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Articolo 350 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 04/10/2024]

Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini

Dispositivo dell'art. 350 Codice di procedura penale

1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria assumono, con le modalità previste dall'articolo 64(1), sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini [61] che non si trovi in stato di arresto [380, 381] o di fermo a norma dell'articolo 384, e nei casi di cui all'articolo 384 bis(2).

2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia [96] e, in difetto, provvede a norma dell'articolo 97 comma 3.

3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la polizia giudiziaria dà tempestivo avviso. Il difensore ha l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto [179].

4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di provvedere a norma dell'articolo 97 comma 4.

4-bis. Quando la persona sottoposta alle indagini e il difensore vi consentono, il pubblico ministero, su richiesta della polizia giudiziaria, può autorizzare lo svolgimento dell'atto a distanza. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 133 ter(6).

5. Sul luogo o nell'immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere notizie e indicazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o fermata a norma dell'articolo 384, quando ciò è imposto dalla necessità di evitare un imminente pericolo per la libertà, l'integrità fisica o la vita di una persona, oppure dalla necessità di compiere attività indispensabili al fine di evitare una grave compromissione delle indagini(7).

6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione [191].

7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento [191, 513, 514](4), salvo quanto previsto dall'articolo 503 comma 3(5).

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE***
(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)


[omissis]
4-bis. Quando la persona sottoposta alle indagini e il difensore vi consentono, il pubblico ministero, su richiesta della polizia giudiziaria, può autorizzare lo svolgimento dell’atto a distanza. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 133-ter.
[omissis]

__________________

(1) Non è prevista invece l'applicabilità dell'art. 65, il che significa che l'ufficiale di P.G. non è tenuto a contestare all'indagato il fatto addebitatogli e a rendergli noti gli elementi di prova a carico.
(2) Il riferimento all'art. [[n384 biscpp]] è stato inserito dall’art. 2, comma 1, lett. b-bis), D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119.
(3) La locuzione "sul luogo o nell'immediatezza del fatto" va intesa nel senso come "nel luogo e nell'immediatezza del fatto", non potendo la P.G. condurre l'indagato sul locus commissi deliciti in qualsiasi momento delle indagini preliminari per ottenere le indicazioni di cui a questo comma.
(4) Va precisato che l'espressa menzione del dibattimento, rende invece lecito l'utilizzo di tali sommarie informazioni nei procedimenti privi di tale fase, come ad esempio nel giudizio abbreviato, che si svolge presso il giudice dell'udienza preliminare.
(5) L'ultimo comma è stato così sostituito dall'art. 4, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella l. 7 agosto 1992, n. 356. Prima di tale modifica, la Corte costituzioanle, con sent. 12 giugno 1991, n. 259, ne aveva dichiarato l'illegittimità, limitatamente all'inciso "salvo quanto previsto dall'articolo 503 comma 3".
(6) Comma inserito dall'art. 17, co. 1, lett. b) del D.Lgs. 10 ottobre 2022 (c.d. "Riforma Cartabia").
(7) Il comma 5 è stato modificato dall'art. 3, comma 1, lettera b) del D.L. 16 settembre 2024, n. 131.

Ratio Legis

Tra le attività investigative tipiche della polizia giudiziaria, il legislatore ricomprende l’assunzione di sommarie informazioni dall’indagato.

Spiegazione dell'art. 350 Codice di procedura penale

L’art. 350 c.p.p. disciplina l’assunzione di sommarie informazioni rese dall’indagato.

Il codice di procedura penale distingue tre diverse modalità di assunzione delle sommarie informazioni dall’indagato. In modo specifico:
  1. informazioni rese in presenza del difensore (art. 350, commi da 1 a 4-bis c.p.p.);
  2. informazioni rese sul luogo o nell’immediatezza del fatto (art. 350, commi 5 e 6 c.p.p.);
  3. dichiarazioni spontanee dell’indagato (art. 350, comma 7 c.p.p.).

Con riguardo alla prima modalità di ascolto (sommarie informazioni con la presenza del difensore), il comma 1 dell’art. 350 c.p.p. stabilisce che l’ufficiale di polizia giudiziaria (non un semplice agente) assume sommarie informazioni dall’indagato.

