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Articolo 371 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero

Dispositivo dell'art. 371 Codice di procedura penale

1. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono altresì procedere, congiuntamente, al compimento di specifici atti [117](1).

2. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate:

  1. a) se i procedimenti sono connessi a norma dell'articolo 12(2);
  2. b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza(3);
  3. c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte.

3. Salvo quanto disposto dall'articolo 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza(4).

Note

(1) Quindi, quando le indagini svolte dai diversi uffici del P.M. possono dirsi collegate ai sensi del comma secondo, vige tra questi un'obbligo di coordinamento investigativo.
(2) Tale lettera è stata modificata dall'art. 1, comma 4, della l. 1 marzo 2001, n. 63, che ha soppresso le parole: “ovvero si tratta di reato continuato o di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre”.
(3) La lettera in esame è stata così sostituita dall'art. 1, comma 5, della l. 1 marzo 2001, n. 63.
(4) Quando più uffici del pubblico ministero procedono a indagini collegate, i procuratori della Repubblica ne danno notizia al procuratore generale del rispettivo distretto ex art. 118 bis disp. att. del presente codice.

Ratio Legis

Il legislatore ha qui considerato l'ipotesi in cui il P.M. debba estendere il proprio orizzonte cognitivo anche ad altri fatti illeciti, legati al fatto di reato su cui sta concentrando l'attenzione investigativa da vincoli di natura probatoria di vario genere o maturati nel medesimo contesto criminoso.

Spiegazione dell'art. 371 Codice di procedura penale

Accade spesso che le esigenze investigative determinino la necessità che il pubblico ministero prenda cognizione anche di altri fatti illeciti, diversi da quelli per cui sta svolgendo direttamente attività di indagine.

La norma in esame disciplina le ipotesi in cui i reati collegati siano di competenza di altro giudice.

Competenti a giudicare i fatti di reato probatoriamente collegati, ai sensi del vigente codice, rimangono i giudici individuati sulla base delle ordinarie regole di determinazione della competenza per materia e per territorio, mentre a svolgere le indagini sono i corrispondenti uffici del pubblico ministero.

Tali uffici sono però tenuti a coordinarsi tra loro per esigenze di speditezza, economia ed efficacia delle indagini, senza che ciò determini alcun effetto sulla competenza. Essi provvedono inoltre allo scambio di informazioni e di atti, nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono anche procedere congiuntamente al compimento di specifici atti di indagine.

L'obbligo di coordinamento investigativo scatta nei casi di indagini collegate, ovvero quando:

  • i procedimenti sono connessi ai sensi dell'art. 12;

  • se trattasi di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguire o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo o il prodotto o l'impunità, se trattasi di reati commessi reciprocamente in danno le une delle altre parti, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza;

  • se la prova di più reati derivi dalla stessa fonte.

Qualora, per mera inerzia degli organi investigativi, il coordinamento non è stato promosso o non risulta effettivo, procuratore generale della corte di appello può riunire i p.m. procedenti ed invitarli a rispettare l'obbligo di cooperazione.

In caso di ulteriore inerzia, il procuratore generale, nei casi previsti dall'art. 372 può disporre l'avocazione delle indagini.

Massime relative all'art. 371 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 9989/2018

In tema di sequestro probatorio, non rileva l'incompetenza del pubblico ministero in quanto la competenza dell'organo requirente in fase di indagini preliminari costituisce un mero criterio di organizzazione del lavoro investigativo, che assume rilievo giuridico soltanto nei rapporti tra uffici del pubblico ministero e non inficia la validità degli atti compiuti dal P.M. dichiarato "incompetente", sicché nel caso in cui siano stati conclusi protocolli operativi tra procure, che possono costituire una forma di coordinamento investigativo ex art. 371 cod. proc. pen., non rilevano questioni di competenza, potendo il mancato coordinamento essere esclusivamente oggetto di avocazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello ex art. 372, comma primo bis, cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 24570/2015

In tema di incompatibilità a testimoniare, il collegamento probatorio di cui all'art. 371, comma secondo, lett. b) cod. proc. pen. - che determina l'incompatibilità con l'ufficio di testimone di cui all'art. 197, comma primo, lett. b) cod. proc. pen. e la conseguente necessità di acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni ex art. 192 cod. proc. pen. - ricorre soltanto quando nei diversi procedimenti sussiste l'identità del fatto o di uno degli elementi di prova ovvero quando è ravvisabile la diretta rilevanza di uno degli elementi di prova acquisiti in un procedimento su uno dei reati oggetto dell'altro procedimento. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la qualifica di imputato in procedimento connesso con riferimento alla persona offesa di un'estorsione aggravata dall'art. 7, D.L. n. 152 del 1991, la quale era imputata in altro processo del reato di partecipazione ad associazione mafiosa contrapposta a quella di appartenenza del presunto autore dell'estorsione).

