riferimento all'obiettiva consistenza di detto comportamento ed alle circostanze nelle quali è stato posto in essere, mentre resta irrilevante l'eventuale ignoranza del debitore medesimo in ordine alla maturazione del termine prescrizionale (così come non influisce tale ignoranza sul principio dell'irreperibilità di quanto pagato in adempimento di un debito prescritto, ai sensi dell'art. 2940 c.c.).

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Agostino A. chiede
domenica 09/05/2021 - Piemonte
“PREMESSO CHE: ho presentato domanda di riscatto laurea all'INPS il 31/03/1992, come risulta dagli archivi INPS in data 04/05/2021.
Nonostante, solleciti telefonici (utilizzando un telefono viva voce), rispettivamente a fine Febbraio 2002 e Fine Gennaio 2012 (non ricordo esattamente le date), non hanno mai risposto; in altre parole, non ho mai ricevuto nel corso degli anni notifica di accoglimento e della mia domanda, con relativa indicazione dell’onere da pagare, e tantomeno di rigetto, notifica che costituisce il necessario presupposto affinché, trascorsi 60 giorni senza aver ricevuto il pagamento del relativo onere indicato, l’INPS possa chiudere la domanda per rinuncia.
Poiché con il riscatto della laurea, sono prossimo a raggiungere i requisiti per la pensione, ho recentemente fissato, telematicamente, un appuntamento con gli uffici INPS, indicando come motivazione “Verifica domanda riscatto laurea ex Fondo Telefonici, presentata in forma cartacea”, cui è seguita in data 04/05/2021 una telefonata dagli uffici dell’INPS, nell’ambito della quale a seguito di mia richiesta di riscontro scritto, mi è stata inviata la e-mail di seguito integralmente riportata in italico (privata di indirizzi e-mails come da Vs. richiesta)):

Buongiorno signore,
come da accordi telefonici le invio i dati dell'unica domanda di riscatto laurea nel fondo telefonici (LATT) che dai nostri archivi risulta presentata a suo nome:
pratica n. **** del 31/03/1992, presentata alla sede di Moncalieri (sede 8101).
La stessa risulta essere stata chiusa per rinuncia in data 03/02/2010 (ma probabilmente è stata chiusa per intervenuta prescrizione).
Cordiali saluti.


LA MIA DOMANDA, articola su diversi punti correlati all’interpretazione dell’art. 2937 c.c., RISULTA LA SEGUENTE:

1) Poiché all’INPS risulta che la mia domanda di riscatto laurea è stata chiusa in data 03/02/2010 per rinuncia (incidentalmente non ritengo legalmente accettabile una “rettifica tra parantesi”, oltretutto con la formulazione dubitativa di “probabilmente”, inviata per e-mail, tardivamente ben oltre 10 anni dalla data di chiusura) siamo in presenza di un fatto che, a prescindere dall’omessa notifica da parte INPS (non ho mai ricevuto comunicazione di accoglimento della domanda), presuppone comunque un atto di accoglimento da parte INPS, “almeno 60 giorni prima del 03/02/2010”, della mia domanda di riscatto laurea e, quindi, siamo pacificamente in presenza di un “fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione” da parte INPS, avvenuto come anzidetto “almeno 60 giorni prima del 03/02/210” nonché certamente dopo il 31/03/2002 (quasi 8 anni dopo) che è la data a partire dalla quale l’INPS avrebbe potuto avvalersi della prescrizione.
Il combinato disposto dei sopraccitati fatti, costituisce ai sensi dell’art. 2937 c.c., “rinunzia alla prescrizione” da parte dell’INPS, in relazione alla mia domanda di riscatto laurea presentata il 31/03/1992? La mia interpretazione dell’art. 2937 c.c. è corretta o meno?

2) In caso di risposta affermativa al sopraccitato punto 1, la “rinunzia alla prescrizione” esercitata ai sensi dell’art. 2937 c.c., ha valore irrevocabile e perpetuo, oppure una validità limitata ai successivi 10 anni?
In altre parole, dopo che l’INPS ha legittimamente già rinunziato alla prescrizione, che decorreva dal 31/03/2002, in data “almeno 60 giorni prima del 03/02/2010”, può successivamente in data 04/05/2021, eccepirmi nuovamente la prescrizione, in relazione alla mia stessa domanda di riscatto laurea del 31/03/1992?

3) Qualora la risposta al sopraccitato punto 2 sia che la “rinunzia alla prescrizione” ai sensi dell’art. 2937 c.c., ha una validità limitata ai successivi 10 anni, come avrebbe il sottoscritto potuto reagire, entro il termine prescrittivo dei successivi 10 anni, ad un atto (i.e. l’accoglimento della mia domanda di riscatto laurea) avvenuto “almeno 60 giorni prima del 03/02/2010”, di cui per difetto di notifica da parte INPS, il sottoscritto non ne era a conoscenza, ed altresì, ne è venuto a conoscenza soltanto in data 04/05/2021, quando erano già trascorsi ben oltre 10 anni da “almeno 60 giorni prima del 03/02/2010” (i.e. data di rinunzia alla prescrizione da parte dell’INPS)?

