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Articolo 2497 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Responsabilità

Dispositivo dell'art. 2497 Codice Civile

Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.

Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.

Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento.

Nel caso di liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario(1).

Note

(1) Comma così modificato dal D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

Ratio Legis

Mediante la norma in oggetto il legislatore ha inteso tutelare i soci e i creditori delle società eterodirette, consentendo a quesi ultimi di agire direttamente nei confronti della capogruppo per il risarcimento dei danni causati alla eterodiretta da un abuso dei poteri di direzione e coordinamento.

Spiegazione dell'art. 2497 Codice Civile

La norma regolamenta i profili di responsabilità della società che esercita attività di direzione e coordinamento su altra società.
Ricorre attività di direzione e coordinamento qualora la capogruppo (o altra società del gruppo) eserciti, in maniera non occasionale, sistematica, poteri di indirizzo tesi ad uniformare la gestione delle società del gruppo con riferimento anche solo a taluni aspetti della gestione (ad es: gli aspetti finanziari oppure organizzativi), sì che gli amministratori della società eterodiretta siano tenuti ad attuare le direttive che promanano dalla società esercente l'attività di direzione. In ogni caso, il concetto di direzione e coordinamento non deve essere confuso con quello di controllo o collegamento ex art. 2359: la sussistenza del controllo tra società fonda semplicemente una presunzione relativa circa l’esistenza del rapporto di eterodirezione, superabile fornendo prova contraria. Allo stesso modo, ai sensi dell’art. 2497 sexies, il rapporto si presume qualora la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato.

Considerato dunque che la sussistenza di un simile rapporto tra società può avere degli effetti significativi sulla autonomia decisionale dell’organo amministrativo della società eterodiretta, la disposizione si preoccupa di ampliare il novero dei soggetti responsabili direttamente nei confronti di soggetti (i soci e i creditori) che, altrimenti, potrebbero rivolgersi unicamente a quest'ultima.
A tal fine è tuttavia richiesto di provare che:
  • l’attività di direzione e coordinamento sia stata esercitata in maniera abusiva, violando i principi di corretta amministrazione: di per sé, dunque, l'attività di eterodirezione è perfettamente lecita;
  • la condotta abusiva abbia determinato un pregiudizio al valore ed alla redditività della partecipazione sociale, qualora l’azione sia promossa dai soci;
  • la condotta abusiva abbia determinato una lesione dell’integrità del patrimonio sociale, qualora l’azione sia promossa dai creditori sociali.
Non si potrà in ogni caso dar corso al risarcimento laddove si provi che l’attività di eterodirezione e coordinamento, nel suo complesso, non faccia emergere alcun danno: pertanto, al fine di determinare il danno, il pregiudizio andrà confrontato con i possibili benefici economici che derivino alla società in virtù della sua appartenenza al gruppo societario (teoria dei vantaggi compensativi).

L'azione di responsabilità può essere promosso nei confronti di quelle società o quegli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre società, abbiano agito nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui.

La natura giuridica della responsabilità è discussa. Secondo la giurisprudenza di merito e una parte della dottrina si tratta di responsabilità extracontrattuale o aquiliana. Secondo altra parte della dottrina si tratterebbe di responsabilità contrattuale.
Non è del tutto chiaro invece se, ai sensi del terzo comma, l’infruttuosa escussione del patrimonio della società eterodiretta costituisca presupposto dell’azione risarcitoria nei confronti della società esercente l’attività di direzione e coordinamento. Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, tuttavia, soci e creditori della eterodiretta potrebbero agire direttamente nei confronti della holding, alla condizione di aver perlomeno richiesto il risarcimento alla società eterodiretta.

La legittimazione attiva è in capo ai soci e ai creditori della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento. Tuttavia, si reputa che anche la società eterodiretta sia legittimata nei confronti della capogruppo.

