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Articolo 131 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Forma dei provvedimenti in generale

Dispositivo dell'art. 131 Codice di procedura civile

La legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto (1) (2) (3).

In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo (4).

Dei provvedimenti collegiali è compilato sommario processo verbale, il quale deve contenere la menzione dell'unanimità della decisione o del dissenso, succintamente motivato, che qualcuno dei componenti del collegio, da indicarsi nominativamente, abbia eventualmente espresso su ciascuna delle questioni decise. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti del collegio stesso, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio (5).

Note

(1) Si tratta dei provvedimenti del giudice, ovvero gli atti con cui viene tipicamente esercitata la funzione giurisdizionale. In ogni caso, nell'ambito dell'attività del giudice bisogna anche comprendere gli atti a carattere materiale e con funzione preparatoria, complementare e ausiliare (ad es.: ascoltare le parti art.117; dirigere l'udienza art. 127).
(2) Nei casi in cui ragioni di opportunità lo richiedano, il legislatore dispone che un provvedimento di contenuto decisorio, idoneo a disporre del diritto delle parti debba avere la forma dell'ordinanza o del decreto. Per risolvere il problema di quale mezzo di impugnazione scegliere si dovrà applicare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma.
Quando, pertanto, un provvedimento ha contenuto decisorio, si ritiene che esso possa essere impugnato con ricorso per Cassazione (ex art. 111 Cost.), anche se per legge ha forma di ordinanza o decreto.
(3) Il principio della prevalenza della sostanza sulla forma trova applicazione anche quando sia il giudice, per errore, ad emettere un provvedimento in una forma diversa da quella prescritta dalla legge. L'atto, pertanto, è sottoposto alla disciplina prevista dal legislatore per quello che si ritiene essere il suo contenuto effettivo.
Pertanto, quando il provvedimento ha contenuto decisorio, esso è sostanzialmente una sentenza e, come tale, è impugnabile ed idoneo a passare in giudicato; diversamente, quando la sentenza ha contenuto istruttorio o ordinatorio, allora il provvedimento ha natura di ordinanza e, come tale, non può essere impugnata, ma è revocabile e modificabile. Ad esempio, è stato ritenuto non applicabile, ma revocabile e modificabile, il provvedimento in forma di sentenza non definitiva che decideva soltanto sull'ammissibilità di un mezzo istruttorio, in quanto avrebbe dovuto essere pronunciato con la forma dell'ordinanza.
(4) Nelle ipotesi in cui la legge non dispone nulla sulla forma del provvedimento, il giudice deve adottare il provvedimento giurisdizionale più idoneo al raggiungimento dello scopo, in ossequio al principio di strumentalità delle forme, di cui all'articolo 121. Pertanto, la scelta deve essere effettuata preferendo la forma più adeguata alla funzione da lui attribuita al provvedimento, non potendo egli costruire un atto atipico ad hoc privo di una precisa disciplina.
(5) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 16, comma 2, l. 13-4-1988, n. 117 concernente la responsabilità civile dei magistrati (la norma tende a fornire riscontri in ordine alla responsabilità dei singoli giudici). La Corte cost., con sent. 18-1-1989, n. 18, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 16 commi 1 e 2, nella parte in cui dispone che «è compilato sommario processo verbale», anziché «può, se uno dei componenti dell'organo collegiale lo richieda, essere compilato sommario processo verbale».

Spiegazione dell'art. 131 Codice di procedura civile

Il primo comma di questa norma indica le tre diverse forme che possono assumere i provvedimenti del giudice (sentenza, ordinanza e decreto), precisando che è la legge a prescrivere in quali casi ci si deve servire dell’uno piuttosto che dell’altro.
Secondo la tesi prevalente in dottrina, la forma della sentenza viene di regola prescritta per i provvedimenti che assolvono alla tipica funzione decisoria sul merito o sul rito del giudizio, mentre ordinanza e decreto vengono normalmente utilizzati per quei provvedimenti che svolgono una funzione ordinatoria interna al processo (l’ordinanza, a differenza del decreto, presuppone un contraddittorio tra le parti).
Fanno eccezione a tali criteri generali quei casi in cui la legge, in relazione ad alcuni procedimenti speciali, configura provvedimenti decisori sul merito da pronunciare usando la forma dell’ordinanza (es. il decreto ingiuntivo).

Il secondo comma dispone che, in mancanza di prescrizioni di legge, i provvedimenti possono essere adottati in qualsiasi forma possa essere idonea al raggiungimento del loro scopo; tale disposizione deve intendersi nel senso che il giudice è libero di scegliere quale dei tre tipi di provvedimenti adottare.

