Nel caso esaminato dalla Corte, due venditori erano stati accusati di aver venduto a due coniugi un appartamento, “tacendo il fatto che sullo stesso gravava un’ipoteca giudiziale a favore della Banca”.
Dopo la condanna nel secondo grado di giudizio, gli imputati decidevano di proporre ricorso per Cassazione, evidenziando come “la vicenda troverebbe il suo fondamento nel fatto che i dati catastali dell’immobile avevano subito della variazioni a causa del cambio di destinazione d’uso prima della trascrizione dell’ipoteca e non erano stati correttamente riportati nei registri immobiliari”.
Gli imputati rilevavano, inoltre, come, una volta saputo che era stata avviata una procedura esecutiva sull’immobile, gli stessi avevano proceduto alla cancellazione dell’ipoteca, “evitando che gli acquirenti subissero la conseguente esecuzione”.
Pertanto, secondo gli imputati, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la cancellazione dell’ipoteca fosse un fatto non rilevante, “essendo un’azione posta in essere dopo la consumazione del reato e addirittura dopo l’avvio del procedimento penale”.
Altrettanto erroneamente, la Corte avrebbe ritenuto che gli imputati fossero in mala fede, dal momento che gli stessi si erano attivati per la cancellazione, prima di essere venuti a conoscenza del procedimento penale a loro carico e, in ogni caso, non vi era prova che i medesimi fossero a conoscenza dell’ipoteca prima della stipulazione del contratto di compravendita dell’immobile.
La Corte di Cassazione, riteneva, effettivamente, di dover accogliere il ricorso presentato dai due imputati.
Secondo la Corte, infatti, non ci si trovava in presenza di una “truffa contrattuale a consumazione prolungata”, come affermato nella sentenza di condanna.
Nel caso di specie, infatti, “il profitto è stato ottenuto dagli imputati mediante la stipulazione del contratto di compravendita e la ricezione del relativo prezzo a titolo di corrispettivo”. Pertanto, “il fatto che gli acquirenti, per far fronte al pagamento, abbiano stipulato un autonomo contratto di mutuo con un istituto di credito, è elemento del tutto estraneo al reato qui in contestazione”, dal momento che “il successivo pagamento delle rate del mutuo è stato effettuato alla banca e non certo ai venditori dell’immobile, i quali il loro profitto lo avevano già ottenuto”.
Considerare il contrario, infatti, “potrebbe portare alla paradossale conseguenza che, se gli acquirenti avessero contratto con la banca un mutuo ventennale, il reato di truffa sarebbe ad oggi ancora in fase di consumazione”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, poiché il contratto di compravendita era stato stipulato nel 2004 e in quel momento era stato pagato il corrispettivo.
E’ sempre a quel momento, dunque, che doveva essere fatta risalire la consumazione del reato di truffa, il quale, pertanto, doveva ritenersi estinto per prescrizione.
Nel merito, comunque, la Cassazione riconosce che la truffa, effettivamente, sussisteva, in quanto, il fatto che gli imputati si fossero attivati in epoca successiva alla stipulazione del contratto, per la cancellazione dell’ipoteca, non aveva alcuna rilevanza “circa la sussistenza dell’elemento psicologico del contestato reato di truffa”, potendo tale circostanza, al massivo, rilevare ai fini della determinazione della pena.
In ogni caso, essendo il reato ormai prescritto, la Cassazione procedeva all’annullamento della sentenza di secondo grado.