La norma prevede una responsabilità solidale in capo a coloro che abbiano preso parte al fatto lesivo ed a quanti ne abbiano consapevolmente tratto beneficio. Con tale previsione è possibile estendere la responsabilità ad una molteplicità di soggetti, anche non appartenenti al gruppo di società ed anche a persone fisiche. La responsabilità di tali soggetti è però limitata dalla legge al solo vantaggio effettivamente conseguito.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

13 La delega richiede una disciplina di trasparenza con regole tali da assicurare che l'attività di direzione e coordinamento contemperi l'interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza. In questo panorama generale si richiede altresì la motivazione delle decisioni conseguenti ad una valutazione dell'interesse del gruppo; adeguate forme di pubblicità dell'appartenenza al gruppo e adeguate forme di tutela per il socio all'ingresso e all'uscita della società dal gruppo. Come noto, la vigente disciplina del Codice Civile poco o nulla considera il fenomeno del gruppo, fenomeno, d'altro canto, estremamente importante e attuale, nonché oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Nell'attuare la delega, all'art. 2497 del c.c. si è innanzi tutto ritenuto non opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo, e per due ragioni: è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all'incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica. Sotto altro aspetto si è ritenuto che il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità, in sostanza della controllante, nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata. Per dare corretta impostazione e soluzione a questi problemi di responsabilità occorreva porre a base della disciplina il "fatto" dell'esercizio di attività di direzione e coordinamento di una società da parte di un diverso soggetto, sia esso una società o un ente, e la circostanza che l'azione fosse comunque riconducibile al perseguimento di un interesse imprenditoriale proprio o altrui, sebbene svolto in violazione dei corretti principi di gestione societaria. Si è altresì ritenuto che l'esercizio di una tale attività sia del tutto naturale e fisiologico da parte di chi è in condizioni di farlo e che non implica, né richiede, il riconoscimento o l'attribuzione di particolari poteri. Sotto altro aspetto, però, l'esercizio di questa attività solleva delicati problemi quando chi la esercita sia portatore di interessi non omogenei con gli interessi tipicamente "societari" degli altri soci della controllata. In questo panorama, il limite all'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, limite che ne riconosce la legittimità di base e tiene presente e non penalizza i legittimi interessi di chi la esercita, è apparso dovesse essere costituito dal rispetto dei valori essenziali del "bene" partecipazione sociale, bene che la legge individua nella partecipazione al: "esercizio in comune di una attività economica al fine di dividerne gli utili" (art. 2247 del c.c.). Questi valori da proteggere e tutelare possono dunque individuarsi nei principi di continuità dell'impresa sociale, redditività e valorizzazione della partecipazione sociale. Spetterà a dottrina e giurisprudenza individuare e costituire i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria posti nel nuovo testo a tutela del bene "partecipazione", e ovviamente, in concreto, dottrina e giurisprudenza non potranno non tener conto delle infinite variabili e dell'incessante evoluzione economica ed operativa. Nell'indicare questi principi si è doverosamente tenuto presente che il richiamo a formule generali è ineliminabile nella legislazione commercialistica e basti adesso ricordare l'art. 2598 del c.c., comma 1, n. 3, per il riferimento ai: "principi della correttezza professionale". La responsabilità dettata da questa impostazione normativa è apparsa fondamentalmente di stampo "aquiliano", e necessariamente della controllante direttamente verso i danneggiati. Trattasi di una disciplina che non si sostituisce ad una disciplina attuale, in sé in realtà inesistente, ma che alla disciplina attuale si aggiunge posto che i numerosi tentativi di tutelare gli interessi dei creditori e dei soci della controllata non sembrano essere riusciti a dare ad oggi tutela adeguata. Risulta così chiaro che non viene alterata la tutela del socio verso la società, in generale, ed, in particolare quella offerta dall'art. 2395 del c.c., né, per i creditori sociali la tutela offerta dall'art. 2394 del c.c.; in effetti diverse, e non certo alternative, sono le due azioni, trattandosi, nella nuova disciplina di azione diretta verso la controllante. Per evitare che il margine di iniziativa della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento sia eccessivamente ridotto come conseguenza della possibilità di azione diretta da parte dei suoi soci o dei suoi creditori contro la società controllante, il terzo comma dell'articolo 2497 prevede che l'azione sia esperibile solo se essi non siano stati soddisfatti dalla società controllata. Sotto altro aspetto si è ritenuto opportuno precisare che il danno a base dell'azione in esame (e quindi la responsabilità) è il danno derivante dal risultato complessivo dell'attività della controllante e non il danno risultante da un atto isolatamente considerato, onde è eliminabile anche a seguito di specifiche operazioni a tal fine dirette. Nell'impostazione accolta la pubblicità prevista dall'art. 2497 – bis appare una logica necessità. La ragione dell'analitica motivazione delle decisioni di chi esercita attività di direzione e coordinamento, art. 2497-ter, oltre che rispondere ad una precisa indicazione della delega, è altresì coerente all'impianto generale della normativa attenta a prevedere regole di trasparenza, del resto solo la conoscenza delle ragioni economiche ed imprenditoriali di un'operazione può consentire un giudizio sulla correttezza di questa, può cioè consentire di valutare se la apparente diseconomicità di un atto, isolatamente considerato, trova giustificazione nel quadro generale dei costi e benefici derivanti dall'integrazione di un gruppo oppure no. Nel quadro di una concezione generale del recesso che vi riconosce l'attribuzione al socio di un potere di negoziare la sua permanenza in società davanti ad alterazioni rilevanti del quadro originario, all'art. 2497-quater, si è ritenuto di riconoscere il diritto al socio della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di recesso, innanzi tutto se cambia lo scopo del controllante, come può avvenire se si riconoscono le trasformazioni eterogenee; se muta l'oggetto della controllante, in modo da alterare in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta al controllo, così da ridondare in un'alterazione del profilo di rischio, che è ciò che interessa il socio non controllante. Le due ipotesi, discendono evidentemente dal riconoscimento che l'attività del controllante può, in sé legittimamente, esercitare il controllo in modo da alterare il profilo di rischio dell'investimento del socio, quale accettato entrando in società. La seconda causa di recesso è di evidente giustificazione. L'ultima causa di recesso si ricollega alla stessa ragione di fondo delle prime, al riconoscimento cioè che l'entrata e l'uscita dal gruppo cambia le condizioni di esercizio dell'impresa, delle quali, ancora una volta, viene valorizzato il profilo di rischio.