Uno dei problemi che ci si trova spesso ad affrontare è quello della determinazione dei criteri che devono essere adottati per qualificare esattamente un provvedimento giurisdizionale e così poter scegliere il corretto regime di impugnabilità.
Al riguardo costituisce principio pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte quello secondo cui occorre dare prevalenza al contenuto sostanziale di un provvedimento rispetto alla sua forma, con la conseguenza che saranno da ritenere ricorribili per cassazione per violazione di legge, ex art. 117 Cost. comma 7, tutti i provvedimenti che, qualunque sia la forma stabilita dal legislatore, possano incidere su diritti soggettivi delle parti o siano idonei ad assumere autorità di cosa giudicata.

Il principio della prevalenza del contenuto sostanziale del provvedimento è stato ritenuto applicabile anche nel caso in cui la forma adottata dal giudice sia diversa rispetto a quella prescritta dal legislatore, il che comporta che il provvedimento sarà impugnabile con il mezzo di impugnazione previsto in relazione alla forma che l’atto avrebbe dovuto assumere e non a quella che erroneamente riveste.

Contro l’orientamento della giurisprudenza si pone quello della dottrina maggioritaria, la quale ritiene che la qualifica di un provvedimento come sentenza, ordinanza o decreto è quella che si ricava dal suo aspetto formale.

L’ultimo comma è stato aggiunto dall’art. 16 della Legge n. 117/1988, relativa alla responsabilità civile dei magistrati; tale art. 16, tuttavia, è stato dichiarato incostituzionale per violazione dell’art. 97 Cost. nella parte in cui impone come obbligatoria la redazione del verbale senza riconoscere la possibilità di valutare la sussistenza del dissenso da parte di alcuno dei membri del collegio (pertanto, oggi va interpretato nel senso che ad ogni membro del collegio è riconosciuta la facoltà di chiedere la compilazione del processo verbale da cui risultino le sue valutazioni).

Massime relative all'art. 131 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 3128/2008

L'ordinanza collegiale con la quale sia stata dichiarata l'improcedibilità dell'appello e la derivante estinzione del giudizio ha il contenuto decisorio di una sentenza, con la conseguenza che la medesima, ove sia sottoscritta dal solo presidente che non ne risulti anche relatore o estensore, è viziata da inesistenza giuridica, in quanto non sottoscritta con l'osservanza delle forme di cui all'art. 132, terzo comma, c.p.c.; pertanto, nei confronti di siffatto provvedimento, sono esperibili i mezzi di impugnazione correlati alla sua natura di sentenza e non è proponibile l'impugnazione per revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. (come, invece, inammissibilmente formulata nella specie), dovendosi escludere che la mancata sottoscrizione del giudice estensore implichi un vizio revocatorio, pur restando fermo che il giudice dell'impugnazione può rilevare anche d'ufficio la suddetta inesistenza ai sensi dell'art. 161, secondo comma, c.p.c., indipendentemente, perciò, dall'esercizio dell'ordinario rimedio impugnatorio.

Cass. civ. n. 27143/2006

Al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza o di ordinanza e sia, pertanto, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre; ne consegue che deve essere definito come sentenza il provvedimento con il quale il giudice definisce la controversia soggetta al suo giudizio, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale; mentre non è definibile come sentenza il provvedimento adottato in ordine all'ulteriore corso del giudizio, anche se con esso siano state decise questioni di merito o di procedura, essendo tali questioni soggette al successivo riesame in sede decisoria. (Cassa senza rinvio, App. Milano, 12 Novembre 2002).

Cass. civ. n. 8041/2006

Il provvedimento dichiarativo dell'estinzione del processo adottato dal giudice monocratico del tribunale ha natura sostanziale di sentenza, ancorché sia pronunciato in forma di decreto; come tale, esso, quando sia stato pronunciato in primo grado, è impugnabile con l'appello, non con il ricorso straordinario per cassazione (che, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile). (Dichiara inammissibile, Trib. Sassari, 11 giugno 2002).