Cass. pen. n. 10445/2012

Il rapporto di connessione probatoria di cui all'art. 371, comma secondo, lett. b) c.p.p., è ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in relazione ad una molteplicità di illeciti penali e non quando semplicemente la prova dei reati connessi discenda dalla medesima fonte.

Cass. pen. n. 37321/2008

La connessione probatoria di cui all'art. 371, comma secondo lett. b), c.p.p., tale da determinare l'incompatibilità con l'ufficio di testimone di cui all'art. 197, comma primo lett. b), c.p.p., deve riferirsi ad elementi oggettivi di modo che l'accertamento di un reato sia destinato ad influire su quello degli altri ; essa, pertanto, non può discendere dal solo stato d'imputato di un reato in danno della persona nei confronti della quale si procede, essendo ravvisabile soltanto in costanza di un diretto e concreto rapporto di connessione probatoria tra il processo in trattazione e il procedimento in cui il dichiarante è stato o è sottoposto, ossia allorquando il collegamento probatorio tra i procedimenti sia oggettivamente fondato sull'identità del fatto ovvero sull'identità o sulla diretta rilevanza di uno egli elementi di prova dei reati oggetto dei procedimenti stessi.

Cass. pen. n. 23894/2006

La connessione probatoria di cui all'art. 371, comma secondo, lett. b), c.p.p., tale da determinare l'incompatibilità con l'ufficio di testimone di cui all'art. 197, comma primo lett. b), c.p.p., deve riferirsi ad elementi oggettivi di modo che l'accertamento dell'uno sia destinato ad influire su quello degli altri, non potendosi fare discendere dal solo stato di imputato di un reato in danno della persona nei confronti della quale si procede.

Cass. pen. n. 9540/2006

L'inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti, ai sensi dell'art. 63 comma secondo c.p.p., opera soltanto quando si tratta di dichiarazioni rese da un soggetto nei cui confronti sussistevano, fin dall'inizio, indizi in ordine al medesimo reato, a un reato connesso (ex art. 12 comma primo lett. a) e c) c.p.p.) oppure a un reato collegato (ex art. 371 comma secondo lett. b) c.p.p.) con quello attribuito nelle dichiarazioni a un terzo, in quanto solo in tali casi al soggetto dichiarante è riconosciuto il diritto a non rendere tali dichiarazioni auto — e etero-indizianti, sussistendo l'incompatibilità a ricoprire l'ufficio di testimone.

Cass. pen. n. 15789/2005

Il delitto di subornazione, per la cui configurabilità è richiesta la priorità dell'assunzione della qualifica di testimone rispetto alla messa in atto della condotta subornatrice, ricorre anche nell'ipotesi in cui tale condotta sia posta in essere nei confronti di colui che abbia già reso la propria deposizione in quanto la qualità di teste cessa nel momento in cui il processo esaurisce definitivamente il suo corso e non nel momento in cui ha termine la deposizione, ben potendo il teste già sentito essere ulteriormente escusso nella stessa fase ovvero in quella successiva del procedimento (principio riaffermato, nella specie, con riguardo a condotta subornatrice posta in essere nei confronti di soggetto che era già stato sentito dal P.M. come persona informata sui fatti).

Cass. pen. n. 13308/2004

Sussiste il collegamento probatorio previsto dall'art. 371, comma secondo, lett. b) c.p.p., che dà luogo all'incompatibilità con l'ufficio di testimone ai sensi dell'art. 197 lett. a) c.p.p., allorché vi sia anche un semplice rapporto di influenza di una prova, intesa come elemento di giudizio o di valutazione, su di un'altra prova. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto non punibile a norma dell'art. 384 c.p. per il reato di falsa testimonianza il ricorrente che, sentito come testimone in un procedimento per oltraggio nei confronti di pubblico ufficiale, aveva confessato di aver anch'egli insultato quest'ultimo, sul rilievo che, avendo assunto la qualità di persona indagata per un reato probatoriamente collegato, non poteva più essere ulteriormente esaminato come teste).

