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Articolo 791 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 10/10/2025]

Condizione di riversibilità

Dispositivo dell'art. 791 Codice Civile

Il donante può stipulare la riversibilità(1) delle cose donate, sia per il caso di premorienza del solo donatario, sia per il caso di preminenza del donatario e dei suoi discendenti(2) [792 c.c.].

Nel caso in cui la donazione è fatta con generica indicazione della riversibilità, questa riguarda la premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti.

Non si fa luogo a riversibilità che a beneficio del solo donante. Il patto a favore di altri si considera non apposto(3) [1354 c.c.].

Note

(1) Per patto di riversibilità si intende la clausola mediante cui si stabilisce che i beni donati tornino di proprietà del donante in caso di premorienza del donatario o dei suoi discendenti.
(2) Ossia i figli del donatario, tra cui anche quelli concepiti.
(3) Il patto di riversibilità a favore di un terzo è nullo in quanto si ritiene sia in contrasto con il divieto di patti successori (v. art. 458 del c.c.).

Ratio Legis

La norma riconosce tutela alla volontà del donante di evitare che, alla morte del donatario, i beni donati vadano a terzi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 791 Codice Civile

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V. R. chiede
lunedì 08/12/2025
“Sono proprietario di un appartamento per civile abitazione. Convivo, in un altro immobile, con una compagna vedova che ha due figlie di cui una sposata e l'altra prossima a sposarsi. D'accordo con la mia compagna voglio donare l'appartamento libero e nuovo (valore di mercato circa € 500.000,00) alla ragazza prossima a sposarsi con l'obbligo di prestare assistenza personale ed economica a me e a sua madre. Posso fare una donazione con patto di riversibilità anche se non c'è alcun legame tra me e la figlia della mia compagna? Per tutelarmi esiste qualche altro modo legale?
Grazie”
Consulenza legale i 13/12/2025
Dalla lettura del quesito emerge con chiarezza che l’obiettivo primario perseguito è quello di assicurare, per il futuro, un’assistenza personale ed economica sia a favore del donante sia della propria compagna, volendosi a tal fine individuare uno strumento giuridico idoneo a garantire, in modo stabile e vincolante, tali prestazioni.
Occorre, pertanto, analizzare, in primo luogo, il quadro normativo di riferimento e, in secondo luogo, le diverse soluzioni tecniche astrattamente percorribili, verificandone limiti, rischi e potenzialità operative.
Va ricordato che l’ordinamento già prevede, a carico dei figli, obblighi di assistenza verso i genitori, ai sensi dell’art. 433 del c.c., ma si tratta di obblighi prevalentemente di natura economica, suscettibili di quantificazione e non estesi alla cura personale diretta.

La legge, infatti, non impone ai figli di prestare assistenza "fisica" quotidiana, purché essi provvedano, anche indirettamente, al soddisfacimento delle esigenze materiali dei genitori, ad esempio sostenendo i costi per una badante, per servizi di supporto domiciliare o per il ricovero in una struttura.
Da ciò deriva che, quando si intenda ottenere un’assistenza morale e materiale ampia, stabile e personalizzata, la mera previsione normativa sul mantenimento parentale risulta normalmente insufficiente a soddisfare le esigenze delle parti coinvolte.

Nella prassi negoziale, la soluzione più utilizzata in situazioni simili è la conclusione del cosiddetto contratto di cessione onerosa.
Con tale contratto si realizza un trasferimento di proprietà (spesso della sola nuda proprietà, con riserva di usufrutto), che trova come controprestazione non già un corrispettivo in denaro, bensì un impegno giuridicamente vincolante a garantire al cedente assistenza morale e materiale.
Per assistenza morale e materiale si intende, in senso tecnico, la garanzia di un tenore di vita non inferiore a quello goduto prima della stipula del contratto, comprendendo essa non soltanto prestazioni economiche ma anche cure, presenza, supporto quotidiano e ogni attività idonea ad assicurare dignità e benessere al beneficiario.

Tale tipologia contrattuale è considerata pienamente valida dalla giurisprudenza, purché la causa onerosa sia effettiva e non mascheri una donazione; diversamente, si configurerebbe una donazione dissimulata, con il conseguente rischio di nullità sia per difetto di forma sia per violazione delle norme a tutela dei legittimari.
A titolo esemplificativo, i giudici ritengono sintomatica della simulazione la sproporzione tra le prestazioni: se il cedente, per età avanzata o grave malattia, ha aspettative di vita molto ridotte, l’obbligo di assistenza gravante sul cessionario risulterebbe di durata irrisoria rispetto al valore del bene trasferito, evidenziando così la natura sostanzialmente liberale dell’atto.
Quando, invece, la causa onerosa è seria, effettiva e proporzionata, il contratto si configura come un negozio a titolo oneroso e, proprio per questo, non è soggetto ad azioni di riduzione per lesione di legittima, né può essere contestato come liberalità indiretta.
Anche dal punto di vista tributario, l’atto viene trattato come una compravendita, con la conseguente possibilità di richiedere le agevolazioni "prima casa", ove ne ricorrano i presupposti.

