Con questa disposizione, che contiene una sanzione delle norme poste negli articoli precedenti e che, in fondo, stabilisce altre cause d’incapacità, si è riprodotto, in sostanza, il divieto del fidecommesso tacito.
Insegnava Cuiacio: “Taciturn fideicommissum, cui dando incapaci se obligat heres tacita conventione”. I Romani dichiaravano in fraudem iuris il fatto di colui qui id quod relinquitur, tacite promittit restituturum se personae quae legibus ex testamento capere prohibetur e ritenevano indegna la persona incaricata tacitamente di restituire il compendio ereditario, devolvendolo al fisco. Più tardi, aboliti i fedecommessi e ristretta in più angusti limiti l’indegnità a succedere, l’interposizione di persona non spiegò i suoi effetti se non relativamente all’istituzione dell’incapace.
Qui si deve notare che l’art. #773# del codice del 1865 contemplava due forme con le quali si potevano frodare i divieti posti dalla legge, cioè il contratto oneroso e l'interposizione di persona, che è una forma di simulazione, ma si trattava di un errore di redazione che è stato corretto nell’attuale codice il quale, all’articolo in esame, non parla più di contratto oneroso. Infatti, non è possibile che il testamento, negozio giuridico unilaterale, possa essere nascosto sottoforma di contratto, che è negozio giuridico bilaterale. L’errore dipese dal fatto che, nel codice del 1865, si riproduceva letteralmente l’art. 911 del codice napoleonico, dove era logico prevedere le due ipotesi perché in esso si parlava congiuntamente dell’incapacità di ricevere per testamento, o per donazione, che, essendo un contratto a titolo gratuito, può essere simulato sotto la forma di compravendita, che è contratto a titolo oneroso.
Quando, invece, il codice del 1865 trattò separatamente della incapacità di ricevere per testamento e per donazione (art. #1052# ss.) doveva modificare la dizione dell’art. 911 del codice napoleonico, limitando alla sola ipotesi dell’interposizione di persona la possibilità della frode ai limiti posti all’incapacità di ricevere per testamento.
Si può provare, dunque, che la disposizione testamentaria, apparentemente fatta a favore di una persona determinata, riguarda, in realtà, una persona incapace, cioè il tutore o il protutore, o una delle persone che hanno partecipato alla formazione del testamento.
La prova che una persona sia interposta può darsi con tutti i mezzi, perché si tratta di scoprire la frode, quindi anche con testimoni, e possono valere anche presunzioni semplici, in base alle quali il magistrato può convincersi che la persona indicata nel testamento non è la vera destinataria della liberalità, ma soltanto un fiduciario, una persona interposta dell’incapace.
Rispetto ad alcune persone, cioè il padre, la madre, i discendenti ed il coniuge della persona incapace, non è ammessa alcuna prova dell’interposizione. Esse sono ritenute dalla legge, con una
praesumptio iuris et de iure, che non ammette prova in contrario, persone interposte.
Nel progetto definitivo non fu accolta la proposta della Commissione Reale che prevedeva come semplice questa presunzione, ammettendo la prova contraria. Fu osservato che l’innovazione avrebbe tolto praticamente ogni efficacia alle regole di incapacità e anche dato adito a speculazioni, temendo una infida prova testimoniale.
In sostanza, nel 2° comma dell’art. 599, alle cause d’incapacità indicate negli articoli precedenti, se ne aggiunge un’ altra, che colpisce i genitori, i discendenti e il coniuge della persona incapace.
Per decidere se vi sia interposizione di persona, in questi casi,
basta che il vincolo di parentela o di matrimonio esista al tempo della morte del testatore, anche se al tempo in cui fu fatto il testamento non sussisteva ancora. Sarà nulla, ad esempio, la disposizione fatta a favore del coniuge del tutore che non abbia ancora approvato il conto, o verso cui non sia estinta l’azione per il rendimento di esso, ancorché, all’epoca della formazione del testamento, il matrimonio non fosse ancora avvenuto, perché qui si tratta di una
praesumptio iuris et de iure che non si fonda su un calcolo di probabilità, ma su di una precisa disposizione di legge.
Se, invece, all’epoca della morte del testatore, fosse già morta la persona incapace, la disposizione fatta a favore del coniuge di costui sarà pienamente valida perché, cessata la causa dell’incapacità diretta, deve cessare pure la causa dell'incapacità indiretta, riflessa, che colpisce quella persona.
La presunzione d’interposizione di persona cessa quando alcune di quelle persone presunte interposte si trovano, col testatore, in uno di quegli stessi vincoli che è causa dell’incapacità. Ad esempio, se il testatore è coniuge di chi ha scritto il testamento segreto, il figlio di quest’ultimo sarebbe, di regola, persona interposta dal proprio genitore, ma, in realtà, non lo è perché, nello stesso tempo, è pure figlio del testatore.
Sotto l'impero del codice del 1865, si disputava se la presunzione d'interposizione di persona cessasse quando fossero state istituiti congiuntamente l'incapace e la persona che si dovrebbe presumere interposta: la giurisprudenza riteneva di sì. Tale opinione fu criticata dal Polacco e dal Losana, osservandosi che essa contrasta con la natura assoluta della presunzione, senza dire che si sarebbe aperto, così, un facilissimo varco alla frode, perché basterebbe che, nel testamento, fosse fatto un lascito irrisorio all’incapace, che sarebbe nullo, per permettergli di giovarsi indirettamente del lascito più cospicuo fatto al genitore, al discendente o al coniuge di esso, e che dovrebbe ritenersi, di regola, valido.
