Corte cost. n. 7/2019
                                      Sono  inammissibili,  in  quanto  non  contenute  nell'ordinanza  di  rinvio  o  per  difetto  di  adeguata  motivazione,  le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 39, 1° comma, L. reg. Piemonte 22 dicembre 2015 n. 26 e 1, 1° comma, L. reg. Piemonte 27 dicembre 2016 n. 27, nella parte in cui vietano la caccia ad alcune specie di animali che sono, invece,  considerate  cacciabili  dall'art.  18,  1°  comma,  L.  11  febbraio  1992  n.  157  (pernice  bianca,  allodola,  lepre variabile, fischione, canapiglia, mestolone, codone, marzaiola, folaga, porciglione, frullino, pavoncella, moretta, moriglione, combattente, merlo), in riferimento agli artt. 3, 102, 1° comma, e, in relazione al 'considerando' n. 32 della decisione  1600/2002/CE  del  Parlamento  Europeo  e  del  Consiglio del  22  luglio  2002,  che  istituisce  il sesto programma comunitario  di  azione  in materia  di  ambiente, e agli artt. 114 e 193 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla L. 2 agosto 2008 n. 130, 117, 1° comma, Cost.
                                                        
                 
                            
                  Cass. civ. n. 17045/2018
                                      La  responsabilità ex art. 2051  c.c.  non  ammette  la responsabilità  oggettiva  e  presuppone  l'imputabilità soggettiva  del  fatto.  La  disciplina  temporale  applicabile alla  fattispecie  (interventi  diretti  alla  tutela  dell'integrità dell'ambiente lagunare attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e/o messa in sicurezza dei siti) non è quella di cui al D.Lgs 2 aprile 2006, n. 152, priva di carattere retroattivo, bensì quella vigente al momento in cui si sono verificati i fatti - e quindi l'art. 17 del D.Lgs. 22 del 1997 (Cass, civ. Sez. III, 04-04-2017, n. 8662; Cass. civ.  Sez.  I,  07/03/2013,  n.  5705).  Sicché, il  previgente sistema si ispirava al principio secondo cui l'obbligo di  adottare  le  misure  idonee  a  fronteggiare  la situazione di inquinamento è a carico di colui che di tale  situazione  sia  responsabile  per  avervi  dato causa  (principio  sintetizzato  con  la  formula  "chi inquina  paga"). Era  quindi  necessario  l'accertamento del nesso di causalità con l'avvenuta contaminazione dei luoghi. Prevedendo poi, solo in seconda battuta, qualora "i  responsabili  non  provvedano  ovvero  non  siano individuabili"  che  gli  interventi  necessari  venissero comunque realizzati d'ufficio dal Comune o, in subordine, dalla  Regione,  rivalendosi  per  il  recupero  delle  spese sulle aree bonificate, gravate da onere reale e privilegio speciale  immobiliare.  Pertanto,  in  capo  al  proprietario che  non  era  autore  della  violazione,  non  sussisteva l'obbligo  di  provvedere  direttamente  alla  bonifica,  ma solo l'onere di farlo per evitare le eventuali conseguenze derivanti dai vincoli gravanti sull'area (Cass. civ. Sez. II, 28-12-2017,  n.  31005).
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 232/2017
                                      Le  Regioni  ad  autonomia  speciale  sono  tenute  a rispettare,  anche  nell'esercizio  delle  loro  competenze legislative  statutarie  esclusive,  la  disciplina  statale  in materia  di  VIA  la  quale  delinea  un  livello  di  protezione uniforme a tutela dell'ambiente che si impone sull'intero territorio  nazionale.  Con  la  conseguenza  che le disposizioni  legislative  regionali  che,  in  deroga  alla disciplina statale  (D.Lgs.  n.  152/2006  e  s.m.i.)  e  comunitaria (direttiva n. 2014/52/UE) sottraggano dalla verifica di assoggettabilità a VIA determinati impianti produttivi,  sono  costituzionalmente  illegittime  in riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,  lett.  s), Cost.,  ledendo  la  sfera  di  competenza  esclusiva statale  in  materia  di  «tutela  dell'ambiente».
                                                        
                 
                            