Il quesito prospetta anche la possibilità di ricorrere ad una donazione con patto di riversibilità.
L’istituto, disciplinato dall’art. 791 c.c., consente di prevedere che i beni donati ritornino automaticamente al donante nel caso di premorienza del donatario o dei suoi discendenti. Tuttavia, la condizione che genera la retrocessione deve essere un evento oggettivo, estraneo alla volontà delle parti, e non può essere utilizzata per sanzionare l’eventuale inadempimento del donatario agli obblighi assunti.
La funzione del patto, infatti, è quella di reintrodurre il bene nel patrimonio del donante qualora il beneficiario (o la sua linea discendente) venisse meno, volendosi così evitare che la liberalità possa produrre effetti a favore di soggetti estranei.
Proprio perché la donazione è per sua natura un contratto gratuito, privo di corrispettivo, non è possibile subordinarne la stabilità all’adempimento di obblighi di fare, quali l’assistenza o il mantenimento, pena la trasformazione della causa del negozio in una causa onerosa, estranea alla disciplina delle liberalità.

Se, nonostante tali considerazioni, si intendesse ugualmente procedere con una donazione (pur trattandosi di un atto destinato a favore di una persona estranea alla famiglia del donante), sarebbe astrattamente possibile utilizzare lo strumento della donazione modale.
L’art. 793 del c.c. consente, infatti, di imporre alla donataria un onere, consistente, nel caso di specie, nell’obbligo di prestare assistenza morale e materiale, sempre entro i limiti del valore del bene donato.
Per l’adempimento di tale onere può agire non solo il donante, ma qualunque interessato, compresi gli eredi, potendosi far valere la risoluzione della donazione in caso di inadempimento (la risoluzione, infatti, non opera automaticamente, ma deve essere richiesta giudizialmente e accertata in base all’effettivo comportamento della donataria).
Per rendere l’istituto veramente efficace, è consigliabile inserire nell’atto clausole dettagliate, che definiscano con precisione le prestazioni richieste, le modalità di verifica, le conseguenze dell’inadempimento e le misure cautelari a tutela del donante.

Sulla base del complesso delle considerazioni svolte, appare evidente che la donazione, anche se assistita da patto di riversibilità o gravata da un onere di assistenza, non costituisce lo strumento più idoneo a tutelare gli interessi del donante e della sua compagna, sia per la rigidità della disciplina delle liberalità, sia per le difficoltà applicative connesse al controllo e alla sanzione dell’adempimento dell’onere.
Appare preferibile, invece, la via contrattuale dell’atto di trasferimento a titolo oneroso con obbligo di assistenza, in quanto un contratto di questo tipo consente di modellare le obbligazioni dell’acquirente in modo puntuale, inserire clausole risolutive espresse, stabilire, se del caso, garanzie reali o personali, prevedere modalità di monitoraggio e, soprattutto, sottrarre il negozio al regime delle donazioni, riducendo sensibilmente i rischi di impugnazione futura.


F. S. chiede
giovedì 03/10/2024
“È possibile donare un immobile con condizione di reversibilità? Ad esempio, il figlio che dona l’immobile ad un genitore può stabilire con la donazione che l’immobile ritorni nel patrimonio originario del figlio nel caso di premorienza del genitore rispetto al figlio? In tal caso il bene donato torna nel patrimonio del donante libero da pesi o gravami? Più precisamente:
a) il trasferimento del bene nuovamente al figlio, a seguito della morte del genitore, è “stabile” o può essere esposto all’azione degli eredi del genitore morto?
b) l’immobile rientrato nel patrimonio originario del figlio perde i rischi della donazione (contestazione degli eredi) e mantiene il valore di mercato in caso di vendita o di garanzia ipotecaria in caso di richiesta di finanziamento?
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 10/10/2024
La donazione con patto di riversibilità risulta espressamente disciplinata dal nostro ordinamento all’art. 791 c.c. e ricorre allorquando nello stesso contratto di donazione venga inserita una clausola in forza della quale le parti (donante e donatario) convengono che i beni donati tornino al donante nel caso di premorienza del donatario o anche dei suoi discendenti.
Tale patto ha natura di vera e propria condizione risolutiva e comporta, al suo avveramento, la cessazione degli effetti della donazione.