Comunque, anche in questo caso, vi sarebbe la possibilità di provare con tutti i mezzi l’interposizione, giacché la legge ha voluto essere rigorosa non ponendo distinzioni di sorta.
Non è affatto vero che, come dissero le Sezioni Unite, la coesistenza dell’interposizione di persona e dell’istituzione diretta dell’incapace sia un assurdo logico e giuridico, perché, anzi, l’esperienza insegna che le maggiori sottigliezze sono quelle che valgono a frodare meglio la legge, ed una di queste è quella con la quale, per favorire l’incapace, lo si istituisca congiuntamente con una di quelle persone che la legge reputa interposte. Se ciò fosse esatto, la
praesumptio iuris et de iure d'interposizione di persona scomparirebbe in ogni caso e resterebbe soltanto per coloro che non sono abbastanza furbi nel trovare più o meno abili ripieghi per frodare con maggiore sicurezza la legge.
Per questo motivo il codice ha risolto legislativamente la questione, disponendo espressamente che la presunzione d’interposizione sussiste anche se le persone reputate interposte sono chiamate congiuntamente con l’incapace.
Una questione molto grave che si faceva, nell’interpretazione dell’art. #773# del codice del 1865, che può ripetersi per l’art. 599 del nuovo codice, è se esso debba applicarsi a tutti i casi d'incapacità a succedere ovvero soltanto a quelli ai quali esso espressamente si riferisce. È questa l’opinione preferibile.
Infatti, il codice napoleonico, all’art. 771, dice che la disposizione testamentaria fatta a favore di un incapace è nulla, tanto se fatta sottoforma di contratto oneroso, quanto se fatta per interposta persona. Esso, quindi, parla d’incapacità, in genere, senza enumerare i vari casi.
Invece, il codice albertino, nell’art. 718, enumerava i vari casi d’incapacità nei quali è nulla la liberalità fatta per interposta persona, richiamando alcuni degli articoli precedenti, ma, nell'ultimo comma, aggiungeva: “fuori dei casi d’incapacità contemplati nei suddetti articoli o trattandosi di altre persone che quelle dianzi nominate, la disposizione sarà annullata soltanto quando colui che l’impugni provi essere stata fatta in frode alla legge”.
Sicché, il codice italiano del 1865, a differenza del codice napoleonico, enumerò i vari casi d’incapacità, seguendo, in ciò, il sistema del codice albertino, ma, d’altro canto, non riprodusse l’ultimo comma dell’art. 718 di questo, mostrando, così, di voler seguire un sistema diverso.
Senonché, molti scrittori sostennero il contrario, argomentando dall’art. #829# del codice del 1865 (art.
627 dell’attuale codice), il quale, dopo aver affermato il principio che non è ammessa alcuna prova che le disposizioni fatte in favore di persone dichiarate nel testamento riguardino, in realtà, altre persone, vietando, in altri termini, la prova della fiducia, aggiungeva nel 2° comma:
“le disposizioni di questo articolo non si applicano al caso che l’istituzione o il legato vengano impugnati come fatti per interposta persona a favore d’incapaci”. Quindi, si diceva, la norma dell’art. #773# (art. 599 dell’attuale codice) deve coordinarsi e completarsi con quella dell’art. #829# (art.
627 dell’attuale codice) che allarga la sfera di applicazione del primo. Ma ciò non può ammettersi, perché la disposizione che tratta della nullità delle disposizioni fatte per interposta persona non è l’art. #829# (art.
627 dell’attuale codice) ma l’art. #773# (art. 599 dell’attuale codice). Quindi il capoverso dell’art. #829# (art.
627 dell’attuale codice) ha, per necessità logica, una portata limitata. Esso non vuol dire altro che questo: la prova della fiducia che è, di regola, vietata, è ammessa quando si vuol dimostrare che la disposizione testamentaria fatta apparentemente a favore di una determinata persona, in realtà, è diretta a giovare una di quelle persone dichiarate incapaci dall’art. #773# del codice del 1865 (art. 599 dell’attuale codice).
È vero che quella tesi potrebbe sembrare contrastata dalla circostanza che l’art.
627, come già l’art. #829# del codice del 1865, parla d’incapaci, in genere, ma, come osservò esattamente il Coviello, dall’indagine storica di detto articolo si rivela il concetto che intenzione della legge non fu quella di estendere, per l’art. #829# (art.
627 dell’attuale codice), il campo di applicazione dell’art. #773# (art. 599 dell’attuale codice). Esso, infatti, fu la riproduzione quasi letterale dell’art. 809 del codice albertino, nel quale il comma in cui si parla d’incapaci, in genere, non aveva il valore di estendere la portata dell’ art. 718, giacché, in questo, come abbiamo visto, l’ultimo comma riguardava tutti gli incapaci, oltre quelli espressamente indicati. Sicché, se la parola incapaci si trovava anche nell’art. #829# del codice del 1865 (come ora nell’art. 599) non rivelava affatto l’intenzione di allargare il significato dell’art. #773# (art. 599 dell’attuale codice), ma era una semplice riproduzione dell’art. 718 del codice albertino, riprodotto, forse, senza la necessaria coordinazione con l’art. #773# (art. 599 dell’attuale codice), non compiuta nemmeno nel nuovo codice.