                  C. giust. UE n. 129/2017
                                      Le  disposizioni  della  direttiva  2004/35/CE  del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, lette alla luce degli articoli  191  e 193  TFUE  devono  essere  interpretate  nel senso  che,  sempre  che  la  controversia  di  cui  al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, esse non ostano a una normativa nazionale  che  identifica,  oltre  agli  utilizzatori  dei fondi su cui è stato generato l'inquinamento illecito, un'altra categoria di persone solidamente responsabili  di  un  tale  danno  ambientale,  ossia  i proprietari di  detti  fondi, senza che  occorra accertare  l'esistenza  di  un  nesso  di  causalità  tra  la condotta  dei  proprietari  e  il  danno  constatato,  a condizione  che  tale normativa  sia  conforme  ai principi  generali  di  diritto  dell'Unione,  nonché  ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli  atti  di  diritto  derivato  dell'Unione.
                                          
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                                                          L'articolo  16  della  direttiva  2004/35  e  l'articolo  193 TFUE devono essere interpretati nel senso che, sempre che  la  controversia  di  cui  al  procedimento  principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, essi non  ostano  a  una  normativa  nazionale,  come quella  controversa  nel  procedimento  principale,  ai sensi  della  quale  non  solo  i  proprietari  di  fondi  sui quali  è  stato  generato  un  inquinamento  illecito rispondono in solido, con gli utilizzatori di tali fondi, di  tale  danno  ambientale, ma  nei loro  confronti  può anche essere  inflitta  un'ammenda  dall'autorità nazionale competente, purché una normativa siffatta sia  idonea  a  contribuire  alla  realizzazione dell'obiettivo di protezione rafforzata e le modalità di determinazione  dell'ammenda  non  eccedano  la misura  necessaria  per  raggiungere  tale  obiettivo, circostanza  che  spetta  al  giudice  nazionale verificare.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 39/2017
                                      Dalla vigente  legislazione  emerge  il  principio che, per il rilascio dei titoli di prospezione, ricerca e coltivazione  di  idrocarburi  liquidi  e  gassosi  nelle zone di mare, la competenza legislativa dello Stato è esclusiva;  tale  principio,  d'altra  parte,  deve qualificarsi  come  fondamentale.
                                          
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                                                          Va dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della  Regione  Abruzzo  14  ottobre  2015,  n.  29 (Provvedimenti  urgenti  per la  tutela  dell'ambiente  e dell'ecosistema  della  costa  abruzzese)  la  quale, composta di due articoli, dispone il divieto, ai fini di tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  delle  attività  di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi  nelle  zone  di  mare  poste  entro  le  dodici  miglia marine  dalle  linee  di  costa  lungo  l'intero  perimetro costiero della Regione Abruzzo, estendendo il medesimo divieto anche ai procedimenti autorizzatori e concessori in corso alla data di entrata in vigore della legge, nonché a  tutti  i  procedimenti  autorizzatori  e  concessori conseguenti e connessi. L'unica clausola di salvaguardia prevista dalla legge regionale riguarda i titoli abilitati già rilasciati.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 36/2017
                                      La  disciplina  delle  aree  protette  rientra  nella competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di «tutela  dell'ambiente»  ex  art.  117,  secondo  comma, lettera  s),  Cost., ed è contenuta nella legge n. 394 del 1991  che  detta  i  principi  fondamentali  della  materia,  ai quali la legislazione regionale è chiamata ad adeguarsi, assumendo anche i connotati di normativa interposta. L'art.  2  della  legge  n.  394  del  1991  classifica,  difatti,  le aree naturali protette in parchi nazionali e regionali (art. 2,  commi 1  e  2),  a  seconda  del  loro  rilievo  nazionale  o locale, e in riserve naturali, statali o regionali in base alla rilevanza degli  interessi  in  esse  rappresentati  (art.  2, comma  3).  Mentre  i  parchi  hanno  finalità  generali  di protezione e valorizzazione della natura, le riserve (oltre ad  avere  di  regola  dimensioni  molto  più  ridotte)  hanno principalmente  una  finalità  di  natura  conservativa  connessa alla presenza di specifici valori floro-faunistici o di diversità  biologica.  La  legge  quadro  (art.  2,  comma  2) non  prevede,  dunque,  la  figura  del  parco  regionale marino,  ma  solamente  la  possibilità  che  tratti  di  mare prospicienti  la  costa  vengano  a  far  parte  di  parchi regionali costituiti da aree terrestri, fluviali e lacuali.
                                          
