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Le dichiarazioni autoindizianti raccolte nel verbale di contestazione sono inutilizzabili se ottenute in violazione del diritto di difesa

Le dichiarazioni autoindizianti raccolte nel verbale di contestazione sono inutilizzabili se ottenute in violazione del diritto di difesa
Qualora emergano indizi di reato, l’attività ispettiva deve essere sempre condotta nel rispetto delle norme del codice di procedura penale.
La Corte di Cassazione Penale, con sentenza n. 54590/2018, si è pronunciata in ordine al mancato riconoscimento delle garanzie previste dal legislatore costituzionale e ordinario in tema di diritto di difesa.
Nel caso di specie, a seguito di sequestro preventivo, si procedeva al riesame di detta misura cautelare reale innanzi al Tribunale di Taranto. Il Giudice collegiale accoglieva parzialmente il riesame, riducendo con ordinanza l’ammontare del sequestro di cui sopra. La pronuncia del Tribunale collegiale era, tuttavia, impugnata tramite ricorso per Cassazione.
Con il gravame proposto si deduceva, in particolare, la violazione di legge, ex artt. 63 c.p.p. e 220 disp. att. c.p.p., relativamente all’omessa declaratoria dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate dall’indagato ai militari della Guardia di Finanza.
Questi ultimi, infatti, procedevano ad attività ispettiva nei confronti dell’indagato ed ottenevano dette dichiarazioni autoindizianti, senza le quali i fatti emersi (oggetto poi di diverso capo di imputazione da quello per cui si procedeva) “non avrebbero nemmeno potuto assurgere a dignità di fumus del reato”.
I giudici di legittimità, con la citata pronuncia, hanno dichiarato il ricorso fondato.
Si è evidenziato, anzitutto, il tenore letterale di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p., che prevede: “Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.
L’atto della GdF (processo verbale di contestazione), quale atto amministrativo extraprocessuale, infatti, pur essendo fonte di prova documentale nei confronti di soggetti non interessati dalla verifica fiscale, conteneva indizi di reato; circostanza questa che imponeva l’ossequio delle norme processuali penali. Secondo la Corte, “la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile”.
Proprio in tale ottica, si ricorda la norma di cui all’art. 63 c.p.p.: “Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese”.
Ne discende l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato ogniqualvolta siano ravvisabili “anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato” e, ciononostante, tali dichiarazioni siano comunque ottenute a danno dell’inviolabile diritto di difesa.

Il Supremo Consesso ha chiarito, infatti, che il tenore letterale “quando […] emergano indizi di reato” di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p. “è teso a fissare il momento a partire dal quale, nell’ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale. L’art. 220 cit. è applicabile quindi anche in presenza di semplici indizi di reato, non richiedendosi l’esistenza di veri e propri indizi di colpevolezza”.
Posto quanto osservato, dunque, nella fattispecie concreta erano state violate le garanzie di esercizio del diritto di difesa del ricorrente, che non aveva avuto accesso fin da subito al patrocinio di un difensore di fiducia e che, oltremodo, aveva subito le conseguenze sostanziali e processuali dell’utilizzazione delle dichiarazioni autoindizianti.
Per tali ragioni la Cassazione ha annullato il provvedimento impugnato, rinviando al Tribunale collegiale per un nuovo esame.


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