L’ampio e diversificato ventaglio delle pene sostitutive di
pene detentive brevi delineato dalla legge delega n. 134 del 2021 impone di adottare soluzioni altamente innovative anche in sede processuale di cognizione. La legge delega attribuisce al giudice di merito il potere di sostituire la pena detentiva anticipando alla fase della cognizione, a titolo di vera e propria pena (anche se sostitutiva), alcune forme di esecuzione extra-carceraria che nell’ordinamento penitenziario vigente sono definite come “
misure alternative alla detenzione”.
Il giudice della cognizione, in altri termini, in caso di condanna a pena detentiva breve, è chiamato ad un compito ulteriore e nuovo rispetto agli schemi classici della commisurazione e applicazione della pena principale, ossia a valutare se non vi siano modelli sanzionatori, sostitutivi della pena detentiva, che contribuiscano in modo più adeguato alla
rieducazione del
condannato, purché assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che il condannato commetta altri reati.
Per adempiere a tale compito, tuttavia, il giudice ha bisogno di un bagaglio di informazioni ulteriori rispetto a quelle comunemente acquisite nel
giudizio di cognizione e per questo la legge delega ha previsto il coinvolgimento degli uffici di
esecuzione penale esterna.
In questa sede, ci si deve soffermare sul “luogo processuale”, in cui il giudice di cognizione deve decidere sull’eventuale sostituzione della pena detentiva breve con altra pena sostitutiva, acquisendo anche dagli uffici di esecuzione penale esterna gli elementi indispensabili alla selezione della pena sostitutiva più adeguata a contemperare le esigenze di risocializzazione costituzionalmente connesse alla sanzione penale (art.
27, comma 3, Cost.) con quelle retributive e special-preventive ad essa comunque connaturate. Non deve essere affatto trascurato in questa fase l’apporto responsabile e talvolta indispensabile della difesa del condannato, che – ove miri alla sostituzione della pena detentiva – ha il concreto interesse a fornire al giudice tutti gli elementi conoscitivi funzionali allo scopo.
Nel valutare i modi e soprattutto i tempi processuali del possibile innesto nel giudizio di cognizione dell’intervento dell’UEPE e delle parti, ci si trova di fronte a un bivio problematico.
In primo luogo, l’intervento dell’ufficio di esecuzione penale esterna non può essere anticipato al giudizio per una serie di inconvenienti insuperabili, che finirebbero per rendere l’attività dell’ufficio a posteriori superflua e vana: infatti, l’
imputato può essere alternativamente assolto o condannato a pena superiore a quattro anni o ancora a pena sospesa; oppure può opporsi alla sostituzione della pena o, ancora, richiederla ma risultare privo dei presupposti; o infine il giudice stesso può valutare all’esito del processo che il condannato non sia affatto meritevole di una pena sostitutiva.
In secondo luogo, non meno rilevante dal punto di vista giuridico processuale, il coinvolgimento previo dell’UEPE potrebbe apparire come una anticipazione del giudizio di condanna, soprattutto ove si concentri – come sarebbe teoricamente ragionevole – il ricorso all’UEPE solo nei giudizi in cui sia prevedibile una condanna inferiore a quattro anni. Non è percorribile nemmeno l’ipotesi contraria dell’indiscriminato coinvolgimento degli UEPE, che determinerebbe un dispendio di risorse disfunzionale e antieconomico (essendo opportuno che l’intervento degli UEPE – il cui ruolo è cruciale nel disegno riformatore – sia attivato solo quando utile e necessario).
Al fine di evitare le conseguenze inaccettabili sopra descritte ed eludere le controindicazioni giuridiche ed operative delle soluzioni delineate, si è ritenuto di collocare la decisione della sostituzione della pena in un momento successivo alla pubblicazione del
dispositivo mediante lettura, ai sensi dell’articolo
545 c.p.p., con possibilità di demandare ad un momento ulteriormente successivo l’integrazione del dispositivo, laddove si versi in un caso in cui è concretamente possibile disporre la sostituzione della pena detentiva breve.
In tal modo, si evitano contemporaneamente il rischio di anticipazione di giudizio di cui si è detto poco sopra ed il vano coinvolgimento dell’UEPE, che invece viene interpellato solo in caso di concreta percorribilità della sostituzione della pena.