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                                                          Va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1; 2, commi 1, 2 e 4; 3, comma 1; 6, 7 e 9 della legge  della  Regione  Abruzzo  6  novembre  2015,  n.  38 recante «Istituzione del Parco Naturale Regionale Costa dei Trabocchi e modifiche alla legge regionale 21 giugno 1996, n. 38 (Legge-quadro sulle aree protette della Regione Abruzzo per l'Appennino Parco d'Europa)» e, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul funzionamento  della  Corte  costituzionale),  l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 2 e 3; 2, comma 3; 4, 5, 8,  11  e  12  della  stessa  legge.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 244/2016
                                      La  disciplina  della  gestione  dei  rifiuti  rientra nella materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" riservata,  in  base  all'art.  117,  secondo  comma, lettera  s),  Cost.,  alla  competenza  esclusiva  dello Stato;  in  questa  materia,  inoltre,  lo  Stato conserva  il  potere  di  dettare  standard  di  protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste.
                                          
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                                                          La disciplina secondo cui l'individuazione degli impianti  di  recupero  di  rifiuti  e  smaltimento  di preminente  interesse  nazionale  da  realizzare  per  la modernizzazione e lo sviluppo del Paese sia operata "sentita  la  Conferenza  unificata"  non  viola  il principio  di  leale  collaborazione,  atteso  che  tale forma  di  coinvolgimento  delle  Regioni  e  degli  enti locali  si  rivela  adeguata,  incidendo  la  predetta attività  su  competenze  regionali  (governo  del territorio,  tutela  della  salute)  concorrenti,  in  ordine alle  quali  spetta  comunque  allo  Stato  dettare  i principi fondamentali.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 101/2016
                                      La disciplina dei rifiuti rientra nella materia della «tutela  dell'ambiente»  per  la  quale  sussiste  la competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  di  cui all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s), Cost.
                                          
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                                                          Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, commi  3-bis  e  3-ter,  ultimo  periodo,  della  legge  della Regione  Lombardia  12  dicembre  2003,  n.  26,  aggiunti dall'art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia  30  dicembre  2014,  n.  35,  nella  parte  in  cui ampliano - sia pure ai soli fini dell'applicazione di quanto disposto  dall'art.  35  del  D.L.  n.  133  del  2014,  convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  164  del  2014 - la nozione di «rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale», riconducendovi  altresì  tutti  i  rifiuti  decadenti  dal  trattamento  dei  rifiuti  urbani;  tali  disposizioni  infatti  si pongono  in  contrasto  con  la  disciplina  nazionale  di riferimento, prevista dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), la quale stabilisce che  «i  rifiuti  derivanti  dalla  attività  di  recupero  e smaltimento  di  rifiuti»  debbano  venir  ricompresi  nella categoria dei «rifiuti speciali» (art. 184, comma 3, lettera g).
                                          
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                                                          Non  è  fondata  la  questione  di  legittimità  costituzionale - promossa  in  riferimento  agli  artt.  3,  117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione - dell'art. 6, comma 1, lettera c), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014 - nel testo modificato dall'art. 8, comma  13,  lettera  s),  della  legge  regionale  5  agosto 2015,  n.  22,  il  quale  testualmente  dispone  che  «La Giunta  regionale,  al  fine  di  garantire  la  continuità  della produzione  elettrica  e  in  considerazione  dei  tempi  necessari  [...]  per  espletare  le  procedure  di  gara,  può consentire,  per  le  sole  concessioni  in  scadenza  entro  il 31  dicembre  2017,  la  prosecuzione  temporanea,  da parte  del  concessionario  uscente,  dell'esercizio  degli impianti  di  grande  derivazione  a  uso  idroelettrico  per  il tempo  strettamente  necessario  al  completamento  delle procedure di assegnazione e comunque per un periodo non superiore  a cinque anni, come previsto dall'articolo 12,  comma  1,  del  D.Lgs.  79 del  1999  [Attuazione  della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno  dell'energia  elettrica]».
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 180/2015
                                      La  disciplina  dei  rifiuti  è  riconducibile  alla materia  «tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  di competenza  esclusiva  statale  ai  sensi  dell'art.  117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost., anche  se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve  intendersi  riservato  allo  Stato  il  potere  di  fissare livelli  di  tutela  uniforme  sull'intero  territorio  nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente  ambientali.  Pertanto,  la  disciplina  statale costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un  livello  di  tutela  uniforme  e  si  impone  sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di  loro  competenza,  per  evitare  che  esse  deroghino  al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino.
                                                        
                 
                            
