Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 1010 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Passivitą gravanti su ereditą in usufrutto

Dispositivo dell'art. 1010 Codice Civile

L'usufruttuario di un'eredità o di una quota di eredità è obbligato a pagare per intero, o in proporzione della quota, le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l'eredità stessa sia gravata(1).

Per il pagamento del capitale dei debiti o dei legati, che si renda necessario durante l'usufrutto, è in facoltà dell'usufruttuario di fornire la somma occorrente, che gli deve essere rimborsata senza interesse alla fine dell'usufrutto(2) [1011].

Se l'usufruttuario non può o non vuole fare questa anticipazione, il proprietario può pagare tale somma, sulla quale l'usufruttuario deve corrispondergli l'interesse [1284] durante l'usufrutto, o può vendere una porzione dei beni soggetti all'usufrutto fino alla concorrenza della somma dovuta.

Se per il pagamento dei debiti si rende necessaria la vendita [1470] dei beni, questa è fatta d'accordo tra proprietario e usufruttuario, salvo ricorso all'autorità giudiziaria in caso di dissenso. L'espropriazione forzata deve seguire contro ambedue.

Note

(1) Il pagamento dei debiti che hanno ricadute sul reddito spetta all'usufruttuario; è il caso, per esempio, di quelli riferiti a prestazioni periodiche (rendite, canoni, interessi). Sono, invece, debiti di capitale, a carico del nudo proprietario, le prestazioni non periodiche, come, per esempio, le rate di una somma di capitale dei debiti e dei legati.
(2) L'usufruttuario ha la facoltà di pagare i debiti e i legati relativi al capitale, ma se egli non provvede in questo senso, può, infatti, pensarci il proprietario, purché il primo ne sia a conoscenza. Se nessuno dei due si fa carico di quanto sopra, è necessario vendere una porzione dei beni fino a concorrenza di quanto dovuto.

Spiegazione dell'art. 1010 Codice Civile

La sfera di applicazione della norma in confronto a quella dell' art. 509 del codice del 1865

La responsabilità dell'usufruttuario per le obbligazioni del proprietario si esauriscono di regola nelle ipotesi previste dagli articoli 1008-1009, in cui si tratta di obbligazioni che trovano il fondamento nell'appartenenza della cosa al debitore. Perciò, come si è visto, resta esclusa ogni responsabilità (sia pure limitata ad un semplice obbligo di concorso) dell'usufruttuario per i debiti che incombono sì sul proprietario ma non per tale sua qualità. L'usufruttuario può risentire di fatto le conseguenze di tali debiti solo quando essi siano garantiti da ipoteca su beni o su beni mobili iscritti in pubblici registri, iscritta anteriormente alla trascrizione dell'usufrutto, o da pegno se si tratta di beni mobili non registrati. In tal caso egli, se vuole evitare la perdita del suo diritto per effetto dell’ espropriazione e la sua trasformazione in una semplice ragione di credito, può essere di fatto costretto a procedere al pagamento, salvo il diritto di regresso immediato nei confronti del debitore. Invece il principio della normale irresponsabilità dell'usufruttuario per i debiti del proprietario trova un'eccezione nella ipotesi in cui l'usufrutto sia costituito su di una eredità o su una quota di essa.

L'art. 509 del vecchio codice poneva la regola sull'obbligo di concorso dell'usufruttuario per i debiti del proprietario con riguardo all’ipotesi di usufrutto su un patrimonio. E se si esclude qualche opinione isolata, la dottrina riteneva che la regola fosse applicabile non solo all’ ipotesi comune di usufrutto legale o testamentario sull’eredità ma anche alle ipotesi in cui si fosse costituito per atto inter vivos, a titolo oneroso o gratuito, l'usufrutto su tutti i beni che in un determinato momento costituivano il patrimonio di una persona.

Invece l'art. 1010 del nuovo codice limita la sfera di applicazione della norma esclusivamente all'ipotesi di usufrutto sulla totalità o su una quota dei beni ereditari, perché, si avverte nella Relazione al Re, i beni di un patrimonio, all'infuori dell'eredità, non costituiscono un'unità giuridica (universitas iuris). La ragione addotta non è in verità molto probante, perché la ratio della (parziale) responsabilità dell'usufruttuario stabilita dall'art. 509 non era tanto un preteso carattere di unitarietà giuridica del patrimonio che potesse far considerare questo come una universitas, comprensivo cioè di elementi attivi e di elementi passivi (debiti), quanto la considerazione che normalmente colui che costituisce un usufrutto su tutti i beni che in senso descrittivo costituiscono il suo patrimonio in un determinato momento intende costituirlo deducto aere alieno, ossia intende riversare sull'usufruttuario il carico delle passività nei limiti del godimento a questo attribuito e più precisamente il carico degli interessi sui debiti o delle altre annualità che gravano sul patrimonio.