Il meccanismo elaborato è ispirato al modello del
sentencing di matrice anglosassone, ma non è del tutto estraneo al nostro ordinamento, che lo conosce nei processi davanti al
giudice di pace (art. 33 d.lgs. n. 274 del 2000 che prevede che – in determinati casi - il giudice possa fissare una nuova udienza per svolgere alcuni accertamenti funzionali all’individuazione della pena più adeguata al caso concreto e – in quella successiva udienza, se ne ricorrono le condizioni – possa “
integrare il dispositivo”).
Solo dopo la pubblicazione del dispositivo (ai sensi del vigente art. 545, co. 1, c.p.p.) sia il giudice sia le parti sono in grado di effettuare una prima valutazione circa la possibile applicazione delle pene sostitutive. In quel momento, infatti, sono cristallizzati tutti i fattori della decisione: è nota la misura della pena principale inflitta (la cui entità determina l’applicabilità o meno delle pene sostitutive); è noto se la pena principale sia stata o meno sospesa (posto che le pene sostitutive si applicano solo in caso di mancata
sospensione condizionale della pena); è nota la
qualificazione giuridica ritenuta in sentenza ed è noto se – in caso di reati previsti dalla c.d. prima fascia dell’art.
4 bis, della legge 354 del 1975 – siano state o meno riconosciute determinate
attenuanti (in presenza delle quali possono essere disposte pene sostitutive di pene detentive brevi); e via seguitando.
Nel caso in cui non vi siano preclusioni circa la possibilità astratta di disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, al fine di dare evidenza alla possibilità di sostituzione della pena, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, è gravato dell’onere di dare avviso alle parti (nuovo art. 545
bis, co. 1, primo periodo, c.p.p.].
A questo punto, l’imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può acconsentire alla sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva diversa dalla
pena pecuniaria (nuovo art. 545
bis, co. 1, secondo periodo, c.p.p.).
Si ritiene opportuno che l’assenso all’applicazione di pene sostitutive diverse da quella pecuniaria sia atto personalissimo dell’imputato, da manifestare in modo esplicito (non essendo sufficiente un consenso o una “non opposizione” desunta dalla mera inerzia dell’imputato o del suo difensore), in ragione della rilevanza delle conseguenze che gravano sul condannato.
Con specifico riferimento alla condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, la “non opposizione” dell’imputato è richiesta dalla stessa legge delega. Che essa debba essere “atto personalissimo” (da compiere personalmente o a mezzo di procuratore speciale), da formalizzare in modo esplicito è conclusione che si impone per il fatto che la condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità comporta l’inappellabilità della
sentenza di primo grado e, dunque, di fatto, la rinuncia a quel grado di giudizio.
Pare dunque necessario – per esigenze di coerenza sistematica – che l’assenso alla sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità sia formalizzato in modi coerenti a quelli previsti dalle disposizioni che regolamentano la rinuncia all’
impugnazione (cfr. art.
589 c.p.p., nel testo oggi vigente).
La necessità che l’imputato – personalmente o a mezzo di procuratore speciale – renda esplicito l’assenso alla sostituzione della pena principale con la semilibertà o la detenzione domiciliare, oltre a dare coerenza all’impianto, si fonda, invece, su altre ragioni.
La mancata introduzione dell’
affidamento in prova al servizio sociale nel novero delle pene sostitutive, da parte della legge delega, comporta il rischio che possano determinarsi irragionevoli disparità di trattamento tra persone condannate: una
persona condannata per reati comuni alla pena di tre anni di reclusione non sostituita, riceverà notifica dell’ordine di esecuzione e contestuale decreto di sospensione dello stesso, con possibilità di richiedere l’affidamento in prova al servizio sociale (come oggi prevede l’art.
656 c.p.p.); una persona condannata alla stessa pena ma sostituita – in ipotesi – con tre anni di detenzione domiciliare, invece, vedrebbe la
sentenza irrevocabile diventare immediatamente esecutiva.