                  Cons. Stato n. 2495/2015
                                      In  materia  ambientale,  il  principio  di  precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali  per  la  sanità  pubblica,  per  la  sicurezza  e per  l'ambiente,  ponendo  una  tutela  anticipata rispetto  alla  fase  dell'applicazione  delle  migliori tecniche  proprie  del  principio  di  prevenzione. L'applicazione  del  principio  di  precauzione  comporta dunque  che,  ogni  qual  volta  non  siano  conosciuti  con certezza  i  rischi  indotti  da  un'attività  potenzialmente pericolosa,  l'azione  dei  pubblici poteri  debba  tradursi  in una  prevenzione  anticipata  rispetto  al  consolidamento delle  conoscenze  scientifiche,  anche  nei  casi  in  cui  i danni siano poco conosciuti o solo potenziali.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 209/2014
                                      La  disciplina  degli scarichi  in fognatura  attiene  alla materia  dell'ambiente,  di  competenza  esclusiva  statale; di conseguenza, alle Regioni non è consentito intervenire in  tale  ambito,  specie  se  l'effetto  è  la  diminuzione  dei livelli  di  tutela  stabiliti  dallo  Stato.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 197/2014
                                      La tutela dell'ambiente rientra nella competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato;  pertanto,  le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da  limite  alla  disciplina  che  le  Regioni, anche  a  statuto  speciale,  dettano  nei  settori  di  loro competenza,  essendo  ad  esse  consentito  soltanto eventualmente  di  incrementare  i  livelli  della  tutela ambientale,  senza  però  compromettere  il  punto  di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato  dalla  norma  dello  Stato.
                                          
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                                                          La  valutazione  ambientale  strategica (VAS), disciplinata  dal  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152 (Norme  in  materia  ambientale),  attuativo  dei  principi comunitari  contenuti  nella  direttiva  27  giugno  2001,  n. 2001/42/CE  (Direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del Consiglio concernente  la  valutazione  degli  effetti  di determinati  piani  e  programmi  sull'ambiente), attiene alla  materia  della  «tutela  dell'ambiente»,  di competenza  esclusiva  dello  Stato. Interventi specifici del legislatore regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi,  pur  intercettando  gli  interessi  ambientali,  risultino espressivi  di  una  competenza  propria  della  Regione.  In particolare deve ritenersi che il significativo spazio aperto alla legge regionale dallo stesso D.Lgs. n. 152 del 2006 (v. art.  3-quinquies;  art.  7,  comma  2)  non  possa  giungere fino  a  invertire le  scelte  che  il  legislatore  statale  ha adottato  in  merito  alla  sottoposizione  a  VAS  di determinati  piani  e  programmi;  scelte  che  in  ogni  caso sono  largamente  condizionate  dai  vincoli  derivanti  dal diritto dell'Unione.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 189/2013
                                      L'art. 3 comma 1 L. Reg. Liguria 6 agosto 2012 n. 27 - che ha inserito nell'art. 34 L. Reg. Liguria 1 luglio 1994 n. 29  il  comma  4-bis,  il  quale  stabilisce  che,  "in  caso intervenga  un  provvedimento  sospensivo  dell'efficacia del calendario venatorio durante la stagione venatoria, la Giunta  regionale,  sentita la  Commissione  consiliare competente per materia, è autorizzata ad approvare, con  provvedimento  motivato,  un  nuovo  calendario venatorio  riferito  all'anno  in  corso, entro  dieci  giorni dalla  data del  provvedimento  sospensivo" - non  viola l'art. 117 comma 2 lett. s) Cost. in quanto la deroga alla procedura  ordinaria  riguarda  solo  l'organo  regionale competente  ad  adottare  il  calendario,  senza  legittimare alcuna  elusione  delle  prescrizioni  (quale  ad  esempio  la previa  acquisizione  del  parere  Ispra  nelle  ipotesi previste)  cui  l'autonomia  regionale  nel  procedimento  di adozione  del  calendario  venatorio  resta  pur  sempre vincolata  con  riguardo  all'area  di  competenza  esclusiva dello  Stato  in  materia  di  tutela  dell'ambiente  ed ecosistema.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 14/2012
                                      È  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  1  della  legge della  Regione  Abruzzo  22  dicembre  2010,  n.  60  che stabilisce l'estensione territoriale di una riserva naturale provinciale  già  istituita  senza  tener  conto  dell'esigenza della  partecipazione  delle  comunità  locali  interessate. Tale legge, infatti, viola l'art. 117, secondo comma, l. s) della  Costituzione,  prevedendo  modalità  procedimentali che  si  discostano  in  peius  dai principi  fondamentali tracciati  dalla  legislazione  statale  a  garanzia  dei diritti  partecipativi  che,  in  materia  di  aree  protette, sono  riconosciuti  alle  comunità  locali  e,  per  esse, agli enti correlativi.
                                                        