A tal fine, è necessaria la sussistenza dei requisiti previsti per l’interrogatorio delegato di cui al comma 1 dell’art. 370 del c.p.p.:
La polizia giudiziaria dà tempestivo avviso al difensore e questi ha l’obbligo di presenziare al compimento dell’atto. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di provvedere a nominare, come sostituto, un difensore d’ufficio immediatamente reperibile (a norma del comma 4 dell’art. 97 del c.p.p.).

Il comma 1 dell’art. 350 c.p.p. precisa che le sommarie informazioni sono assunte con le modalità e con gli avvertimenti previsti dall'art. 64 del c.p.p.. Quindi, prima che abbia inizio l'atto, la persona deve ricevere questi avvertimenti:
  1. le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
  2. salvo quanto disposto dall’art. 66, comma 1 c.p.p. ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;
  3. se renderà dichiarazioni su fatti relativi la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, la qualifica di testimone, salve le incompatibilità ex art. 197 del c.p.p. e le garanzie per la testimonianza assistita di cui all’art. 197 bis del c.p.p..

Non è invece prevista l’applicabilità dell’art. 65 del c.p.p.: quindi, l’ufficiale di polizia giudiziaria non è tenuto a contestare all’indagato il fatto addebitatogli e a rendergli noti gli elementi di prova a suo carico.

Peraltro, il nuovo comma 4-bis c.p.p. (introdotto dalla riforma Cartabia, d.lgs. n. 150 del 2022) ha previsto che, su richiesta della polizia giudiziaria, quando l’indagato e il difensore vi consentono, il pubblico ministero può autorizzare lo svolgimento dell’atto a distanza.
Il legislatore ha previsto questa possibilità per garantire l’efficacia e l’efficienza delle indagini.

In questo caso, le dichiarazioni rese dall’indagato con tale prima modalità (in presenza del difensore) non possono essere utilizzate in dibattimento ai fini della decisione. Tali dichiarazioni potranno essere utilizzate soltanto per le contestazioni ai fini della verifica di credibilità dell’imputato (comma 4 dell’art. 503 del c.p.p.).

Con riguardo alla seconda modalità di ascolto (sommarie informazioni sul luogo o nell’immediatezza del fatto), il comma 5 dell’art. 350 c.p.p. stabilisce che, sul luogo o nell'immediatezza del fatto, l’ufficiale di polizia giudiziaria può, anche senza la presenza del difensore, assumere informazioni dall’indagato, anche se arrestato in flagranza (art. 380 del c.p.p. e art. 381 del c.p.p.) o fermato (art. 384 del c.p.p.). Però, deve trattarsi di notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini.
In questo caso, ai sensi del comma 6, c’è il divieto di documentazione e utilizzazione delle dichiarazioni rese dall’indagato in assenza del difensore.

Con riguardo alla terza modalità di ascolto (dichiarazioni spontanee), il comma 7 dell’art. 350 c.p.p. disciplina l'ipotesi in cui l'indagato rende spontaneamente dichiarazioni. Anche in tal caso, non è richiesta la necessaria presenza del difensore e comunque non è possibile l'utilizzazione in dibattimento, salvo che per le contestazioni ai fini della verifica della credibilità dell’imputato (comma 3 dell’art. 503 del c.p.p.).

Massime relative all'art. 350 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 14320/2018

Sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell'incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350, comma 7, cod. proc. pen., purché emerga con chiarezza che l'indagato ha scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione.