Cass. civ. n. 3816/2005

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre aver riguardo, non già alla forma adottata, ma al suo contenuto (cosiddetto "principio di prevalenza della sostanza sulla forma"). Pertanto, siccome il provvedimento - impropriamente qualificato ordinanza - con cui il giudice monocratico affermi (decidendo la relativa questione senza definire il giudizio) la propria giurisdizione ha natura di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279 c.p.c., secondo comma, numero 4, deve ritenersi preclusa, in mancanza di riserva di impugnazione (la cui omissione determina il passaggio in giudicato della relativa decisione), la riproposizione della questione di giurisdizione attraverso l'impugnazione della sentenza definitiva, non rilevando che, con quest'ultima, lo stesso giudice abbia poi ribadito la propria giurisdizione. (Nella specie il Giudice di pace, in un giudizio secondo equità, dopo essersi riservato di decidere sulle contrapposte tesi delle parti in tema di giurisdizione, sciolse la riserva decidendo, con provvedimento definito ordinanza, su tale questione, e rinviò quindi il procedimento ad un'udienza successiva per la precisazione delle conclusioni).

Cass. civ. n. 950/2005

In tema di conclusione del processo civile, il provvedimento di estinzione del giudizio, adottato dal tribunale in composizione unipersonale o monocratica, ai sensi dell'art. 305 c.p.c., ha il contenuto sostanziale di una sentenza, in quanto contiene una pronuncia definitiva sui presupposti e condizioni processuali della domanda giudiziale. Infatti, posto che, al fine di stabilire se un provvedimento abbia o meno carattere di ordinanza o di sentenza, deve darsi prevalenza alla sostanza piú che alla forma della decisione, si è in presenza di un'ordinanza quando il provvedimento dispone circa il contenuto formale delle attività consentite dalle parti, mentre si è dinanzi ad una sentenza quando il giudice, nell'esercizio del suo potere giurisdizionale, si pronuncia in via definitiva o non definitiva sul merito della controversia o sui presupposti processuali. Pertanto, ove una parte abbia, in un primo tempo, proposto reclamo avanti allo stesso tribunale che ha emesso la pronuncia estintiva (avente contenuto di sentenza), e questo reclamo sia stato correttamente dichiarato inammissibile, essa — ove intenda dolersi della pronuncia estintiva del giudizio — non deve proporre impugnazione contro il provvedimento d'inammissibilità del reclamo ma avverso il primo, ossia contro quello che abbia dichiarato estinto il giudizio di prime cure (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha cassato con rinvio la pronuncia della corte d'appello che aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione, perchè proposta anzichè contro il secondo provvedimento, nei riguardi del primo, ossia quello dichiarativo dell'estinzione del giudizio, così come correttamente aveva fatto la parte, dopo la prima, erronea, sua iniziativa processuale).

Cass. civ. n. 14637/2004

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia, quindi, soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo non già alla sua forma esteriore ed alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che è destinato a produrre, dovendosi rilevare, sotto tale ultimo profilo, che il provvedimento non ha il carattere della decisorietà e della definitività quando la pronuncia spieghi i suoi effetti solo sul piano processuale, producendo la sua efficacia soltanto all'interno del processo. Ne consegue che, qualora il giudice di primo grado, rilevata la nullità della citazione introduttiva, fissi all'attore un termine perentorio per la rinnovazione della citazione, ai sensi dell'art. 164, quinto comma c.p.c., tale provvedimento non è suscettibile di autonoma impugnazione innanzi al giudice di secondo grado, potendo la sua legittimità (anche nella eventualità in cui, come nella specie, si deduca la inapplicabilità della disposizione de qua alle controversie soggette al rito del lavoro) essere contestata in sede di impugnazione della sentenza emessa da quel giudice sulla domanda successivamente alla avvenuta integrazione della citazione introduttiva.

Cass. civ. n. 11211/2004

La decisione con la quale viene dichiarata l'inammissibilità del ricorso per Cassazione, se adottata all'esito di una udienza pubblica, deve essere assunta (non con ordinanza, ma) con sentenza, le cui forme debbono ritenersi prescritte (salvo le deroghe che risultino espressamente stabilite dalla legge) tutte le volte che, all'esito di una pubblica udienza di discussione, si adotti un provvedimento collegiale che comporti la definizione del giudizio davanti al giudice adito.

Cass. civ. n. 10946/2004

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia quindi soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo, non già alla sua forma esteriore ed alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre. Pertanto, siccome il provvedimento — impropriamente qualificato ordinanza — con cui il giudice monocratico affermi la propria giurisdizione ha natura di sentenza non definitiva, deve ritenersi preclusa, in mancanza di riserva di impugnazione, la riproposizione della questione di giurisdizione attraverso l'impugnazione della sentenza definitiva.