                 
                            
                  Cons. Stato n. 5986/2011
                                      La  variante  al  P.R.G. finalizzata  al mutamento dell'azzonamento  di  una  parte  del  territorio  comunale, con  l'effetto  di  raddoppiare  la  dotazione  delle  aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, è idonea a  determinare  la  lesione  dell'interesse  ambientale  e  a radicare  la  correlata legittimazione  attiva. Sussiste, infatti,  una  stretta  relazione  tra  l'urbanistica  e l'ambiente,  tale  che  i  contenuti  della  pianificazione urbanistica vengono inscindibilmente intrecciati con quelli  della  tutela  ambientale,  non  foss'altro  per  il fatto che il territorio, inteso in tutte le sue accezioni, è un bene fondamentale avente carattere costitutivo dello  stesso  bene  "ambiente".
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 44/2011
                                      È illegittimo l'art. 1, comma 25, primo periodo, della legge  della  Regione  Campania  n.  2  del  2010  che prevede,  per  la  dislocazione di centrali di  produzione  di energia  da  fonti  rinnovabili, il  rispetto  di  una  distanza minima  non  inferiore  a  cinquecento  metri  lineari  dalle aree interessate da coltivazioni viticole con marchio DOC e DOCG, e non inferiore a mille metri lineari da aziende agrituristiche  ricadenti  in  tali  aree,  per  violazione  dell'art.  117,  co.  3  della  Costituzione.  Infatti,  i  limiti all'edificabilità  degli  impianti  non possono  essere  posti autonomamente dalle Regioni in assenza di linee guida approvate in conferenza Unificata, poiché tale disciplina attiene  alla  materia  di  potestà  legislativa  concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione di energia», in  cui le  Regioni  sono  vincolate  ai  principi  stabiliti  dalla legislazione statale. È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 16, della legge della Regione Campania n. 2 del  2010,  la  quale  prevede  l'istituzione  da  parte  dei Comuni  ricompresi  nel  territorio  dei  parchi  e  nelle  zone montane,  di  aree  cinofile,  adibite  esclusivamente all'addestramento  ed  allenamento  dei  cani  da  caccia,  e l'individuazione di strutture ove consentire l'addestramento  anche  dei  cani  da  pastore,  da  utilità  e dei cani adibiti alla pet-therapy ed al soccorso. Infatti, le Regioni  possono  disciplinare  la  materia  delle  aree protette dei parchi soltanto nel rispetto dei livelli uniformi di tutela previsti a livello statale ed, in particolare, dalla la legge n. 394 del 1991 che rimette la disciplina delle attività al Regolamento adottato dall'Ente parco ed approvato dal  Ministro  dell'Ambiente.  È  costituzionalmente illegittimo l'art. 1, c. 12 della L.R. Campania n. 2/2010 che prevede  che  lo  scarico  in  alto  mare  avvenga  senza sottoporre i reflui a trattamento alcuno per contrasto sia con l'art. 117, primo comma, che con il secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione.  Infatti, tale  norma  è  in palese  contrasto  con  la  disciplina  statale  a  tutela dell'ambiente,  che  mira  a  impedire  ed  eliminare l'inquinamento  dell'ambiente  marino,  arrestando  o eliminando  gradualmente  gli  scarichi.
                                                        
                 
                            
