Ma, come tutto ciò che appare estremamente facile da realizzare, sarebbe troppo bello per essere vero.
Ebbene, al di là di queste che possono apparire come considerazioni di carattere strettamente morale, vediamo perché, sotto un profilo prettamente giuridico, non è proprio così come si può immaginare.
Di eredità internazionale o c.d. successione transfrontaliera si occupa il Regolamento CE n. 650 del 4 luglio 2012, del quale occorre innanzitutto esaminare la finalità per cui è stato introdotto, ossia: fare chiarezza su tutte le questioni che possono insorgere in materia di successioni transazionali per effetto delle differenze di normative esistenti tra i diversi stati europei (in particolare per il caso in cui i beni o gli eredi del de cuius si vengano a trovare in uno Stato diverso da quello in cui si è aperta la successione), stabilendo dei principi fermi e ben precisi, atti a fissare quale dovrà essere la legge regolatrice della successione.
Come si suppone possa essere ben noto, quando si parla di legge regolatrice della successione ci si intende riferire a quella che si occupa di disciplinare i poteri di amministrazione attribuiti ai chiamati, gli atti che gli stessi possono compiere senza che ciò implichi accettazione, i casi di eredità giacente, ecc., insomma tutto ciò che involge gli aspetti di gestione e trasferimento del patrimonio appartenente al de cuius.
Sotto tale profilo, che attiene propriamente a quello che si definisce diritto materiale o sostanziale, esistono indubbiamente nette differenze, in relazione alle fasi di amministrazione, trasmissione e divisione del patrimonio ereditario, tra gli ordinamenti di diritto continentale e quelli di tradizione anglosassone.
Infatti, mentre nei primi la successione per causa di morte viene vista come una continuazione della persona del defunto in quella degli eredi (e quindi a questi ultimi si trasmettono tutte le situazioni giuridiche attive e passive che prima facevano capo al de cuius), negli altri casi la successione non riguarda la persona del defunto o l’intero suo patrimonio, ma solo l’eventuale attivo residuo dopo la liquidazione dell’asse ereditario.
Sotto il profilo dell’ambito di applicabilità oggettiva di tale normativa, è agli artt. 1 e 3 del Regolamento che occorre rivolgere l’attenzione; infatti, l’art. 1 dispone espressamente che esso non concerne la materia fiscale, doganale e amministrativa e che si applica alle successioni a causa di morte, mentre il successivo art. 3 si preoccupa di dare la definizione esatta di successione a causa di morte, la quale viene concepita come qualsiasi modalità di trasferimento di beni, diritti e obbligazioni a causa di morte, sia che si tratti di un trasferimento volontario che di un trasferimento per effetto di successione legittima.
Tale definizione, poi, va interpretata anche alla luce delle altre disposizioni del regolamento, tra cui in particolare l’art. 23, che nella fattispecie è quello che più ci interessa.
E’ questa norma, infatti, che nel disciplinare la legge che regola l’intera successione transazionale, richiama il criterio generale determinato dal precedente art. 21, ossia il criterio della residenza abituale del defunto, a cui si potrebbe pensare di ricorrere come mezzo per “eludere” l’applicazione della legge italiana.
La residenza abituale del defunto al momento della morte viene dal Regolamento utilizzata sia come titolo di giurisdizione generale (così art. 4 Reg.) sia come criterio di collegamento oggettivo (così art. 21 Reg.), con ciò intendendosi realizzare una perfetta coincidenza tra forum e ius (ossia tra diritto processuale e diritto sostanziale).
Tale criterio, utilizzato ormai dai più recenti regolamenti in materia di diritto internazionale privato, risulta, rispetto a quello della nazionalità, più coerente con il principio di prossimità, e ciò per il fatto che nell’attuale realtà economico-sociale, sono sempre più frequenti i casi in cui nello Stato dell’ultima residenza abituale del defunto si trovino la maggior parte dei suoi beni oltre che i suoi familiari più stretti (cioè proprio quelle persone che saranno chiamate a diventare eredi).
Lo stesso legislatore europeo, però, ha scelto di non fornire una esatta definizione di tale criterio né di individuare gli elementi in presenza dei quali possa ritenersi sussistente il requisito della abitualità della residenza.
E’ stato così compito degli interpreti adoperarsi in tal senso, e nello svolgimento di tale attività interpretativa un proficuo indice di riferimento lo si è rivenuto sia all’art. 43 del nostro codice civile (norma che dà la definizione di domicilio, individuandolo, come ben noto, con la sede principale dei propri affari ed interessi) sia dalla lettura dell’art. 23 dello stesso Regolamento, da cui si ricava che gli elementi rilevanti per poter individuare la residenza abituale del defunto sono:
- una valutazione globale delle circostanze della vita del defunto;
- la durata e regolarità del soggiorno;
- le condizioni e ragioni del soggiorno;
In ogni caso si è ritenuto che non possano assumere valore determinante né essenziale le certificazioni anagrafiche.
Tali criteri interpretativi potrebbero già essere sufficienti per consentire ai creditori del defunto, tra i quali molto spesso si annovera la stessa Agenzia delle entrate (per debiti di natura fiscale), di porre in essere ogni azione volta a far valere le loro pretese creditorie nei confronti degli eredi del de cuius, riuscendo agevolmente a dar prova che in realtà quella dello Stato estero non può considerarsi come effettiva residenza abituale del defunto.
