Cass. pen. n. 20863/2011
Il difensore che abbia ottenuto il rinvio dell'udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto a ricevere l'avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data nell'ordinanza di rinvio, posto che, nel caso contrario, l'avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione e presente alla pronuncia dell'ordinanza, a nulla rilevando che il giudice abbia, comunque, disposto la comunicazione della data della nuova udienza. (Nel caso di specie la comunicazione della data dell'udienza di rinvio era stata erroneamente indirizzata ad uno dei difensori precedentemente revocato).
Cass. pen. n. 42058/2010
In tema di termine per il deposito della lista testimoniale, nell'ipotesi in cui sia disposto il rinvio del dibattimento a udienza fissa prima che sia esaurita la fase degli atti introduttivi è consentito il deposito di nuova lista testimoniale, in quanto tale rinvio va equiparato a quello a nuovo ruolo, comportando l'obbligo del rinnovo della citazione a giudizio, di cui tiene luogo, per i presenti, l'avviso orale della nuova udienza. (La Corte ha chiarito che in tale ipotesi le parti riacquistano interamente i diritti non espressamente esclusi da precise disposizioni normative e, quindi, anche quello di depositare la lista dei testi antecedentemente alla udienza di rinvio, in relazione alla quale va computato il relativo termine finale). (Rigetta, App. Lecce, 9/10/2009).
Cass. pen. n. 36609/2010
La rinuncia a comparire all'udienza da parte del detenuto produce i suoi effetti non solo per l'udienza in relazione alla quale essa è formulata, ma anche per quelle successive, fissate a seguito di rinvio a udienza fissa, fino a quando questi non manifesti la volontà di essere tradotto. A tutti gli effetti l'imputato che rinuncia a comparire è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato dal difensore. (Rigetta in parte, App. Napoli, 19 febbraio 2009).
Cass. pen. n. 24240/2010
Non deve essere notificato all'imputato ritualmente citato e non comparso l'avviso del rinvio in prosecuzione del dibattimento ad altra udienza, essendo egli rappresentato in giudizio dal difensore. (Rigetta, App. Lecce, sez. dist. Gallipoli, 08 aprile 2008).
Cass. pen. n. 40059/2009
Attesa la diversità di funzioni tra l'art. 477 c.p.p., che prevede la sospensione del dibattimento quando questo non possa esaurirsi in un'unica udienza, e l'art. 304 c.p.p., che disciplina i casi di sospensione dei termini di custodia cautelare, deve escludersi che, in caso di rinvio chiesto dalla difesa, la durata della suddetta sospensione dei termini debba essere contenuta entro il limite di dieci giorni (peraltro meramente ordinatorio) stabilito dal citato art. 477.
Cass. pen. n. 22687/2005
Integra il reato di falsità in scrittura privata, punibile a querela della persona offesa, la formazione della falsa dichiarazione, redatta da un privato ai sensi dell'art. 31 Reg. di polizia veterinaria, nella quale si faccia apparire, come proveniente da un terzo, la attestazione che questi aveva detenuto un capo bovino destinato poi al trasporto. (In motivazione la Corte ha escluso che fosse ravvisabile il reato di falsità materiale in certificati o autorizzazioni amministrative di cui all'art. 477 c.p., non essendo la dichiarazione in questione espressione di un pubblico potere di certificazione o autorizzazione).
Cass. pen. n. 857/2004
Non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra la sentenza e l'accusa contestata ove l'imputato di furto sia ritenuto colpevole invece del delitto di ricettazione in quanto il contenuto essenziale di questa seconda imputazione deve ritenersi compreso nella piú ampia previsione dell'originaria contestazione di furto.
