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Articolo 446 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Assegno provvisorio

Dispositivo dell'art. 446 Codice Civile

(1)Finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il presidente del tribunale può, sentita l'altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria ponendolo, nel caso di concorso di più obbligati [1292], a carico di uno solo di essi, salvo il regresso verso gli altri [282 c.p.c.](2).

Note

(1) Il comma è stato così modificato dall'art. 142 del D. Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, che ha istituito la figura del giudice unico di primo grado sopprimendo la figura del pretore.
(2) Circa i presupposti della figura in esame, si evidenzia come tale tipo di assegno possa essere chiesto e concesso unicamente quando la parte che lo invoca rientri in una della categorie di persone obbligate a somministrare gli alimenti e si discuta delle condizioni di cui all'art. 438 del c.c..
L'ordinanza sarà un provvedimento interinale e modificabile dal giudice, non reclamabile e destinato a venire inglobato nella sentenza che fisserà gli alimenti.

Ratio Legis

La ratio della norma in esame è quella di evitare che, nelle ore del giudizio, venga ulteriormente lesa la posizione dell'alimentando in reale stato di bisogno.

Spiegazione dell'art. 446 Codice Civile

Lo stesso criterio del bisogno attuale che rende improponibili pretese de praeterito, esige per converso che, nel momento in cui la necessità di soddisfare il bisogno viene fatta avanti, questa necessità si soddisfi immediatamente senza soluzioni di continuo, le quali sarebbero del tutto contrastanti con la ragion d'essere dell'istituto, che si fonda non su di una finzione ma su di una effettiva realtà: uno stato di bisogno che non può essere discusso se non si vuole rischiare di arrivare talora troppo tardi.
Tale esigenza ha tenuto presente il legislatore nel dettare le norme dell'art. 446 (assegno in misura provvisoria) e del terzo comma dell'articolo 443 (attribuzione provvisoria dell'obbligazione). Si dà qui luogo ad un caso di vero e proprio "possesso di credito", in attesa che il modo e la misura degli alimenti vengano determinati con sentenza definitiva. Sia che si tratti di attribuzione temporanea del carico alimentare, sia che si tratti di determinazione di una misura provvisoria, è fatto salvo il regresso.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 446 Codice Civile

Cass. civ. n. 770/2020

L'onere probatorio dello stato di bisogno e di non essere in grado di provvedere al proprio mantenimento grava sul coniuge che richiede la prestazione alimentare ex art. 446 c.c.

Cass. civ. n. 1040/1977

L'ordinanza, con la quale il pretore od il presidente del tribunale, in applicazione dell'art. 446 c.c., fissano un assegno provvisorio di alimenti, può essere posta in esecuzione nei confronti dell'obbligato solo previa notificazione al medesimo con la formula esecutiva, ai sensi degli artt. 475 e 479 c.p.c. Un esonero da detto adempimento, infatti, non è previsto da alcuna norma di legge, né può evincersi dalla natura del provvedimento, il quale mira esclusivamente a tutelare le esigenze dell'alimentando in corso di causa, e non ha carattere cautelare in senso proprio.

Cass. civ. n. 3000/1972

Il provvedimento col quale il Presidente del tribunale disponga, anche fuori della pendenza del giudizio alimentare di merito, la concessione di un assegno alimentare provvisorio, non ha natura decisoria e definitiva e, come tale, non è impugnabile con ricorso in Cassazione ex art. 111 della Costituzione.

Cass. civ. n. 2348/1970

Il provvedimento, con cui il Presidente del tribunale dispone la corresponsione di un assegno alimentare provvisorio, non è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Costituzione, rimanendo aperta la regolamentazione della prestazione alimentare, nell'ampio senso che colui a carico del quale l'assegno è stato posto, conserva la duplice possibilità di fare riesaminare, in sede di pronuncia definitiva l'an e il quantum della detta prestazione e di riversarla, se del caso, sugli altri obbligati.

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Consulenze legali
relative all'articolo 446 Codice Civile

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Vincenzo S. chiede
venerdì 08/04/2016 - Campania
“Gent.le brocardi.
All'età di 45 anni dopo aver passato gli ultimi 10 come socio di una coop sociale onlus, mi ritrovo senza un lavoro, e di nuovo a carico di mia madre non essendo sposato.
La stessa è in pensione da diversi anni e percepisce una pensione di 2200,00 euro mensili.
Siamo un nucleo familiare composto da mia madre, due sorelle sposate, delle quali una con impiego fisso, e l'altra da quello che so è un'insegnante precaria.
Ancora prima che l'ultima sorella si sposasse, quindi risultava ancora a carico di mia madre, la stessa percepiva anche parte della pensione di mio padre come vedova.
Mia madre ha scelto deliberatamente di vivere con la famiglia di una delle mie sorelle sposate.
E' una donna anziana di 86 anni, e nell'ultimo periodo prima di andare a vivere con la famiglia di mia sorella, viveva sola con me nell'appartamento di nostra proprietà di circa 200 mq, e sito anche in un'ottima posizione, ove, allo stato siamo comproprietari in parti uguali tutti e tre i figli (la cosa è già agli atti notarili).
E' stato certificato dallo specialista, a fronte degli esami fatti, che mia madre risulta non essere affetta da Alzheimer. E' però agorafobica, e caratterialmente ossessiva e lamentosa.
Prima che andasse via di casa, io gestivo la pensione, di comune accordo con le mie sorelle.
Andiamo avanti così per circa 6 mesi, fino a che mia madre se ne va da mia sorella senza neppure discuterne con me, e lasciandomi una lettera dai contenuti a mio avviso deliranti.
Ora la pensione la gestisce mia sorella che vive nel Lazio, ed io pattuisco con mia madre, di farmi versare 1100 euro della sua pensione sul mio conto affinché io possa provvedere al mio sostentamento.
Mia sorella però interviene a mio avviso arbitrariamente nella gestione della pensione, non consentendomi di vivere dignitosamente.