4) Incidentalmente, preciso che in data 06/05/2021 ho presentato all’INPS domanda di accesso ai documenti amministrativi, relativi alla mia domanda di riscatto laurea, in modo da disporre copia di tutti gli atti INPS relativi alla mia domanda di riscatto laurea; sono in attesa di risposta da parte INPS che mi pare sia legalmente tenuta a rispondere entro 30 giorni

In attesa di Vs cortese riscontro, resto a Vs. completa disposizione per eventuali chiarimenti e/o approfondimenti, sia in forma verbale che scritta, anticipatamente ringrazio sentitamente e porgo Cordiali Saluti.
Agostino A.”
Consulenza legale i 20/05/2021
Per le domande di riscatto o di ricongiunzione vige il principio del silenzio-rifiuto in base al quale in difetto di comunicazione da parte dell’ente previdenziale la domanda si intende respinta.
Fino a poco tempo fa, secondo la giurisprudenza, a tale ipotesi era applicabile la decadenza prevista dall’art. 47, d.p.r. n. 639/1970. Questo principio è stato avvalorato anche dalla Corte di Cassazione (si veda ex multis la sentenza 20924/2018). In sostanza se entro tre anni (10 per le domande presentate sino al 6.7.2011) decorrenti dalla data prevista per l’esaurimento del procedimento amministrativo (cioè dal 300° giorno successivo alla data di presentazione della domanda) non viene presentato ricorso giudiziario l’assicurato decade definitivamente dalla possibilità di far accertare il diritto al riscatto o alla ricongiunzione presso un Tribunale. Con perdita definitiva, pertanto, della possibilità di ottenere la trattazione dell’istanza con i coefficienti e le retribuzioni in possesso al momento della domanda originaria. L’inerzia dell’assicurato può portare, pertanto, al sostanziale rigetto della domanda di riscatto o di ricongiunzione e all’obbligo di ripresentazione della stessa ad una data successiva con oneri ampiamente superiori quanto maggiore è il tempo trascorso rispetto alla data originaria.

Tuttavia, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 13630/2020), il termine di decadenza di cui all'art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 non si applica alla domanda amministrativa di riscatto del corso di laurea, atteso che l'art. 47 concerne le controversie in materia di trattamenti pensionistici propriamente detti, nonché quelle che, pur riguardando il rapporto contributivo, mirano a ottenere lo specifico beneficio del riconoscimento di una contribuzione figurativa in vista dell'incremento del trattamento pensionistico futuro, mentre l'istituto del riscatto, essendo finalizzato, mediante il pagamento della riserva matematica ex art. 13 della l. n. 1338 del 1962, alla copertura assicurativa di un periodo in cui l'interessato, per essersi dedicato allo studio, non ha potuto ottenere il versamento dei contributi che avrebbe invece conseguito se avesse lavorato, attiene a un rapporto preliminare e diverso rispetto a quello previdenziale.

Nella medesima sentenza la Cassazione ha precisato che “la decadenza ex art. 47, d.P.R. n. 639/1970, non trova quindi applicazione alcuna, potendosi a tutto concedere discorrere della natura essenziale o meno, ex art. 1457 c.c., del termine che, in esito all'accoglimento dell'istanza di riscatto, sia stato stabilito dall'ente previdenziale per il versamento della riserva matematica e della conseguente decadenza in cui sia incorso l'interessato che non l'abbia rispettato (cfr. in tal senso Cass. nn. 708 del 1992 e 16142 del 2002)”.

Nel caso di specie, pertanto, si potrebbero configurare due ipotesi.

Nella prima, presupponendo che l’INPS non abbia mai risposto alla domanda di riscatto laurea, secondo il più recente arresto giurisprudenziale non sarebbe intervenuta alcuna decadenza. Quindi, sarebbe ancora in tempo a proporre ricorso giudiziario per far accertare il diritto al riscatto della laurea con i coefficienti e le retribuzioni in possesso al momento della domanda originaria.

Nella seconda ipotesi, invece, l’INPS, come sostiene, avrebbe accolto la domanda, ma il contribuente non si sarebbe mai attivato per versare quanto dovuto. In tal caso, la domanda sarebbe decaduta per rinuncia.
In tale ultimo caso, l’Inps dovrebbe tuttavia dimostrare di aver notificato l’atto di accoglimento con il relativo calcolo della riserva da versare a carico del contribuente.

