Il codice di procedura civile non contiene una definizione di atto processuale, e per tale ragione è stata la dottrina a preoccuparsi di dare di esso un’esatta definizione.
Due sono i requisiti essenziali a cui fare riferimento per individuare un atto processuale.
Il primo è il suo inserimento nella serie effettuale del procedimento: si tratta di un criterio denominato, appunto, effettuale, in quanto presta la sua attenzione all’effetto prodotto dall’atto (se l’atto è in grado di produrre conseguenze sul
processo, allora è meritevole di essere designato con la nozione di atto processuale).
L’altro elemento a cui occorre fare riferimento per individuare un atto processuale è di tipo soggettivo ed è dato dal fatto che lo stesso deve promanare da un soggetto partecipe attivo del processo, ossia dalle parti, dal giudice o da qualche ausiliario di giustizia (solo chi riveste una determinata posizione all’interno di un procedimento può essere l’autore di atti processuali).
Non possono pertanto definirsi atti processuali quelli compiuti dalle parti fuori dal processo o gli atti compiuti da persone estranee al procedimento.
Gli
elementi che caratterizzano l’atto processuale sono il
contenuto e la
forma.
Il primo non è altro che il pensiero del suo autore manifestato all’esterno.
La forma, invece, rappresenta la manifestazione dell’atto in un comportamento esteriore oggettivamente individuabile, e si fa consistere sia nel procedimento necessario per porre in essere un determinato atto (c.d. forma in senso stretto) sia nella necessità che l’atto contenga alcuni elementi essenziali per essere ricondotto ad una determinata tipologia.
In relazione alla forma, il nostro ordinamento ha adottato il generale
principio di obbligatorietà delle forme legali, in forza del quale è stato previsto, per la maggior parte degli atti, il rispetto di una forma determinata.
Il rispetto della particolare forma richiesta consentirà all’atto di essere valido ed efficace, e dunque di essere in grado di produrre i suoi effetti all’interno del processo.
Ciò spiega il precetto contenuto nella norma in esame, in cui è detto che, soltanto se la legge non richiede forma determinate, l’atto potrà essere compiuto nella forma più idonea al raggiungimento del suo scopo; si tratta del c.d.
principio di libertà delle forme, al quale non può che riconoscersi capacità applicativa marginale e residuale.
In tema di forme degli atti processuali, occorre richiamare anche l’
art. 46 delle disp. att. c.p.c., il quale detta le regole di redazione dell’atto processuale, che hanno come fondamentale obiettivo quello di garantire la chiarezza ed intelligibilità degli atti (non è tuttavia prevista alcuna sanzione per il caso di violazione di tale disposizione).
Anche la norma in esame è stata oggetto di modifiche per effetto della Riforma Cartabia, avendo il legislatore della Riforma voluto introdurre nel
processo civile il principio di sinteticità degli atti, soprattutto in considerazione dello sviluppo e del consolidamento del processo civile telematico, il quale richiede nuove e più agili modalità di consultazione e gestione degli atti processuali (si tenga conto che questi dovranno essere letti tramite video, sia dalle parti che dai giudici).
Per tale ragione l’art. 121 c.p.c. è stato modificato con la codificazione dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti di parte, principi ormai immanenti nel processo civile e fatti propri nel corso degli anni dalla stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. Sz. V sent. 30.04.2020 n. 8424; Cass. civ. Sez. V ord. 21.03.2019 n. 8009; Cass. civ. SS.UU. 17.01.2017 n. 964; Cass. civ. Sez. II sent. 20.10.2016 n. 21297; Cass. civ. Sez. lavoro sent. 06.08.2014 n. 17698).
Quest’ultima, in diverse occasioni, ha avuto modo di osservare come il principio di sinteticità degli atti processuali è stato già introdotto nel nostro
ordinamento giuridico per effetto del secondo comma dell’art. 3 del codice del
processo amministrativo, ed esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile in quanto funzionale a garantire il principio di ragionevole durata del processo (costituzionalizzato all’[[111cst]]) e quello di leale collaborazione tra le parti e tra queste ed il giudice.