Cass. pen. n. 7258/1998

L'esistenza del «collegamento» fra indagini, che consente la trasmissione e lo scambio di atti tra procure diverse, non abbisogna di alcuna formale dichiarazione poiché, quando ci si trovi in presenza dei presupposti indicati dall'art. 371 c.p.p., le indagini di diversi uffici del pubblico ministero «si considerano collegate», con tutti gli effetti che ne conseguono.

Cass. pen. n. 11265/1995

In tema di valutazione delle prove, l'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. ha riconosciuto alle dichiarazioni rese dal coimputato di un medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ex art. 12, o di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso di cui all'art. 371, comma 2, lettera b), c.p.p., valore di prova, e non di mero indizio, e ha stabilito che esse debbano trovare riscontro in altri elementi o dati probatori, che possono essere di qualsiasi tipo e natura, e persino in altra chiamata in correità convergente.

Cass. pen. n. 9432/1994

Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni rese dall'imputato o dall'indagato nel corso del procedimento (art. 62 c.p.p.) opera anche nei confronti dei soggetti imputati o indagati per reato connesso o collegato, di cui agli artt. 12 e 371 lett. b) c.p.p.

Cass. pen. n. 617/1994

Le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale sono esercitate dall'unico ufficio del procuratore della Repubblica presso lo stesso tribunale, ufficio che, in quanto costituito nel capoluogo del distretto di corte d'appello, comprende nel suo ambito la direzione distrettuale antimafia con i magistrati che vi sono designati (o applicati temporaneamente). Ne consegue che nessuna rilevanza esterna o processuale (in particolare ai fini della cosiddetta competenza, che riguarda propriamente gli organi giudicanti, o dell'attribuzione dell'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale) può assumere l'eventuale erronea provenienza di richiesta di proroga dei termini di custodia cautelare da parte di magistrato facente parte della direzione distrettuale antimafia.

Cass. pen. n. 1793/1994

La regola di giudizio prescritta dall'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p., si applica anche ai casi di connessione probatoria di cui all'art. 45, n. 4, c.p.p. del 1930.

Cass. pen. n. 1048/1992

L'art. 192, comma 3 e 4, c.p.p. non ha svalutato sul piano probatorio le dichiarazioni rese dal coimputato di un medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ex art. 12 c.p.p. o di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p. perché ha riconosciuto a tali dichiarazioni valore di prova e non di mero indizio e ha stabilito che esse debbano trovare riscontro in altri elementi o dati probatori che possono essere di qualsiasi tipo o natura.

Le dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371, comma 2 lett. b) c.p.p., da valutare unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, ai sensi dell'art. 192, comma 4, c.p.p., sono quelle rese da imputato di un reato che sia collegato a quello per cui si procede con un vero e proprio rapporto di connessione probatoria, ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in rapporto ad una molteplicità di illeciti penali, tutti contemporaneamente da esso dipendenti per quanto attiene alla prova della loro esistenza ed a quella della relativa responsabilità, o quando gli elementi probatori rilevanti per l'accertamento di un reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un procedimento, spieghino una qualsiasi influenza sull'accertamento di un altro reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un diverso procedimento.

Cass. pen. n. 2477/1990

L'art. 192 comma 3 del nuovo codice di procedura penale, che impone di valutare la chiamata di correo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, è di immediata applicazione anche nel giudizio di Cassazione, pure per quei procedimenti che proseguono con le norme anteriormente vigenti. Pertanto la Corte di cassazione ha l'obbligo di annullare con rinvio quelle sentenze che, pur se di data anteriore al 24 ottobre 1989, abbiano valutato come attendibile la chiamata di correo in assenza di qualsivoglia riscontro esterno. Le dichiarazioni rese da coimputato del medesimo reato (o da persona imputata nei casi di cui all'art. 371 lett. b c.p.p.) hanno valore di prova, ma il giudizio di attendibilità su di esse necessita di un riscontro esterno. Ne consegue che non possono essere utilizzate da sole, ma possono essere valutate congiuntamente con qualsiasi altro elemento di prova, di qualsivoglia tipo e natura, idoneo a confermarne l'attendibilità.

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