                  Cons. Stato n. 4246/2010
                                      Alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale (ed  eventualmente  regionale),  la  v.i.a.  non  può  essere intesa  come  limitata  alla  verifica  della  astratta compatibilità  ambientale  dell'opera  ma  si  sostanzia  in una  analisi  comparata  tesa  a  valutare  il  sacrificio ambientale  imposto  rispetto  all'utilità  socio  economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa  "opzione  zero";  la  natura  schiettamente discrezionale  della  decisione  finale  (e  della  preliminare verifica  di  assoggettabilità),  sul  versante  tecnico  ed anche  amministrativo,  rende  allora  fisiologico  ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un  sacrificio  ambientale  superiore  a  quello  necessario per  il  soddisfacimento  dell'interesse  diverso  sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno,  per  il  tramite di soluzioni meno  impattanti  in  conformità  al  criterio  dello  sviluppo sostenibile  e  alla  logica  della  proporzionalità  tra consumazione  delle  risorse  naturali  e  benefici  per  la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 249/2009
                                      Sono  inammissibili  le  questioni  di  legittimità costituzionale degli artt. da 196 a 200, del D.Lgs. 3 aprile 206, n.  152,  in  relazione  all'art.  118  Cost.,  in  quanto  tali norme  determinerebbero  una  compressione  delle potestà  regionali  in  ordine  alla  definizione  degli  indirizzi ed all'organizzazione del sistema governo delle attività di gestione  dei  rifiuti,  nonché  delle  funzioni  provinciali  di programmazione  e  coordinamento  delle  politiche gestionali  nel  proprio  ambito  territoriale,  violando il principio di sussidiarietà nonché il principio di differenziazione.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 232/2009
                                      Non  sono  fondate  le  questioni  di  legittimità costituzionale  dell'art.  63  del  D.Lgs.  n.  152  del  2006, proposte,  in  riferimento  agli  artt.  76,  117  e  118  della Costituzione  e  al  principio  di  leale  collaborazione,  dalle Regioni Toscana, Marche e Basilicata. Innanzitutto, non sussiste la violazione delle attribuzioni regionali garantite dagli  artt.  117  e  118  cost.  e  del principio  di  leale collaborazione, poiché  la  disposizione  censurata,  che istituisce  e  definisce  le  funzioni  delle  Autorità  di  bacino distrettuale,  attiene  all'ambito  materiale  della  tutela dell'ambiente,  di  competenza  esclusiva  statale,  nonché prevede - in considerazione del fatto che le competenze di  tale  nuovo  organismo  possono  avere  indirettamente conseguenze  su  ambiti  materiali  di  competenza concorrente (come il governo del territorio) - un adeguato coinvolgimento delle Regioni attraverso la partecipazione  dei  rappresentanti  regionali  alla Conferenza istituzionale permanente. Non sussiste, poi, il dedotto contrasto della disposizione impugnata con la finalità  di  riordino  della  delega  e  con  il  principio  di salvaguardia  delle  competenze  regionali  definite  dal D.Lgs. n. 112 del 1998, poiché la delega conferita dalla L. n.  308  del  2004  consentiva  al  Governo  di  introdurre anche innovazioni nell'ordinamento previgente e inoltre, nella  fattispecie,  la  redistribuzione  delle  competenze amministrative risponde al criterio della piena attuazione delle direttive comunitarie.
                                                        
                 
                            
                  Cons. Stato n. 3885/2009
                                      Il  principio  "chi  inquina  paga"  consiste, in definitiva, nell'imputazione  dei  costi  ambientali (c.d. esternalità  ovvero  costi  sociali  estranei  alla  contabilità ordinaria  dell'impresa) al  soggetto  che  ha  causato  la compromissione  ecologica  illecita (poiché esiste una compromissione  ecologica  lecita  data  dall'attività  di trasformazione industriale dell'ambiente che non supera gli standards legali).
                                          
                      –
                      
                                                          Il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo  le  particolari  regole  della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta,  necessariamente,  il  dovere  di  adottare particolari  comportamenti  attivi  finalizzati  alla  tutela sanitaria  degli  immobili  destinati  alla  bonifica  da  fattori inquinanti  e  che la  curatela  fallimentare  non  subentri negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito a meno che non vi sia una prosecuzione nell'attività. Ne consegue che non può  accettarsi  che  la  legittimazione  passiva  sia  del curatore  (poiché  ciò,  inoltre,  determinerebbe  un sovvertimento del principio "chi inquina paga" scaricando i  costi  sui  creditori  che  non  presentano  alcun collegamento  con  l'inquinamento).
                                                        
                 
                            
                  Cass. civ. n. 25010/2008
                                      La  compromissione dell'ambiente (nella  specie prodotta  dall'accertata alterazione  e  distruzione  della vegetazione  e  del  suolo sbancato,  nonché  dalla provocata deviazione del corso delle acque) trascende il mero pregiudizio patrimoniale derivato ai singoli beni che ne  hanno  fatto  parte  perché  il  bene  pubblico  (che comprende l'assetto del territorio, la ricchezza di risorse naturali, il paesaggio come valore estetico  e culturale  e come  condizione  di  vita salubre  in  tutte  le  sue componenti) deve  essere  considerato  unitariamente per  il  valore  d'uso  da  parte  della  collettività  quale elemento  determinante  della  qualità  della  vita  della persona,  quale  singolo  e  nella  sua  aggregazione sociale.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 378/2007
                                      La potestà  di  disciplinare  l'ambiente  nella  sua interezza  è  stato  affidata,  in  riferimento  al  riparto  delle competenze  tra  Stato  e  Regioni,  in  via  esclusiva  allo Stato,  dall'art.  117,  comma  secondo,  lettera  s),  della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" in termini generali e onnicomprensivi. E non è da trascurare che  la  norma  costituzionale  pone  accanto  alla  parola "ambiente" la parola "ecosistema". Si parla, in proposito, dell'ambiente come "materia trasversale", nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione  dell'ambiente  e  quelli  inerenti  alle  sue utilizzazioni.  In  questi  casi, la  disciplina  unitaria  del bene  complessivo  ambiente, rimessa  in  via esclusiva  allo  Stato,  viene  a  prevalere  su  quella dettata  dalle  Regioni  o  dalle  Province  autonome,  in materie  di  competenza  propria,  ed  in  riferimento  ad altri  interessi. Ciò  comporta che  la  disciplina ambientale,  che  scaturisce  dall'esercizio  di  una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene  a  funzionare  come  un  limite  alla  disciplina  che  le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun  modo  derogare  o  peggiorare  il  livello  di  tutela ambientale stabilito dallo Stato.
                                                        