Infatti, in punto di esecuzione delle pene sostitutive, si è optato per l’immediata esecutività della pena, come disciplinata dai novellati articoli 62 e 63 l. n. 689 del 1981, ritenendo che alle pene sostitutive non debba essere applicato il meccanismo sospensivo analogo a quello previsto dall’art. 656 c.p.p.
Si è voluto, infatti, dare immediata effettività al meccanismo delle pene sostitutive (per le quali è esclusa anche la sospensione condizionale della pena ex artt.
163 ss. c.p.); garantire il più celermente possibile l’avvio dell’attività di risocializzazione che, con le pene sostitutive, si intende favorire; scongiurare il riprodursi – anche per le pene sostitutive – del fenomeno dei c.d. “liberi sospesi” che costituisce, come noto, uno dei fattori di più grave rallentamento dell’esecuzione penale.
Lo strumento che è funzionale ad evitare possibili censure di legittimità costituzionale è legato ad un elemento di consenso promanante dall’imputato all’applicazione delle pene sostitutive: l’imputato acconsente alla sostituzione della pena principale con una pena sostitutiva (semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità) e con tale atto, nel caso la condanna diventi irrevocabile, accetta sia il fatto che detta pena sarà immediatamente eseguita, sia il fatto che – in caso di semilibertà e di detenzione domiciliare sostitutive – l’affidamento in prova non possa essere richiesto subito, ma dopo un certo lasso di tempo, come previsto dal nuovo comma 3
ter dell’art.
47 legge 26 luglio 1975 n. 354.
Per tale ragione – anche con riferimento alle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare – si ritiene che l’assenso debba essere esplicito e provenire direttamente dall’imputato o dal suo procuratore speciale.
Nulla esclude, ovviamente, che l’imputato possa acconsentire ad alcune soltanto delle pene sostitutive (può darsi il caso di chi acconsenta alla sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità o con la detenzione domiciliare, dichiarando invece di non acconsentire alla sostituzione della pena principale con quella della semilibertà).
A questo punto, il giudice, verificata la astratta possibilità di sostituire la pena principale e acquisito l’assenso dell’imputato, sentito il
pubblico ministero, ha di fronte due possibilità:
a) se vi sono già gli elementi necessari per decidere sulla sostituzione della pena principale, il giudice decide immediatamente; e la decisione immediata può anche essere di rigetto della eventuale istanza di sostituzione della pena, ove il giudice ritenga in radice di non possedere gli elementi per la sostituzione, come in caso di pericolosità conclamata;
b) se tali elementi non vi sono, il giudice fissa una nuova udienza non oltre sessanta giorni, per acquisire dall’ufficio esecuzione penale esterna e dalla
polizia giudiziaria, se del caso, le necessarie informazioni utili alla decisione sulla pena sostitutiva più adeguata al caso concreto (nuovo art. 545
bis, co. 1, terzo periodo, e co. 2, c.p.p.). In tal caso il processo è sospeso, anche agli effetti dell’art.
159 c.p. in tema di decorso del termine di
prescrizione del reato.
Nello stesso termine, il giudice può verificare i presupposti eventuali per disporre, con la pena sostitutiva ed a titolo di prescrizioni, percorsi terapeutici analoghi a quelli previsti dall’art.
94 DPR n. 309 del 1990. Anche questa previsione ha carattere innovativo, poiché in assenza di previsioni di affidamento in prova e meno ancora di affidamento in casi particolari, si è posto il problema non solo di non discriminare, ma anzi di favorire l’accesso alle pene sostitutive anche ai condannati affetti da dipendenze patologiche.
Per coerenza, i soggetti legittimati a fornire la documentazione necessaria e il programma terapeutico sono gli stessi di quelli contemplati dall’art. 94 DPR n. 309 del 1990.
Inoltre, alle dipendenze classiche da alcol o da sostanze, si è ritenuto di aggiungere la dipendenza patologica da gioco d’azzardo, che è riconosciuta dal Servizio Sanitario Nazionale e fa parte dei compiti dei Servizi territoriali per le dipendenze.
Una volta acquisite le predette informazioni e ricevuto dall’UEPE la proposta di programma trattamentale, il giudice – all’udienza fissata per l’eventuale sostituzione della pena principale – assume le definitive determinazioni sul trattamento sanzionatorio e «
se sostituisce la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti».