Quanto al quesito circa l’interruzione della prescrizione, si precisa che nel caso di specie trattasi di decadenza. La decadenza è un istituto diverso dalla prescrizione.

Il suo presupposto è soltanto il decorso del termine perentorio dato dalla legge. Quindi, la decadenza non è legata all’inerzia del titolare, come la prescrizione, e neanche hanno importanza eventuali cause di impedimento che abbiano causato il decorso del tempo senza che il diritto venisse esercitato.

Dato che produce l’estinzione del diritto indipendentemente da qualsiasi considerazione o circostanza relativa alla situazione soggettiva del titolare, alla decadenza non si applicano le regole della sospensione e dell’interruzione proprie della prescrizione, a meno che non sia disposto diversamente.
Pertanto, la decadenza può essere impedita soltanto dall’esercizio del diritto in questione, ad esempio proponendo una domanda in giudizio; oppure, se si tratta di diritti disponibili, anche dal riconoscimento del diritto della persona contro la quale esso si deve far valere.

Per quanto riguarda la rinuncia alla prescrizione (ma si ricorda che nel caso di specie, si tratta più precisamente di decadenza), essa può avvenire solo una volta che il termine della stessa sia ormai scaduto.

Effettivamente l’INPS avrebbe potuto, una volta spirati i termini, rinunciare alla stessa, con un atto incompatibile come l’accoglimento dell’istanza.

La rinuncia, a differenza dell’interruzione della prescrizione, non fa decorrere un ulteriore periodo di prescrizione.

A maggior ragione, trattandosi di decadenza, l’INPS avrebbe potuto rinunciarvi (una volta decorso il termine), ma ciò non avrebbe portato al decorso di un ulteriore termine decennale.

Per completezza, tuttavia, si precisa che, secondo la giurisprudenza, nella materia previdenziale il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti e il pagamento dei contributi prescritti non può neppure essere accettato dall’ente di previdenza pubblico.

Tali principi sono sanciti dall’art. 3, comma 9, legge 8 agosto 1995 n. 335, a mente del quale “le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini”.

Negli stessi termini si è espressa anche la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte, statuendo che “a differenza di quanto accade per le obbligazioni in generale, il pagamento di contributi previdenziali prescritti, non potendo neppure essere accettato dall’INPS, attribuisce all’autore del pagamento la facoltà di chiederne la restituzione ” (cfr. Cass., 20 febbraio 2015, n. 3489).

L’art. 3, comma 9, legge 8 agosto 1995 n. 335 ha “reiterato, estendendone l’applicabilità a tutte le assicurazioni obbligatorie, il principio – di ordine pubblico e caratteristico di questo tipo di prescrizione della “irrinunciabilità della prescrizione“, secondo cui “non è ammessa la possibilità di effettuare versamenti, a regolarizzazione di contributi arretrati, dopo che rispetto ai contributi stessi sia intervenuta la prescrizione” (cfr. Cass., SS.UU., 17 novembre 2016 n.23397 cit.).

Ne consegue che l'Ente previdenziale non può né richiedere né comunque ricevere contributi per i quali siano già decorsi i termini di prescrizione. Secondo la giurisprudenza, infatti, anche i contributi versati una volta intervenuta prescrizione, dovranno essere rimborsati al contribuente (Cassazione, sentenza n. 3489/2015, secondo cui "deve infatti considerarsi che nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti, sicché deve escludersi l'esistenza di un diritto soggettivo degli assicurati a versare contributi previdenziali prescritti (Cass. n. 11140/01, Cass. n. 4349/02). Detto principio - che attualmente è fissato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, ed è desumibile, per il periodo precedente l'entrata in vigore di tale disposizione, dalla R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, comma 2, - vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e, in base alla L. n. 335 del 1995, citato art. 3, comma 10, si applica anche per i contributi prescritti prima dell'entrata in vigore della medesima legge (Cass. n. 330/02, Cass. n. 8888/03, Cass. n. 23116/04). Ne consegue che, a differenza di quanto previsto dal diritto delle obbligazioni in generale (ove il pagamento del debito prescritto non comporta un diritto alla restituzione, art. 2034 c.c.), il pagamento dei contributi prescritti, non potendo neppure essere accettato dall'ente di previdenza pubblico (stante il divieto stabilito, peraltro operante indipendentemente dall'eccezione di prescrizione da parte dell'ente previdenziale e del debitore dei contributi, potendo essere rilevato d'ufficio, Cass. n. 23116/03), comporta che l'autore del pagamento ben può chiederne la restituzione").

Si ribadisce, tuttavia, che nel caso di specie si tratterebbe al più di decadenza e, secondo i più recenti arresti giurisprudenziali, ad ogni modo, la stessa non sarebbe comunque applicabile all’istanza di riscatto di laurea mai accolta dall’INPS.