Massime relative all'art. 2497 Codice Civile

Cass. civ. n. 7262/2023

Nell'azione risarcitoria ex art. 2497 c.c. nei confronti di società che svolga attività di direzione e coordinamento di altra società, il "dies a quo" del termine di prescrizione quinquennale decorre dal momento in cui il pregiudizio per gli interessi sociali sia conoscibile da parte dei soci della società eterodiretta e non dalla realizzazione dei singoli atti concretanti l'illecita condotta di direzione e coordinamento.

Cass. civ. n. 4784/2023

La supersocietà di fatto si differenzia dalla holding di fatto perché, mentre nella prima tutti i soci perseguono un comune intento sociale, nella seconda le singole società perseguono l'interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, le quali, oltre a rispondere, ex art. 2497 c.c., dell'abuso di attività di direzione e coordinamento ai curatori dei fallimenti delle singole società sottoposte a tale attività, possono anche essere, a loro volta, dichiarate fallite, ove ne sia accertata l'insolvenza, a richiesta dei soggetti legittimati.

Cass. civ. n. 24943/2019

In tema di responsabilità da attività di direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c., ai fini della configurazione di un gruppo è certamente necessaria la presenza di più società, ma le formalità attinenti alla loro costituzione, come pure l'iscrizione e le altre forme di pubblicità previste dall'art. 2497-bis c.c., non hanno efficacia costitutiva del gruppo, per l'esistenza del quale non è neppure necessario che le società unitariamente controllate operino simultaneamente. Ciò che prevale è, invece, il principio di effettività, in virtù del quale assume rilievo la situazione di fatto esistente al momento dell'inizio, dello svolgimento e della cessazione dell'attività del gruppo.