Cass. pen. n. 26246/2017

L'art. 350, comma 7, c.p.p., nel consentire l'utilizzabilità, salvo che nel dibattimento, delle dichiarazioni rese spontaneamente (e non, quindi, a seguito di sollecitazione) dalla persona sottoposta a indagini che si trovi in stato di libertà, pur in assenza del difensore e senza l'osservanza degli adempimenti di cui agli artt. 63 e 64 c.p.p., non si pone in contrasto né con l'art. 3 della Direttiva europea 2012/13/UE, recepita in Italia con il D.L.vo n. 101/2014, che si limita alla generica previsione secondo cui alle persone indagate o imputate dev'essere “tempestivamente” fornita l'informazione circa il diritto di avvalersi di un avvocato ed il diritto di restare in silenzio, né con gli orientamenti espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con le sentenze 27 ottobre 2011, Stoycovic c. Francia e Belgio e 24 ottobre 2013, Navone ed altri c. Monaco, la prima delle quali riguardava un caso in cui le dichiarazioni erano state rese non spontaneamente ma su sollecitazione, in sede di rogatoria internazionale, e la seconda un caso in cui il dichiarante non si trovava in stato di libertà.

Cass. pen. n. 13917/2017

Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l'art. 350, comma settimo, cod. proc. pen. ne limita l'inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento.

Cass. pen. n. 44829/2014

Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l'art. 350, comma settimo, cod. proc. pen. ne limita l'inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento.

Cass. pen. n. 2627/2014

Le dichiarazioni rese dall'indagato, non possono essere ritenute "spontanee" solo perchè così qualificate dalla polizia giudiziaria che le ha raccolte, essendo invece necessario che il giudice accerti d'ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, l'effettiva natura libera e volontaria delle stesse, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata

Cass. pen. n. 27678/2013

Il carattere di spontaneità di una dichiarazione resa alla polizia giudiziaria da persona nei cui confronti vengono svolte indagini non può essere escluso per il solo fatto che furono rese a seguito di invito a presentarsi. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che l'invito impone la presentazione ad un ufficio di P.G., ma non di rendere dichiarazioni).

Cass. pen. n. 6962/2013

Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, senza assistenza difensiva, dalla persona sottoposta alle indagini sul luogo e nell'immediatezza del fatto durante l'esecuzione di una perquisizione domiciliare (nella specie finalizzata alla ricerca di sostanze stupefacenti).

Cass. pen. n. 21265/2012

Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato nei confronti dei chiamati in reità o in correità.

Cass. pen. n. 8675/2012

Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, anche se inserite in un verbale di perquisizione o sequestro e non in un altro autonomo verbale.

Cass. pen. n. 6355/2012

Le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, devono considerarsi acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nell'ipotesi di inutilizzabilità di cui all'art. 191 cod. proc. pen., con conseguente impossibilità che esse fondino l'emissione di una misura cautelare.

Cass. pen. n. 1150/2009

Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria, disciplinate dall'art. 350, comma settimo, c.p.p., sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari.

Cass. pen. n. 46040/2008

Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato nell'immediatezza del fatto e riferite nell'informativa confermata dal verbalizzante, pur se sollecitate dalla polizia giudiziaria, non sono assimilabili

Cass. pen. n. 41040/2008

La polizia giudiziaria, al fine di sviluppare le indagini in merito a quanto appreso, può utilizzare le dichiarazioni rese dall'indagato nell'immediatezza del fatto senza la presenza del difensore e sugli esiti di tali indagini, nonché sugli elementi raccolti a seguito delle indicazioni ricevute dall'indagato, è legittima l'acquisizione nel dibattimento della testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria che tali accertamenti ha svolto.

Cass. pen. n. 40050/2008

Nel giudizio abbreviato possono essere utilizzate nei confronti del coimputato, chiamato in reità o in correità, le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dal soggetto che ancora non ha formalmente assunto la qualità di sottoposto ad indagine, sia perché la richiesta del rito speciale costituisce un'implicita rinuncia al dibattimento e quindi all'esame in contraddittorio della persona che ha rilasciato le dichiarazioni spontanee, sia perché l'art. 350, comma settimo, c.p.p. ne preclude l'utilizzazione nella sola sede dibattimentale.

Cass. pen. n. 34151/2008

Alle dichiarazioni spontanee (art. 350 comma settimo c.p.p. ) del soggetto indagato non si applicano le disposizioni dell'art. 63, comma primo, c.p.p. e dell'art. 64, stesso codice, giacché l'una concerne l'esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini e l'altra, attiene all'interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni.