A ciò si aggiunga un’altra considerazione: i medesimi creditori potrebbe rinvenire un ulteriore argomento di prova in loro favore all’art. 21 paragrafo 2 del Regolamento, il quale rende applicabile alla successione anziché la legge dello Stato in cui il defunto aveva la residenza abituale dichiarata al momento della morte, la legge del diverso Stato con cui, al medesimo momento, il defunto stesso aveva collegamenti manifestamente più stretti .
Neppure di aiuto si ritiene che possa essere una esplicita manifestazione della volontà di sottostare alle regole del diverso paese europeo dove si verrebbe ad aprire la successione, e ciò per la seguente ragione: di tale facoltà di scelta si occupa espressamente l’art. 22 paragrafo 1 del Regolamento, il quale, tuttavia, come può desumersi da una sua attenta lettura, consente a qualunque persona di scegliere come lex successionis la legge dello Stato di cui egli possiede la cittadinanza.
La scelta, dunque, verrebbe limitata a quella della propria legge nazionale al momento della stessa scelta ovvero a quella del paese della morte (si parla qui, infatti, di soggetto che vuole mantenere la cittadinanza italiana e trasferire solo la residenza all’estero).
A prescindere, comunque, dalle considerazioni sopra svolte in ordine alla concreta ed effettiva possibilità di far rendere applicabile (con un semplice trasferimento di residenza) come lex successionis quella del luogo di residenza abituale del defunto ex art. 21 Regolamento, vediamo adesso in quale misura tale legge potrà di fatto regolare la successione del de cuius, in particolare, per quel che qui ci interessa, sotto il profilo della responsabilità per debiti ereditari.
Per fare ciò occorre spostare l’attenzione su quanto disposto dall’art. 23 Reg., e precisamente alle lettere e) e g) di tale norma.
A termini della lettera e), alla lex successionis del paese di residenza abituale occorrerà fare riferimento per l’individuazione delle condizioni e degli effetti dell’acquisto e della rinuncia all’eredità o al legato; in particolare, sarà tale legge a stabilire se il trasferimento del patrimonio ereditario debba avvenire automaticamente ovvero se occorra l’accettazione, ed in quest’ultimo caso quali siano le forme dell’accettazione, da quali atti e comportamenti debba farsi discendere l’accettazione tacita e l’assunzione della qualità di eredi.
La successiva lettera g) della medesima norma, invece, si occupa propriamente della responsabilità per i debiti ereditari; ciò significa che alla lex successionis occorrerà fare riferimento per individuare non solo chi tra i successori (eredi, legatari o legatari universali) sarà tenuto a rispondere dei debiti del de cuius, ma anche entro quali limiti (ovvero se personalmente e illimitatamente ovvero intra vires o cum viribus hereditatis).
A tale legge ci si dovrà attenere anche per:
- l’individuazione dei modi attraverso cui limitare la responsabilità nei casi in cui essa gravi sugli eredi in forma personale e illimitata (ad esempio l’accettazione con beneficio di inventario nel nostro ordinamento);
- l’individuazione dei modi di tutela di creditori e legatari del de cuius, nei casi in cui costoro possano ricevere un pregiudizio dalla confusione del patrimonio ereditario con quello personale degli eredi.
Come può notarsi, dunque, i creditori dell’eredità dovranno pur sempre trovare tutela nella lex successionis applicabile, qualunque essa sia, ciò che si ricava sia da una corretta lettura della predetta lettera g) dell’art. 23 (la quale può essere solo intesa come relativa alla natura della responsabilità, se solidale o parziaria) sia dall’analisi del testo complessivo del Regolamento, dove numerosi sono i riferimenti alla necessità di tutelare gli interessi dei creditori, quali possono rinvenirsi:
- al considerando n. 7, nella parte in cui è detto che “Nello spazio europeo di giustizia…i diritti dei creditori dell’eredità devono essere garantiti in maniera efficace”
- al considerando n. 80, ove si dice che gli obiettivi del regolamento, tra cui vi si fa rientrare la protezione dei diritti dei creditori della successione, possono essere meglio conseguiti a livello di Unione
- all’art. 33 nella parte in cui viene riconosciuto, per il caso di eredità vacante, il diritto di uno Stato membro o di un’istituzione designata dalla legge di quello Stato di acquisire a norma della propria legge i beni ereditari situati sul suo territorio, a condizione che i creditori possano chiedere di soddisfare i propri crediti con tutti i beni caduti in successione.
La conclusione a cui deve per forza di cose giungersi, dunque, è che in nessun modo si potrà sfuggire al pagamento dei debiti che gravavano il patrimonio del defunto.
Si tratterà solo di limitare o meno la responsabilità di chi andrà a succedere in tale patrimonio, ma per ottenere tale risultato si ritiene che sia più che sufficiente seguire la strada naturale delineata dal nostro legislatore, ovvero effettuare un’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario (art. 484 del c.c.), così da impedire ai creditori di poter aggredire il patrimonio dell’erede o degli eredi, accontentandosi di ciò che residuerà (se un residuo vi sarà) dell’asse ereditario lasciato dal defunto.
Peraltro, si tenga anche conto di un’ulteriore considerazione: è anche l’art. 28 del Regolamento che induce a propendere proprio per tale scelta, in quanto subordina espressamente la validità formale della dichiarazione riguardante l’accettazione o la rinuncia dell’eredità o di legato ovvero la dichiarazione volta a limitare tale responsabilità alla presenza di determinati requisiti, tra cui proprio quelli previsti dalla legge dello Stato in cui la persona che fa la dichiarazione ha la residenza abituale (quindi, si ritorna sempre agli artt. 484 e ss. c.c.).