Mia sorella, con la scusa che si prende cura di mia madre, si mette il restante della pensione in tasca, non avendone neanche bisogno dal momento che lei e il marito sono benestanti.


Esiste un articolo di legge del codice civile che obbliga mia madre a ottemperare a questa situazione, in quanto madre? (quantomeno a prendere parte, facendo da arbitro e stabilendo come titolare della pensione a chi devono andare i soldi)
Se anche volessi ipotecare la casa per chiedere un prestito e aprire un'attività non lo posso fare, perché le ostilità immotivate delle mie sorelle nei miei confronti, me lo impedirebbero, e senza motivazione.
Che tipo di soluzione ci può essere per questa situazione in termini legali?
Per un maggiore quieto – vivere ho anche proposto a mia madre di tornare con me, che provvedo io al suo mantenimento e fabbisogno, occupandomi io del da farsi per la casa e quant'altro.
Ma la risposta è stata un immotivato e secco no.

Confidando in voi, e nella vostra professionalità, virtù della quale godete e si evince da un'eventuale notorietà presso ogni studio legale, che sovente si vedono fare riferimento a voi per confronti di professionale arricchimento, attendo con ansia una vostra risposta.
Distintamente saluto.”
Consulenza legale i 18/04/2016
La legge, più precisamente il codice civile, prevede per casi come quelli descritti nel quesito l'istituto degli alimenti.

Gli alimenti sono prestazioni di assistenza materiale dovute per legge alla persona che si trova in stato di bisogno economico. Il diritto agli alimenti ha natura di diritto soggettivo ed ha carattere personale: non può essere alienato, trasmesso, pignorato, né sottoposto a sequestro.

Lo stato di bisogno, ai sensi dell'art. 438 del c.c., va inteso come mancanza di ogni risorsa o disponibilità di mezzi insufficiente al soddisfacimento delle necessità primarie della persona, unita all'impossibilità o incapacità dell'avente diritto ad ovviare alla situazione.

Nel valutare la situazione di bisogno, deve essere considerata l'intera situazione patrimoniale della persona, pertanto è da escludersi che versi in stato di bisogno il proprietario di beni immobili di un certo valore patrimoniale e addirittura produttivi di reddito.

Al contrario, si reputa che gli immobili che non sono in grado di produrre un reddito sufficiente o che non sono suscettibili di parziali alienazioni non siano idonei ad escludere lo stato di bisogno (v. Cass. civ., 6.1.1981, n. 51). La valutazione di questo aspetto risulta cruciale nel caso di specie, visto che chi vuol chiedere gli alimenti è proprietario di 1/3 di un immobile.

Ai sensi dell'art. 433 risultano obbligati agli alimenti, nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimo, anche naturali; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.

La madre, quindi, è soggetto obbligato dalla legge a sostenere economicamente il figlio che si trovi in stato di bisogno, nell'accezione sopra indicata.

Il diritto agli alimenti sorge solo dal giorno della domanda giudiziale con cui la persona chiede ai propri parenti (o agli altri soggetti previsti dall'art. 433 del c.c.) un aiuto economico, o dalla costituzione in mora dell'obbligato. Lo dice l'art. 445 del c.c., prevedendo quindi che l'effettiva prestazione degli alimenti è dovuta soltanto dal giorno della domanda, anche se ne preesistono i presupposti di legge (in particolare, lo stato di bisogno).

L'ammontare dovuto a titolo di alimenti è limitato al necessario per la vita dell'alimentando (in ciò gli alimenti si differenziano dal mantenimento).

Il procedimento per la richiesta giudiziale degli alimenti consiste in un normale giudizio civile (dalla durata, quindi, non prevedibile), nel corso del quale si può chiedere un provvedimento del presidente del tribunale con cui sia disposto un assegno in via provvisoria (art. 446 c.c.): l'ordinanza sarà un provvedimento interinale e modificabile dal giudice, non reclamabile e destinato a venire inglobato nella sentenza che fisserà gli alimenti.
E' legittimata ad agire in giudizio la persona che versi in stato di bisogno, eventualmente rappresentata da un amministratore di sostegno o tutore nel caso in cui vi sia una incapacità parziale o totale della persona.
Il giudice dovrà valutare con prudente apprezzamento la situazione esposta dalle parti in giudizio e determinare l'entità degli alimenti dovuti e il modo in cui dovranno essere somministrati.
Per instaurare il procedimento è necessario rivolgersi ad un avvocato, con il quale valutare innanzitutto se la situazione patrimoniale del richiedente (in particolare, la proprietà di una quota di immobile) sia tale da consentire di proporre con successo la domanda o non faccia, invece, correre il rischio di incorrere in un rigetto.