Cass. civ. n. 29139/2017

L'art. 2497, comma 3, c.c. non prevede una condizione di procedibilità dell'azione di responsabilità - promossa dal socio o dal creditore sociale nei confronti della società che esercita l’attività di direzione e coordinamento - consistente nella infruttuosa escussione del patrimonio della controllata o nella previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci e i creditori sociali danneggiati dall’abuso dell'attività di direzione e coordinamento.

Cass. civ. n. 26765/2016

La responsabilità della società o dell’ente che abbia abusato dell'attività di direzione e coordinamento, per aver agito nell'interesse proprio in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale delle società eterodirette, si estende, in via solidale, alla persona fisica che abbia preso parte al fatto lesivo.

Cass. civ. n. 12254/2015

L'art. 2497 cod. civ. prevede un'unica azione di responsabilità che può essere esercitata dai creditori sociali della società eterodiretta (e, in caso di fallimento, dal curatore) nei confronti dell'ente o della società che ha abusato dell'attività di direzione e coordinamento, al fine di ottenere il ristoro del pregiudizio conseguente alla lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale. Pertanto, il terzo comma della menzionata disposizione, nel prevedere che il creditore sociale può agire nei confronti dell'ente o della società che svolge attività di direzione e coordinamento solo se non sia stato soddisfatto dalla società soggetta a tale attività, si limita ad individuare una condizione di ammissibilità dell'azione di responsabilità prevista dal primo comma, ma non costituisce il fondamento normativo di un'ulteriore responsabilità sussidiaria tipica della cd. "holding" per il pagamento dei debiti insoddisfatti della società eterodiretta.

Cass. civ. n. 2952/2015

La formale esistenza di un gruppo, con conseguente assetto giuridico predisposto per una direzione unitaria, e l'amministrazione di fatto di singole società del gruppo stesso non sono situazioni incompatibili poiché mentre la prima corrisponde ad una situazione di diritto nella quale la controllante svolge l'attività di direzione della società controllata nel rispetto della relativa autonomia e delle regole che presiedono al suo funzionamento, la seconda, invece, corrisponde ad una situazione di fatto in cui i poteri di amministrazione sono esercitati direttamente da chi sia privo di una qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita. Ne consegue che un soggetto, cui pure siano attribuiti poteri di direzione in quanto amministratore di una "holding" (o in quanto socio di una società di fatto che ne svolge le funzioni), può, di fatto, esercitare poteri di amministrazione e, al contempo, disattendendo l'autonomia della società controllata e riducendo i relativi amministratori a meri esecutori dei suoi ordini, comportarsi come se ne fosse l'amministratore, pur utilizzando, formalmente, gli strumenti propri della direzione unitaria, quali le direttive, sicché egli risponde delle condotte relative all'amministrazione delle società controllate.

Cass. civ. n. 16707/2004

In tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali verso la società stessa, appartenente ad un gruppo societario, ha rilievo (anche a prescindere dal testo dell'art. 2497 c.c. come novellato dall'art. 5 D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6) la considerazione dei cosidetti vantaggi compensativi derivanti dall'operato dell'amministratore, riflettentisi sulla società in conseguenza della sua appartenenza al gruppo e idonei a neutralizzare, in tutto o in parte, il pregiudizio cagionato direttamente alla società amministrata; tuttavia non è sufficiente, al fine di escludere corrispondentemente la responsabilità, la mera ipotesi della sussistenza dei detti vantaggi, ma l'amministratore ha l'onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta.

Cass. civ. n. 14870/2000

La circostanza che un socio disponga, direttamente e/o indirettamente nella specie attraverso un'Anstalt dal medesimo fondata dell'intero capitale sociale di una società di capitale, non comporta la confusione del patrimonio personale del primo con quello della seconda, e perciò i creditori dell'uno, pur se socio sovrano o tiranno, non possono aggredire i beni dell'altra, sottraendoli alla loro primaria funzione di garanzia dell'adempimento delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per rafforzare questa funzione, a norma dell'art. 2497, secondo comma, c.c., nella formulazione previgente a quella introdotta dall'art. 7 del D.L.vo 3 marzo 1993 n. 88, nel caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le quote sociali siano appartenute ad un solo socio, questi ne rispondeva illimitatamente con il suo patrimonio.

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