Cass. pen. n. 14088/1999
Poiché la nozione processuale di udienza si riferisce alla durata giornaliera dell'attività svolta alla presenza delle parti nel singolo procedimento e non può essere fatta coincidere con quella di dibattimento, la quale corrisponde a tutta la fase processuale attraverso cui ha luogo il giudizio, alla rinuncia dell'imputato detenuto ad essere presente in udienza non può attribuirsi, salvo che ciò non risulti espressamente, il significato di rinuncia a presenziare all'intero dibattimento; ne deriva che, ove il giudizio non si esaurisca nell'udienza alla cui partecipazione l'imputato ha rinunciato, il giudice ha l'obbligo, sanzionato a pena di nullità, di assicurarne l'intervento a quelle successive, disponendone la traduzione.
Cass. pen. n. 424/1998
In virtù della disposizione di cui alla seconda parte del capoverso dell'art. 38 c.p.p., ad udienza conclusa non è più ricusabile il giudice per il quale la causa di incompatibilità è sorta o è divenuta nota durante l'udienza medesima. Il concetto di udienza corrisponde a quello di unità quotidiana del lavoro svolto alla presenza delle parti nel singolo procedimento, che può esaurirsi in una sola udienza ovvero protrarsi per più udienze, sino alla chiusura del dibattimento. A tale definizione del concetto di udienza, del resto, si perviene anche in virtù dell'argomento testuale, specifico, dell'art. 477, comma primo, c.p.p., che espressamente prevede, per il dibattimento che non è assolutamente possibile esaurire in una «sola» udienza, che esso venga proseguito in udienze successive nei giorni seguenti; nonché dell'art. 486, comma secondo, stesso codice, che pure considera le udienze successive alla prima.
Cass. pen. n. 5502/1996
Il rinvio in prosecuzione del processo ad altra udienza non comporta l'obbligo di notificare all'imputato ritualmente citato e non comparso il relativo avviso essendo egli rappresentato in giudizio dal suo difensore. Tale principio desumibile dagli artt. 148 comma 5 e 477 comma 3 c.p.p. è fissato per il dibattimento dagli artt. 487 e 488 comma 2, ma è di portata generale e si applica anche al giudizio di impugnazione avverso una sentenza pronunciata in primo grado con rito abbreviato ai sensi dell'art. 247 delle disposizioni transitorie.
Cass. pen. n. 1192/1996
A legittimare l'esercizio del potere discrezionale del giudice di sospendere i termini massimi di durata della custodia cautelare (art. 304, comma 2, c.p.p.) non è sufficiente il richiamo ad una generica complessità del dibattimento che possa essere fronteggiato con i normali mezzi processuali, contenendo i rinvii e le sospensioni del dibattimento nei limiti fissati dall'art. 477 c.p.p., in modo da rendere possibile la conclusione del processo prima della scadenza dei termini suddetti. Al fine in questione occorre invero che vengano indicati fatti concreti e specifici relativi alla situazione processuale risultante dal dibattimento a seguito di adeguata valutazione degli atti processuali a sua disposizione, prescindendo da elementi estranei al giudizio (quali ad esempio l'indisponibilità dell'aula) il giudice deve cioè concludere nel senso che il processo non possa essere definito, anche rispettando i tempi di cui all'art. 477 c.p.p., nel termine previsto dall'art. 303 c.p.p. per la fase processuale del giudizio.
Cass. pen. n. 888/1994
I termini stabiliti nell'art. 477 c.p.p. hanno carattere meramente ordinatorio, onde la loro inosservanza non determina alcuna nullità o decadenza, né spiega influenza sulla sospensione ex art. 304, primo comma, stesso codice. Ed invero, se è indubbio che il giudice è tenuto ad osservare detti termini e che tale dovere assume caratteri più marcati quando la durata del processo si riflette su quella di misure cautelari restrittive della libertà personale, è non di meno certo che il rispetto dei termini in esame non può essere disgiunto dalla valutazione dell'attività che globalmente grava sull'ufficio giudiziario, la cui entità non sempre consente lo svolgimento del procedimento con le cadenze temporali prefigurate dal citato art. 477.