Se, invece, le informazioni raccolte dimostrano che non è possibile disporre la sostituzione della pena principale con una pena sostitutiva, il giudice «
conferma il dispositivo».
In entrambi i casi, il giudice pubblica la decisione mediante lettura del dispositivo come integrato o confermato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 545 c.p.p. (nuovo art. 545
bis, co. 3, c.p.p.).
Nella stessa fase, è previsto anche l’intervento della difesa e del pubblico ministero, che si possono rendere parte diligente, depositando documentazione all’ufficio di esecuzione penale esterna e fino a cinque giorni prima dell’udienza presentando memorie in cancelleria.
La norma è espressione della valorizzazione dell’apporto delle parti, ed in modo particolare della difesa, che vengono chiamate a contribuire alla più adeguata risposta sanzionatoria al reato, in rapporto alle esigenze di individualizzazione del trattamento che discendono dall’art. 27, co. 3 Cost.
Sono state, dunque, previste due norme tecniche di raccordo tra la pubblicazione del dispositivo mediate lettura ed il nuovo dispositivo integrato con la pena sostitutiva o confermato nella pena detentiva. Al termine dell’udienza c.d. di
sentencing, si precisa che del dispositivo integrato o confermato è data lettura in udienza ai sensi e per gli effetti dell’articolo 545. In tal modo, si vuole rendere chiaro, ad ogni effetto ma soprattutto ai fini del decorso dei termini per l’impugnazione, che il giudice deve dare nuova lettura del secondo dispositivo e che il
dies a quo è quello della lettura di quest’ultimo, qualunque contenuto esso abbia.
Si introduce, inoltre, una norma di raccordo con la disciplina della motivazione contestuale, la cui pubblicazione ovviamente deve essere differita alla lettura del secondo dispositivo, per cui si è stabilito che "
quando il processo è sospeso ai sensi del primo comma, la lettura della motivazione redatta a norma dell’articolo 544 comma 1 segue quella del dispositivo integrato o confermato e può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva".
Si è infine chiarito che, quanto alla motivazione non contestuale, "
i termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dalla lettura del dispositivo, confermato o integrato, di cui al comma 3". Il meccanismo appena descritto è funzionale ad impiegare le risorse necessarie all’elaborazione del programma trattamentale e all’individuazione della giusta pena sostitutiva solo allorché necessario.
Esso determina – con la sospensione del processo e un rinvio di sessanta giorni per la definitiva determinazione della pena – una dilatazione dei tempi processuali solo apparente: infatti, da un lato, il tempo speso per l’individuazione della giusta pena sostitutiva – collocato in una prospettiva di sistema e non parcellizzata alla singola fase processuale – assicura un risparmio di tempi nella fase esecutiva (limitando il dilatarsi del fenomeno dei c.d. liberi sospesi, ex art. 656 c.p.p.); dall’altro lato, il meccanismo immaginato potrà ampliare il numero di casi in cui la pena principale sarà sostituita con il lavoro di pubblica utilità (con contenimento del numero di giudizi di appello) o comunque con un trattamento sanzionatorio più “tagliato su misura” e quindi più accettabile dal condannato, che ha meno ragioni sostanziali e soprattutto meno interesse a interporre impugnazioni.
L’introduzione del meccanismo per la determinazione della pena sostitutiva con un’udienza
ad hoc nel giudizio ordinario si applica direttamente anche al
giudizio abbreviato, la cui disciplina rinvia integralmente alle norme di cui agli artt.
529 e ss. c.p.p.
Deve invece coordinarsi con la disciplina del giudizio a
citazione diretta dell’imputato di fronte al tribunale in composizione monocratica ed in particolare con l’udienza predibattimentale, di cui al nuovo art.
555 c.p.p., come riformulato alla luce della presente legge delega. Inoltre, analoghe esigenze di coordinamento giustificano l’introduzione del comma 1
bis nel corpo dell’art.
448 c.p.p. per i casi tipici ed atipici di
applicazione della pena su richiesta. Per tali casi, si rinvia alle relazioni specifiche agli artt. 448 e
555 c.p.p.