Cass. pen. n. 11526/2004

Le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria rientrano nel regime di utilizzabilità limitata previsto dall'art. 350, comma settimo c.p.p. non solo se provengono da chi ha acquistato la qualità di persona sottoposta ad indagini in senso formale, ma anche se sono rese da chi sia raggiunto da elementi concreti di colpevolezza che possano quanto meno far sospettare che si sia reso responsabile della consumazione del reato.

Cass. pen. n. 25922/2003

Anche nel giudizio abbreviato, le dichiarazioni spontanee rese da un indagato, nell'immediatezza dei fatti, ai sensi dell'art. 350 c.p.p., non possono costituire prova a carico di altro indagato.

Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato nei confronti dei chiamati in reità o in correità.

Nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese da un indagato nell'immediatezza dei fatti, ai sensi dell'art. 350 c.p.p., non possono costituire prova a carico di altro coindagato.

Cass. pen. n. 13623/2003

Sono inutilizzazibili le dichiarazioni “provocate” da un operatore della polizia giudiziaria il quale, dissimulando tale sua qualifica e funzione, rivolga domande inerenti ai fatti criminosi oggetto di indagine a chi appaia fin dall'inizio in tali fatti coinvolto quale indiziato di reità, allo scopo di ottenere dalla persona, già colpita da indizi di un reato, dichiarazioni che possono servire alla prova di questo e della relativa responsabilità. Ne consegue che di tali dichiarazioni non può tenersi conto non solo nei confronti di chi le ha rilasciate, ma anche nei confronti degli indagati per il medesimo fatto ovvero per fatti connessi o collegati, secondo quanto dispone l'art. 63, secondo comma c.p.p. e neppure può avere rilevanza il fatto che tali dichiarazioni siano state acquisite a dibattimento con il consenso delle parti, non avendo queste la disponibilità di rinunziare ad eccepire la sanzione di inutilizzabilità. (In motivazione, la Corte ha osservato che non è consentito alla polizia giudiziaria, in un sistema rigorosamente ispirato al principio di legalità, scostarsi dalle previsioni legislative per compiere atti atipici i quali, permettendo di conseguire risultati identici o analoghi a quelli conseguibili con gli atti tipici, eludano tuttavia le garanzie difensive dettate dalla legge per questi ultimi).

Cass. pen. n. 9290/2003

Le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, ai sensi degli art. 350 e 351 c.p.p. ed annotate ex art. 357 c.p.p., non rientrano nell'elencazione tassativa di cui all'art. 431 c.p.p., relativa agli atti che trasmigrano nel fascicolo per il dibattimento e di cui si può dare lettura, a meno che non si tratti di atti irripetibili. Ne consegue che le sommarie informazioni non possono essere utilizzate in dibattimento, e ciò vale anche se provengano dal responsabile civile — ancorché l'art. 63 c.p.p., imponendo di interrompere l'interrogatorio qualora emergano indizi di reità, si riferisca al solo imputato e non anche al responsabile civile —, in quanto anche gli atti relativi all'azione civile, se acquisiti con le forme previste nella fase delle indagini preliminari, sono assoggettati alle regole proprie del processo penale e non sono, pertanto, utilizzabili se la prova contenuta in quegli atti non viene nuovamente formata nel dibattimento.

Cass. pen. n. 2539/2000

Il dovere imposto all'autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall'art. 63, comma 2, c.p.p., di non procedere all'esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall'inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell'ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all'art. 350, comma 7, c.p.p. e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall'art. 503, comma 3, c.p.p., possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l'applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi. (Fattispecie relativa a dichiarazioni spontanee rilasciate alla polizia giudiziaria dal soggetto passivo di un'estorsione immediatamente dopo la contestazione del reato di favoreggiamento degli estorsori e di invito a nominare un difensore di fiducia).

Cass. pen. n. 3020/1999

Le dichiarazioni rese, divenute irripetibili per la soppressione del dichiarante, ben possono essere valutate — secondo la loro sostanziale natura di spontanee dichiarazioni di persona informata sui fatti e almeno virtualmente coindagata — a fini cautelari nella fase delle indagini preliminari, ove documentate o comunque quando del loro contenuto venga fatta relazione dall'ufficiale di P.G. che le ha raccolte, ovvero se questi renda testimonianza de relato.