                 
                            
                  Cass. pen. n. 33887/2006
                                      L'ambiente,  inteso  in  senso  unitario  come  bene pubblico  complesso,  caratterizzato  dai  valori  estetico-culturale,  igienico-sanitario  ed  ecologico-abitativo, assurge a bene pubblico immateriale, la cui natura non preclude  la  doppia  tutela  patrimoniale  e  non patrimoniale, relativa alla lesione di quell'insieme di beni materiali  e  immateriali  determinati,  in  cui  esso  si sostanzia e delimita territorialmente.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 246/2006
                                      La  giurisprudenza  costituzionale  è  costante  nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia "tutela dell'ambiente" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione, se certamente comporta  il  potere dello  Stato  di  dettare standard di  protezione  uniformi validi  su  tutto  il  territorio  nazionale  e  non  derogabili  in senso  peggiorativo  da  parte  delle  Regioni,  non  esclude affatto che le leggi regionali emanate nell'esercizio della  potestà  concorrente  di  cui  all'art.  117,  terzo  comma, della  Costituzione,  o  di  quella  "residuale"  di  cui  all'art. 117,  quarto  comma, possano  assumere  tra  i  propri scopi anche finalità di tutela ambientale.
                                                        
                 
                            
                  Cons. Stato n. 7472/2004
                                      Il  problema  del  punto  di  equilibrio tra  realizzazione di infrastrutture e tutela dell'ambiente e del paesaggio e, dunque,  del  concreto  atteggiarsi  del principio  dello sviluppo sostenibile (ora  codificato  dall'art.  3-quater, D.Leg. 152/06), meglio si chiarisce anche in relazione alla valutazione  dell'utilizzazione  economica  delle  aree protette;  per  cui  non  dovrebbe  parlarsi  di  sviluppo  sostenibile  ossia  di  sfruttamento  economico  dell'ecosistema compatibile con esigenza di protezione, ma, con prospettiva  rovesciata, di  protezione  sostenibile, intendendosi  con  tale  terminologia  evocare  i  vantaggi economici  che  la  protezione  in  sé assicura  senza compromissione  di  equilibri  economici  essenziali  per  la collettività,  ed ammettere  il  coordinamento fra  interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l'utilizzazione del territorio non alteri in modo significativo  il  complesso  dei  beni  compresi  nell'area protetta;  si  deve  ammettere  l'alterazione  dei  valori ambientali solo in quanto non vi siano alternative possibili da  individuarsi  proprio  grazie  alla  procedura  di  v.i.a.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 69/2004
                                      Il nuovo art. 120 della Costituzione - il quale non può  che  essere  letto  in  tale  contesto - deriva  invece dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello  delineato  dalla  riforma,  la  possibilità  di  tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle funzioni amministrative, taluni  interessi  essenziali  che  il  sistema  costituzionale attribuisce  alla  responsabilità  dello  Stato,  quali  sono  il rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  comunitari,  il mantenimento  dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica,  la tutela  in  tutto  il  territorio  nazionale  dei  livelli  essenziali delle  prestazioni  concernenti  i  diritti  civili  e  sociali, nonché  il  mantenimento  dell'unità  giuridica  ed economica  del  complessivo  ordinamento  repubblicano.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 43/2004
                                      La  Costituzione  ha  voluto dunque che,  a  prescindere  dal  riparto  delle  competenze  amministrative, come attuato dalle leggi statali e regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento sostitutivo  del  Governo  per  garantire  tali  interessi essenziali. Non  preclude  dunque,  in  via  di  principio,  la possibilità  che  la  legge  regionale,  intervenendo  in materie  di  propria  competenza,  e  nel  disciplinare,  ai sensi  dell'articolo  117,  terzo  e  quarto  comma,  e dell'articolo  118,  primo  e  secondo  comma,  della Costituzione,  l'esercizio  di  funzioni  amministrative  di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o di attività  obbligatorie, nel caso  di  inerzia  o  di inadempimento da parte dell'ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi.  