Anche le incapacità stabilite negli artt. 597 e
598, che riguardano le
persone che hanno partecipato alla formazione dell’atto testamentario, sono dirette ad assicurare la
libertà della volontà del testatore che il nostro legislatore ha voluto garantire largamente.
Le disposizioni degli artt. 597 e
598 devono essere integrate con le norme contenute nella
legge sull’ordinamento del notariato 16 febbraio 1913, n 89. Questa, infatti, informandosi alle ragioni alle quali erano ispirati gli art. #771# e #772# del codice del 1865, dispone, all’art. 28 n. 3, che il notaio non può ricevere atti
“se contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua, o alcuno dei suoi parenti od affini nei gradi anzidetti, o persone delle quali egli sia procuratore per l'atto da stipularsi, salvo che la disposizione si trovi in testamento segreto non scritto dal notaio, o da persona in questo numero menzionata, ed a lui consegnato sigillato dal testatore”.
Innanzitutto, bisogna rilevare una differenza tra l’art. 597 e il n. 3 dell’art 28 della legge notarile: il primo dichiara
nulle le disposizioni a favore del notaio contenute nel testamento pubblico; l'altro, invece, stabilisce l'
incapacità del notaio a ricevere atti che interessino anche la moglie, i suoi parenti ed affini in linea retta in qualunque grado ed in linea collaterale sino al terzo grado, con il conseguente maggiore effetto della
nullità dell'intero atto. Ora, poiché la legge notarile contiene una disposizione contraria a quella del codice civile, è questa che deve prevalere. In conformità a quanto dispone l’art. 60 della legge notarile, secondo cui
“le disposizioni di questo capo si applicano anche ai testamenti ed agli altri atti, in quanto non siano contrarie a quelle contenute nel codice civile…”. Sarà valida, dunque, la disposizione testamentaria a favore dei parenti ed affini del notaio che ha ricevuto il testamento pubblico, ed è nulla la disposizione a suo favore contenuta in questo testamento perché vietata dall'art. 597 del codice civile. Ed è nulla pure la disposizione a favore del padre, della madre, dei discendenti e del coniuge del notaio in forza del secondo comma dell’art.
599, che sono reputate
iuris et de iure persone interposte dell’incapace.
L’art. 597 stabilisce anche l’incapacità di ricevere per testamento pubblico di coloro che sono intervenuti nella qualità di testimoni e d'interprete.
Il vecchio codice del 1865 non contemplava quest'ultimo, ed era una grave lacuna. Stando alla lettera della norma eccezionale contenuta nell’art. #771#, l’interprete avrebbe dovuto ritenersi capace, ma, in verità, questa conseguenza sarebbe stata eccessiva, giacché non poteva dubitarsi, da un canto, che lo scopo del divieto stabilito dalla legge era assai più evidente per l'interprete che non per i testimoni, dal momento che a quegli, sebbene vincolato dal giuramento di adempiere fedelmente il suo ufficio, è connessa una funzione molto più importante di quella dei testimoni, qual è quella di tradurre in lingua italiana, nella quale devono essere redatti gli atti pubblici (art. 54 legge notarile), la volontà dichiarata dal testatore nel suo linguaggio. D’altro canto, anche l’interprete, come i testimoni, è chiamato ad attestare la conformità di ciò che è scritto nel testamento alla volontà espressa dal testatore. Quindi, nonostante che si fosse di fronte ad una norma di carattere eccezionale, bisognava ritenere che l’art. #771# contemplasse anche l’incapacità dell’interprete a ricevere per testamento, poiché la contraria opinione avrebbe costituito l’assurdo, e questo mai può essere voluto dal legislatore. Opportunamente, perciò, l’art. 597 del nuovo codice ha espressamente parificato l’interprete ai testimoni.
Rimane, tuttavia, ancora un dubbio, che pure si era profilato nell’interpretazione dell’art. #771# del codice del 1865, che non contemplava i fidefacienti, dei quali non parla nemmeno l’attuale codice. Si può estendere a questi l’incapacità stabilita per i testimoni?
Per intendere la questione, bisogna dire che la legge notarile precisa che il notaio dev’essere personalmente certo dell’identità delle parti, e, in caso contrario, deve accertarsene per mezzo di due fidefacienti (art. 49), i quali devono avere i requisiti stabiliti per i testimoni, cioè maggiori di anni 21, cittadini italiani o stranieri in esso residenti, avere il pieno possesso dei diritti civili, e non essere interessati nell’atto. Parrebbe, a prima vista, in forza di quest’ultimo requisito, che anche una disposizione testamentaria a favore del fidefaciente dovrebbe essere nulla. Questa sarebbe la conseguenza imposta dalla disposizione dell’art. 50 coordinato con l’art. 58, n. 4 della legge notarile; ma si deve tener presente anche l’art. 60 della legge notarile, già ricordato. Orbene, secondo la legge notarile, l’atto redatto dal notaio è nullo interamente, fra l’altro, anche quando non sia osservata la disposizione dell’art. 50, che riguarda la capacità del fidefaciente (art. 58, n. 4), sicché il testamento pubblico che contenga una disposizione a favore di costui dovrebbe essere nullo interamente, mentre, secondo il codice civile, sarebbe nulla soltanto tale disposizione. Ma, in realtà, nemmeno questa disposizione è nulla perché il codice civile stabilisce l’incapacità soltanto per i testimoni, non pure per i fidefacienti, che sono persone diverse, e che non hanno la funzione di attestare la conformità delle dichiarazioni contenute nel testamento alla volontà del testatore, ma devono solo far fede che chi ha testato era quella tale persona da essi conosciuta. La stessa legge notarile distingue chiaramente le diverse funzioni, dicendo che i fidefacienti possono essere anche i testimoni. Deve, poi, anche notarsi che, qui, siamo in tema d’incapacità, di disposizione eccezionale e, perciò, ogni interpretazione analogica è vietata, né si tratta di evitare un assurdo.
Infine, è opportuno notare che, trattandosi di testamento, la stessa legge notarile fa un'eccezione al sistema generale da essa tenuto, di considerare, cioè, nullo l’intero atto notarile ricevuto in contraddizione alle sue disposizioni, aggiungendo all’art. 58 la seguente norma: “la contravvenzione al n. 3 dell’art. 29 (è un errore materiale del testo legislativo, che voleva riferirsi, evidentemente, all’art. 28) importa la nullità delle sole disposizioni accennate nello stesso numero”.