Cass. pen. n. 345/1999

Il mancato invio al pubblico ministero dei verbali di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria non è causa di nullità, in quanto, atteso il principio di tassatività sancito dall'art. 177 c.p.p., la stessa non è prevista da alcuna norma esplicita. (Fattispecie nella quale la S.C. ha disatteso la tesi del ricorrente, secondo la quale la omessa trasmissione dei verbali costituiva nullità di ordine generale attinente alla iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio della azione penale, in quanto la mancata conoscenza delle prime dichiarazioni testimoniali avrebbe viziato lo sviluppo successivo delle indagini, producendo un «vizio genetico» nel promovimento della azione penale).

Cass. pen. n. 1554/1997

Le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dalla persona, nei cui confronti vengono svolte le indagini a norma dell'art. 350 comma 7, c.p.p., non possono essere utilizzate nel dibattimento ma possono essere prese in considerazione nel giudizio abbreviato, attesa la natura peculiare dello stesso, caratterizzato dallo svolgimento allo stato degli atti. La richiesta di tale giudizio, infatti, implica la rinuncia a sollevare eccezioni sulla ritualità degli atti in base ai quali è documentato, anche se trattasi di atti compiuti dalla polizia giudiziaria che non sarebbero di per sé utilizzabili in eventuale accertamento dibattimentale.

Cass. pen. n. 2073/1997

Gli atti di polizia giudiziaria — in particolare quelli indicati nell'art. 351 c.p.p. — che risultano documentati in forme diverse da quelle prescritte (con annotazione, anziché con verbalizzazione) possono essere utilizzati nella fase delle indagini preliminari per essere posti a fondamento di provvedimenti cautelari o di altri atti che trovino la loro collocazione nell'ambito della medesima fase di indagine. Viceversa, ogni possibilità di utilizzazione in fase di dibattimento delle acquisizioni assunte nel corso delle indagini preliminari è direttamente collegata all'osservanza delle formalità di documentazione prescritte per la P.G. dall'art. 357, comma secondo, c.p.p.

Cass. pen. n. 2230/1996

Le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato ai sensi dell'art. 350, comma 7, c.p.p., se assunte senza il difensore, non sono utilizzabili ai fini del giudizio (salvo quanto previsto dall'art. 503, comma 3, c.p.p.) e, quindi, non hanno rilevanza probatoria ai fini della decisione, ma possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari; ne consegue che possono ritualmente essere poste a fondamento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ai fini dell'applicazione di una misura cautelare.

Cass. pen. n. 649/1996

L'inutilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese dall'arrestato alla polizia giudiziaria stabilita dall'art. 350 comma 7 (con la salvezza relativa alla possibilità di contestazioni) è determinata da specifiche finalità di tutela del diritto di difesa, ma non può estendersi a ciò che travalica tale diritto, pur inteso nella sua più ampia latitudine, e particolarmente al contenuto calunnioso di esse nei confronti di altri soggetti. Di tali dichiarazioni è inibita la utilizzazione nel dibattimento relativo alla imputazione per cui il procedimento era già sorto, non già nel dibattimento in cui esse vanno considerate come un fatto penalmente rilevante. (Nella specie è stato rigettato il motivo di ricorso che deduceva violazione dell'art. 350 comma 7 c.p.p. per essere stata fatta utilizzazione, nel procedimento per calunnia, delle dichiarazioni rese dall'imputato alla polizia giudiziaria, quando era stato arrestato in flagranza del reato di furto).

Cass. pen. n. 4725/1995

Il problema relativo all'utilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'indagato ai carabinieri nell'immediatezza del suo arresto senza l'assistenza del difensore può legittimamente porsi solo nella fase del giudizio e con riferimento alla loro valenza probatoria ai fini della decisione sul merito, ma resta impregiudicata la loro valutabilità nella fase cautelare sotto il profilo della loro sintomaticità ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari poste a sostegno della misura coercitiva.