Poiché  però,  come  si  è  detto,  tali  interventi sostitutivi  costituiscono una  eccezione  rispetto  al normale  svolgimento  di  attribuzioni  dei  Comuni  definite dalia legge, sulla base di criteri oggi assistiti da garanzia costituzionale, debbono valere nei confronti di essi condizioni  e  limiti non  diversi  (essendo  fondati  sulla medesima  ragione  costituzionale)  da  quelli  elaborati nella  ricordata  giurisprudenza  di  questa  Corte  in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni  e  cioè  devono  trovare  il  loro  fondamento  nella legge;  che  deve  definirne  i  presupposti  sostanziali  e procedurali; la sostituzione può prevedersi esclusivamente  per  il  compimento  di  atti  o  di  attività "prive di discrezionalità nell'an", la cui obbligatorietà sia il riflesso  degli  interessi unitari alla cui salvaguardia  provvede  l'intervento  sostitutivo;  il  potere  sostitutivo  deve essere  poi  esercitato  da  un  organo  di  governo  della Regione o sulla base di una decisione di questo: ciò che è necessario stante l'attitudine dell'intervento ad incidere sull'autonomia,  costituzionalmente rilevante,  dell'ente sostituito.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 303/2003
                                      Limitare  l'attività  unificante  dello  Stato  alle  sole materie  espressamente  attribuitegli  in  potestà  esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe  bensì  circondare  le  competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche  dire  svalutare  oltremisura  istanze  unitarie  che pure  in  assetti  costituzionali  fortemente  pervasi  da pluralismo  istituzionale  giustificano,  a determinate condizioni,  una  deroga  alla  normale  ripartizione  di competenze.  Anche  nel  nostro  sistema  costituzionale sono  presenti  congegni  volti  a  rendere  più  flessibile  un disegno  che,  in  ambiti  nei  quali  coesistono,  intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per  l'ampia  articolazione  delle  competenze,  istanze  di unificazione  presenti  nei  più  svariati  contesti  di  vita,  le quali,  sul  piano  dei  principi  giuridici,  trovano  sostegno nella  proclamazione  di  unità  e  indivisibilità  della Repubblica. Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto  nell'art.  118,  primo  comma,  Cost.,  il  quale  si riferisce  esplicitamente  alle  funzioni  amministrative,  ma introduce per queste un meccanismo dinamico  che  finisce  col  rendere  meno rigida,  come  si chiarirà  subito  appresso,  la  stessa  distribuzione  delle competenze  legislative,  là dove  prevede che  le funzioni amministrative,  generalmente  attribuite  ai  Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di  sussidiarietà,  differenziazione  ed adeguatezza. È del resto coerente  con  la  matrice  teorica  e  con  il significato  pratico  della  sussidiarietà  che  essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia  inadeguato  alle  finalità  che  si  intenda raggiungere; ma  se  ne  è  comprovata  un'attitudine ascensionale  deve  allora  concludersi  che,  quando l'istanza  di  esercizio  unitario  trascende  anche  l'ambito regionale,  la  funzione  amministrativa  può  essere esercitata dallo Stato.
                                                        
                 
                            
                  Corte cost. n. 407/2002
                                      Non  tutti  gli  ambiti  materiali  specificati  nel  secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta  più  esattamente  di  competenze  del  legislatore statale  idonee  ad  investire  una  pluralità  di  materie.  In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza  costituzionale  portano  ad  escludere che  possa  identificarsi  una  "materia"  in  senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento  che  non  sembra  configurabile  come  sfera  di competenza  statale  rigorosamente  circoscritta  e delimitata,  giacché,  al  contrario,  essa  investe  e  si intreccia  inestricabilmente  con  altri  interessi  e competenze. In  particolare,  dalla  giurisprudenza  della Corte  antecedente  alla  nuova  formulazione  del  Titolo  V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente  protetto,  che,  in  quanto  tale, delinea  una  sorta  di materia  "trasversale", in  ordine alla  quale  si  manifestano  competenze  diverse,  che  ben possono  essere  regionali,  spettando  allo  Stato  le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina  uniforme  sull'intero  territorio  nazionale.