Cass. civ. n. 5238/2004

I provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione sono normalmente assunti, ai sensi dell'art. 487, primo comma, c.p.c., con ordinanza, e sono modificabili o revocabili finchè non abbiano avuto esecuzione, costituendo anch'essi espressione del potere di direzione del processo e, in quanto diversamente regolanti quanto già disciplinato dal provvedimento precedentemente adottato, sono soggetti a riesame mediante opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 709/2004

Per stabilire se un provvedimento abbia carattere di sentenza o di ordinanza occorre avere riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione data al provvedimento dal giudice che l'ha pronunciato bensì al contenuto sostanziale del medesimo, e cioè all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, trattandosi di sentenza solamente quando il giudice, nell'esercizio del suo potere giurisdizionale, pronuncia, in via definitiva o non definitiva, sul merito della controversia o su presupposti e condizioni processuali. (Nel fare applicazione del suindicato principio, la S.C. ha qualificato come ordinanza il provvedimento formalmente denominato come "sentenza non definitiva" col quale il giudice del merito si è nel caso limitato ad enunciare principi generali senza decidere in concreto nessuna delle questioni sottopostegli, con dispositivo formulato espressamente nei termini: "accerta che il presupposto oggettivo della contiguità dei fondi va inteso non soltanto come adiacenza di confini, ma anche come potenziale unificazione funzionale dei fondi", senza alcun riferimento alla specifica condizione dei due fondi in contestazione. La S.C. ha al riguardo posto in rilievo che "la volontà del Tribunale di non decidere una qualsiasi questione preliminare di merito oggetto di controversia ... ma soltanto di "fissare i principi di diritto ai quali il Collegio ritiene di attenersi per la ulteriore fase di giudizio all'esito dell'integrazione del contraddittorio" è apertamente enunciata ... nella motivazione del provvedimento, a conferma della sua natura "latu sensu" ordinatoria; ulteriormente ribadita dalla necessità ... di disporre, "in via pregiudiziale", l'integrazione del contraddittorio ... In questo contesto, anche l'affermata "effettiva anche se non fisica adiacenza" dei due fondi, nonostante la presenza della strada di proprietà dell'Ente di riforma aperta al pubblico transito, deve intendersi non come anticipazione di un giudizio, avente efficacia immediata sulle posizioni giuridiche contrapposte, ma come semplice predisposizione di un criterio orientativo da tener presente nel prosieguo del giudizio, in sede di decisione della causa, soltanto "all'esito dell'integrazione del contraddittorio").

Cass. civ. n. 10731/2001

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia, quindi, soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo non già alla sua forma esteriore ed alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che è destinato a produrre. Sotto un tal profilo, il provvedimento non ha il carattere della decisorietà e della definitività quando la pronuncia spieghi i suoi effetti solo sul piano processuale, producendo la sua efficacia soltanto all'interno del processo. Conseguentemente esso, in tali casi, non è suscettibile di impugnazione innanzi al giudice di grado superiore (nella specie, la S.C., in forza di detto principio, ha confermato la pronuncia di inammissibilità di un appello proposto avverso un'ordinanza avente carattere meramente ordinatorio).

Cass. civ. n. 644/1979

Poiché per la individuazione della natura di un provvedimento giurisdizionale è decisiva non già la forma esteriore o la denominazione che il giudice gli abbia dato, sibbene il suo intrinseco contenuto, deve riconoscersi natura di sentenza, in quanto decide parzialmente il merito della controversia — ed è come tale impugnabile con l'appello — al provvedimento con il quale il tribunale, in relazione alla domanda di pagamento dell'indennizzo da corrispondere ai proprietari di impresa elettrica espropriata per effetto della legge di nazionalizzazione, stabilisce i criteri legali applicabili nel caso concreto per la determinazione dell'indennizzo medesimo.

Cass. civ. n. 2753/1975

La natura di un provvedimento giudiziale dev'essere desunta non già dalla forma esteriore o dalla denominazione che il giudice gli abbia dato, sibbene dal suo intrinseco contenuto. Pertanto, si ha ordinanza quando il provvedimento disponga in ordine al contenuto formale delle attività consentite alle parti; si ha, invece, sentenza quando il giudice, nell'esercizio pieno del suo potere-dovere giurisdizionale, si pronunci in via definitiva o non definitiva, sul merito della controversia o su presupposti o condizioni processuali.

Cass. civ. n. 2960/1969

Poiché qualsiasi provvedimento giurisdizionale, consta sia della motivazione che del dispositivo, i quali rappresentano un tutt'uno inscindibile, al fine di stabilire se il singolo provvedimento abbia o meno natura decisoria, non ci si può fermare al dispositivo, ma occorre esaminare l'atto nel suo complesso.

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