Cass. pen. n. 166/1995

A norma dell'art. 350, comma settimo, c.p.p., le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria da persona indagata, senza assistenza del difensore, possono essere utilizzate nel dibattimento ai sensi dell'art. 503, comma terzo, c.p.p.; le dichiarazioni medesime possono essere altresì utilizzate in fase di indagini preliminari come indizio di reato non ricorrendo né l'inutilizzabilità generale di cui all'art. 191, stesso codice né alcuna ipotesi di inutilizzabilità specifica, e - ai fini della configurabilità delle condizioni richieste per il sequestro probatorio - possono costituire elementi concorrenti a fare ritenere ragionevolmente presumibile il reato ipotizzato, anche attraverso la valutazione di altri elementi logici. (Nella specie la Suprema Corte, nell'annullare l'ordinanza con la quale veniva disposta la revoca di decreto di convalida di sequestro sull'assunto che «la provenienza estera del T.L.E. e dei generi alimentari sequestrati (presupposto dei reati di contrabbando e della conseguente assoggettabilità a confisca del motopeschereccio e dell'autovettura) si fonda esclusivamente sulle indicazioni fornite alla polizia giudiziaria dagli indagati sul luogo e nell'immediatezza del fatto ai sensi dell'art. 350, comma quinto, cp.p., indicazioni di cui è vietata, ex art. 350, comma sesto, c.p.p., ogni documentazione ed utilizzazione diverse da quella della immediata prosecuzione delle indagini», ha altresì osservato che il sequestro (probatorio) e la confisca sono previste rispettivamente dagli artt. 253 c.p.p. e 301, comma primo, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per il delitto di contrabbando).

Cass. pen. n. 1201/1994

Il regime della ridotta utilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni rese spontaneamente dall'indagato alla polizia giudiziaria senza l'assistenza del difensore — fissato dall'art. 350, settimo comma, c.p.p. — risponde alla specifica finalità di tutela del diritto di difesa dell'indagato medesimo, che potrebbe essere pregiudicato anche dal fatto che tali dichiarazioni vengano rese senza una previa conoscenza dell'addebito. Tale principio di garanzia non può, però, trovare applicazione quando le spontanee dichiarazioni rese in assenza del difensore riguardino l'addebito a carico di altro soggetto o si concretizzino in una chiamata di correo, giacché il diritto di difesa dei terzi non subisce alcuna menomazione per il fatto che le affermazioni a loro carico non siano state rese nel corso di un formale interrogatorio dell'accusatore. (Nella specie, in applicazione di tali principi, è stata annullata la sentenza di merito che aveva affermato l'inutilizzabilità della chiamata in correità effettuata, in sede di spontanee dichiarazioni, da soggetto poi deceduto, e l'impossibilità di assumere, in ordine al contenuto di dette dichiarazioni, la testimonianza degli ufficiali di P.G. che avevano raccolto e verbalizzato dette dichiarazioni).

Cass. pen. n. 7072/1994

Natura e carattere del tutto peculiari ha la decisione adottata con il rito abbreviato, che è assoggettato ad una disciplina autonoma rispetto al giudizio ordinario, in quanto va svolto «allo stato degli atti». L'imputato, nell'accettare questo procedimento speciale, da un lato rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie e dall'altro però ottiene un trattamento premiale attraverso l'applicazione della diminuente. Ne deriva che il giudice può utilizzare tutti gli atti legittimamente confluiti nel fascicolo del pubblico ministero e quindi anche le dichiarazioni, rese dall'indagato in assenza del suo difensore, purché acquisite «sul luogo o nell'immediatezza del fatto», così come stbailito dal comma 5 dell'art. 350 c.p.p.

