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È inammissibile la stipulazione di un preliminare di donazione

È inammissibile la stipulazione di un preliminare di donazione
La stipulazione di una promessa di donazione non produce un obbligo di contrarre, poiché difetta il requisito della spontaneità.
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6080/2020, si è pronunciata in merito alla possibilità o meno di ritenere produttiva dell’obbligo di contrarre e, dunque, di qualificare come preliminare di donazione, la scrittura privata con cui un soggetto si sia obbligato verso un altro a donargli un certo bene.

La questione nasceva dal giudizio in occasione del quale un soggetto aveva agito contro il proprio fratello, ai sensi dell’art. 2932 del c.c., ai fini di ottenere il trasferimento della proprietà di un immobile che il convenuto si era obbligato a trasferirgli attraverso un atto in cui aveva dichiarato di “donare” all’attore detto bene.
Il Tribunale accoglieva la domanda, qualificando la dichiarazione resa dal convenuto come atto preliminare unilaterale di vendita, il cui corrispettivo era costituito dal pagamento dei materiali e dei lavori per la realizzazione dello stesso immobile, da parte dell’attore.

Di diverso avviso si dimostrava, però, la Corte d’Appello, secondo cui la dichiarazione del convenuto non poteva configurare né una donazione né una promessa di donazione, perché carente dei relativi requisisti richiesti ad substantiam dalla legge. Né, tantomeno, detta scrittura privata poteva essere considerata un preliminare di vendita, mancando l’indicazione sia del corrispettivo per il trasferimento del bene, sia dei dati identificativi dell’immobile, quali i confini, i riferimenti catastali e la planimetria.

In seguito a tale decisione, la moglie dell’originario attore, deceduto nelle more del giudizio, ricorreva in Cassazione in qualità di erede, eccependo, in primo luogo, come i giudici di merito avessero errato nell’escludere che la scrittura privata redatta dalla controparte potesse essere suscettibile di esecuzione in forma specifica, ex art. 2932 del c.c., considerato che la giurisprudenza ammette tale rimedio in relazione ad ogni caso in cui sorga un obbligo di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto e, quindi, anche di fronte ad una dichiarazione unilaterale.
La ricorrente eccepiva, inoltre, come la Corte d’Appello avesse errato nel non attribuire valore probatorio al fatto che l’attore avesse partecipato alle spese per la realizzazione dell’immobile, fatto, questo, ammesso dalla stessa controparte in sede di interrogatorio.

La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, esaminando congiuntamente i motivi proposti dalla ricorrente.

A tal fine gli Ermellini hanno, innanzitutto, ribadito come le norme relative all’interpretazione dei contratti, in ragione del rinvio realizzato dall’art. 1324 del c.c., siano applicabili anche agli atti unilaterali. Da ciò deriva che, in ossequio al costante orientamento della Cassazione, per cui l’interpretazione di un atto negoziale è un accertamento riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, anche l’interpretazione di un atto unilaterale non può essere oggetto dell’esame della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., n. 9127/2015; Cass. Civ., n. 1387/2009).

Poste tali premesse, la Corte ha comunque, evidenziato come, sulla base di un suo consolidato orientamento, “una promessa di donazione non è giuridicamente produttiva di un obbligo a contrarre, perché la coazione all’adempimento, cui il promittente sarebbe soggetto, contrasta con il requisito della spontaneità della donazione, il quale deve sussistere al momento del contratto” (Cass. Civ., SS.UU., n. 4153/1975; Cass. Civ., n. 14262/2017). La stessa sentenza n. 14262/2017 della Cassazione ha, peraltro, dichiarato come non sia possibile qualificare una cessione della proprietà di un bene come “preliminare di donazione”, pena la sua nullità, considerato che la donazione è un actus legitimus che non ammette preliminare.

Secondo gli Ermellini, dunque, l’interpretazione dell’atto redatto dal convenuto, fornita dalla Corte d’Appello, è da ritenere conforme alle generali norme ermeneutiche, non essendo, pertanto, censurabile eccependo una loro violazione. Corretto risulta, infatti, l’iter seguito dai giudici di secondo grado, i quali hanno attribuito rilevanza primaria alla parola “donare”, esaminandola, però, al contempo, alla luce dell’intero contenuto dell’atto.


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