Il fondamento di tale particolare istituto giuridico si riviene nella considerazione che il donante può voler beneficiare il donatario ed eventualmente i suoi discendenti, ma non i soggetti che gli stessi potrebbero indicare nel loro testamento o che fossero chiamati a succedere in forza di successione ex lege (così Capozzi, in “Successioni e donazioni”).

Si ritiene opportuno precisare che beneficiario della riversibilità può essere solo il donante, mentre l’eventuale previsione che la clausola di riversibilità debba operare a favore di un terzo si porrebbe in contrasto con il divieto dei patti successori (art. 458 del c.c.), con la conseguenza che la stessa si considererebbe non apposta, in applicazione dell’istituto della nullità parziale di cui all’art. 1419 del c.c. (non ne verrebbe inficiato, dunque, l’intero contratto di donazione).

La disciplina del codice contempla espressamente la c.d. riversibilità reale, in quanto per effetto di essa i beni donati rientrano direttamente e con efficacia retroattiva nel patrimonio del donante; l’apposizione del patto di riversibilità non fa venir meno il carattere di atto tra vivi della donazione, e ciò perché la premorienza del donatario non costituisce la causa del ritorno dei beni al donante, ma l’evento che determina la condizione risolutiva del negozio (ciò comporta, infatti, l’applicabilità a tale istituto, in via diretta e non analogica, della disciplina generale dettata sempre dal codice civile in materia di condizione (si vedano artt. 1358, 1356 co. 2 e 1359 c.c.).

Per quanto riguarda gli effetti (che è ciò che più interessa a chi pone il quesito), risulta abbastanza chiara la disciplina dettata dall’art. 792 del c.c., il quale dispone espressamente che il verificarsi della condizione di riversibilità consente la restituzione al donante del bene donato libero da pesi o ipoteche.
L’operare della riversibilità, dunque, produce l’effetto di travolgere tutti gli atti dispositivi che il donatario abbia potuto medio tempore porre in essere; tuttavia, poiché l’effetto retroattivo della condizione è pur sempre una finzione giuridica, occorre tenere conto della possibilità dell’operare di talune limitazioni, che non consentono di negare efficacia a tutti gli atti compiuti dal donatario.
Il caso più ricorrente è, ad esempio, quello del donatario che, in pendenza della condizione, abbia convenuto una locazione eccedente i nove anni dell’immobile donato, la quale conserva la sua efficacia per l’intero periodo convenuto.
Altra limitazione concerne i frutti prodotti dal bene donato durante il periodo anteriore al verificarsi della condizione, che gli eredi del donatario ovviamente non saranno tenuti a restituire.

Un’altra limitazione è espressamente prevista dallo stesso legislatore al secondo comma dell’art. 792 c.c. e concerne l’ipoteca iscritta a garanzia di convenzioni matrimoniali, la quale resta salva quando gli altri beni del coniuge donatario non siano sufficienti ed a condizione che la donazione sia stata fatta con lo stesso contratto di matrimonio dal quale l’ipoteca risulta.

Per quanto concerne il dubbio se il ritrasferimento del bene al donante mantenga la sua stabilità o possa essere esposto ad eventuali pretese ereditarie da parte degli eredi del donatario, la risposta si rinviene nell’ultimo capoverso dell’art. 792 c.c., dalla cui lettura si ricava che la riversione non può pregiudicare la quota di riserva spettante al coniuge superstite del donatario a condizione che ciò abbia formato oggetto di specifica pattuizione.
L’apposizione al contratto di donazione di una clausola di questo tipo, dunque, attribuisce al coniuge superstite il diritto di computare nell’asse ereditario anche i beni donati al fine di calcolare la sua quota di riserva, con la conseguenza che se la quota che egli viene di fatto a conseguire sulla successione del donatario, in forza di legge o di testamento, dovesse risultare inferiore a quella di riserva, avrà diritto di prelevare la differenza sui beni donati.

E’ bene precisare, tuttavia, che non si tratta di un effetto per così dire “naturale” del contratto, ma di un limite convenzionale alla riversibilità, il quale può discendere soltanto da una specifica pattuizione contenuta nell’originario contratto di donazione.

Infine, rispondendo alla domanda indicata nel quesito con la lettera b), va detto che, dovendosi configurare la riversibilità quale condizione risolutiva della donazione, il verificarsi della stessa determina la restituzione al donante di ciò che ha costituito oggetto di donazione con effetto ex tunc, ovvero come se quella donazione non fosse mai stata posta in essere, il che induce a dover del tutto escludere che l’immobile rientrato nel patrimonio del donante possa soffrire gli effetti propri di un immobile donato.