Cass. pen. n. 5033/1994

Qualora, nel corso di una perquisizione domiciliare, venga rinvenuta dalla polizia giudiziaria sostanza stupefacente e un quantitativo di questa sia trovato su indicazione di uno degli occupanti dell'immobile, chiamato poi a rispondere del reato di cui all'art. 71, comma 1, L. 22 dicembre 1975, n. 685, e, successivamente, venga sentito al dibattimento l'ufficiale di P.G. che ha eseguito la perquisizione, il quale deponga anche sull'indicazione fornita dall'imputato nell'immediatezza dei fatti, trova applicazione il disposto dell'art. 350, comma 6, c.p.p., secondo cui delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto è vietato non solo ogni documentazione ma pure ogni utilizzazione in sede processuale. Qualora, poi, si ritenga, che si sia trattato non di notizie o indicazioni assunte, vale a dire sollecitate con precise domande dalla polizia giudiziaria, ma di dichiarazioni spontanee, ai sensi dell'art. 350, comma 7, c.p.p., è possibile l'utilizzazione nel dibattimento delle stesse solo per quanto previsto dall'art. 503, comma 3, c.p.p., vale a dire ai fini di contestare, in tutto o in parte, il contenuto della deposizione dell'imputato che, sui fatti e sulle circostanze da contestare, abbia già deposto. (Nella fattispecie, il ricorrente ha dedotto che i giudici del merito, per il riconoscimento della sua responsabilità, avevano evidenziato che egli era consapevole del luogo ove era tenuta parte della cocaina, così valorizzando l'indicazione che sarebbe stata da lui fornita alla P.G., mentre, invece, avrebbero dovuto recepire e utilizzare unicamente quella parte della deposizione dell'ufficiale di P.G. che non riguardava quanto da questi appreso da esso imputato).

Cass. pen. n. 4641/1994

L'obbligo di avvertire a pena di nullità i prossimi congiunti dell'imputato, o dell'indagato, della facoltà di astenersi dal deporre (art. 199, comma 2, c.p.p.) si pone come principio generale che va osservato ogni volta in cui nei vari momenti procedimentali, non esclusi quelli di polizia giudiziaria (art. 351 c.p.p.), le dichiarazioni dei prossimi congiunti devono essere assunte per esigenze di ordine processuale e, quindi, si caratterizza al tempo stesso per l'autonomia delle singole scelte di volta in volta operate dal teste e per la reversibilità della scelta affermativa che eventualmente fosse stata fatta in una prima tornata: ciò pure perché ogni falsa dichiarazione (compresa quella assunta dal P.M. ai sensi del nuovo art. 371 bis c.p.), ancorché resa sul medesimo oggetto testimoniale nell'ambito del medesimo procedimento penale, dà luogo ad autonomi e distinti reati di falsa testimonianza.

Cass. pen. n. 9942/1993

In materia di giudizio abbreviato, poiché l'imputato, nel convenire con il pubblico ministero alla trattazione del processo allo stato degli atti, rinuncia a difendersi provando, in cambio di un più favorevole trattamento sanzionatorio, non possono operare né il divieto previsto dall'art. 526 c.p.p., né le prescrizioni di cui agli artt. 514, secondo comma (divieto di lettura dei verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria) e 350, settimo comma (divieto di utilizzazione — se non per le contestazioni — delle dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini), precetti, tutti, che si riferiscono esclusivamente al dibattimento.

Cass. pen. n. 6360/1993

All'atto con il quale la polizia giudiziaria convoca l'indagato per comunicazioni urgenti e lo sollecita comunque a mettersi in contatto con l'ufficio anche a mezzo telefono, non si applica la disciplina del codice di rito relativa alle forme richieste — in particolare dagli artt. 364, 369 e 375 c.p.p. — per l'attività del P.M., trattandosi di attività a iniziativa della polizia giudiziaria, condizionata dal fine di raccogliere informazioni utili per le investigazioni e potendo i preliminari avvisi relativi alla nomina di un difensore ed alla facoltà di non rispondere, previsti dai commi primo e secondo dell'art. 350 c.p.p., esser compiuti nel momento della presentazione della persona convocata e prima dell'assunzione delle sommarie informazioni. Ne consegue che l'inottemperanza al provvedimento dato con l'atto summenzionato, anche se privo delle forme e degli avvisi suddetti, integra il reato di cui all'art. 650 c.p. in quanto costituisce inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto infondato l'assunto del giudice di merito che aveva prosciolto l'imputato perché, a suo avviso, l'invito della polizia avrebbe dovuto indicare che la persona convocata era indagata e recare il contestuale invito a nominarsi un difensore).

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