Tant’è vero che l'art. 509 era pacificamente ritenuto come una norma puramente dispositiva. Comunque sia, malgrado la portata puramente teorica di quella giustificazione, è certo che la limitazione dell'applicabilità della norma è stata chiaramente voluta e affermata: ciò significa che quando in concreto si presenterà una fattispecie in cui l'usufrutto è costituito per atto inter vivos su tutti i beni del costituente, bisognerà indagare quale sia stata l’ effettiva intenzione dei contraenti allo scopo di determinare i limiti della eventuale responsabilità dell'usufruttuario, e non fare ricorso alla norma dell'art. 1010 che in sè ha carattere eccezionale e quindi non è suscettibile di applicazione analogica.

Determinata così la sfera di applicazione della norma, si devono sottolineare varie cose. Anzitutto l'espressione «usufrutto di un'eredità» non si deve intendere nel senso che oggetto dell'usufrutto sia l'eredità considerata come nomen iuris, come sintesi degli elementi attivi e passivi del patrimonio ereditario. Oggetto dell'usufrutto sono sempre i singoli beni, che sono individuati per il fatto di avere fatto parte del patrimonio del de cuius, il che porta alla conclusione, del resto quasi pacifica, che l'istituito nell'usufrutto della totalità o di una quota dei beni ereditari è un legatario e non un erede. Perciò che la norma dell'art. 1010, in quanto dispone una certa responsabilità per i debiti ereditari a carico del legatario dell'usufrutto, importa, per lo meno nei rapporti interni, una deroga al principio generale che il legatario non risponde dei debiti ereditari.

In secondo luogo dovrebbe essere chiaro che l'art. 1010 opera non solo nel caso in cui l'usufrutto sia costituito su una quota dei beni ereditari aritmeticamente predeterminata, ma anche quando, pur essendo indicati specificamente i beni, risulti che il testatore li ha considerati come quota del patrimonio (arg. ex art. 588). Si deve infatti riconoscere che, ai fini di determinare il concetto di quota, il problema si presenta con aspetti analoghi nella ipotesi dell'art. 1010 e dell'art. 588, per cui si può dire che si ha l'usufrutto su una quota di eredità quando l'istituito sarebbe erede se invece di un'assegnazione in usufrutto avesse ricevuto un'assegnazione in proprietà.


L'obbligo dell'usufruttuario al pagamento degli interessi e alle altre annualità

La responsabilità dell'usufruttuario per i debiti dell'eredità as­sume due atteggiamenti. Egli infatti ha l'obbligo di pagare le annualità e gli interessi dei debiti e dei legati di cui l’eredità è gravata e ha l'onere di anticipare le somme occorrenti per il pagamento del capitale se vuole evitare la vendita di una parte dei beni e quindi la menomazione del suo diritto.

Rispetto all'obbligo di pagare gli interessi e le annualità si discuteva sotto la vigenza del vecchio codice se l’usufruttuario fosse direttamente obbligato nei confronti del creditore o solo nei rapporti interni con l'erede. Il nuovo art. 1010 non ha risolto la questione, ma sembra che si debba seguire anche per il nuovo codice la soluzione propugnata dalla quasi unanime dottrina, secondo la quale la responsabilità dell'usufruttuario è esclusivamente interna, onde il creditore delle annualità e degli interessi non ha contro di lui alcuna azione diretta. Non v’è dubbio che di fronte al creditore l'erede risponda non solo del pagamento del capitale ma anche delle annualità e degli interessi, non potendosi certo ammettere una frammentizzazione del rapporto sostanzialmente unico. Non v’è quindi alcuna ragione per ritenere che la legge abbia voluto favorire il creditore moltiplicando i soggetti verso di lui obbligati. Anzi la collocazione della norma che pone la responsabilità dell' usufruttuario, la sua natura di norma dispositiva, per cui essa può essere derogata sia nel testamento sia per accordo tra l'erede e l'usufruttuario, il fatto che le norme di cui stiamo parlando regolano quasi sempre ed esclusivamente i rapporti tra proprietario e usufruttuario, dimostrano che l'obbligo dell'usufruttuario ha per suo destinatario attivo esclusivamente l'erede. Ciò non significa che il contenuto dell'obbligo sia solo quello di rimborsare l'erede del pagamento che egli abbia fatto: il contenuto dell'obbligo è l'adempimento di un obbligo altrui (dell'erede), il che importa che l'usufruttuario è tenuto nei confronti dell'erede, a pagare il terzo. L'obbligo eventuale di rimborsare l'erede è una conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo primario.

Ci si è pure chiesti, per il codice del 1865, se la responsabilità dell'usufruttuario per il pagamento degli interessi e delle altre annualità dei debiti e dei legati sia limitata alla concorrenza dell' ammontare del reddito dei beni su cui cade l'usufrutto. Di fronte al silenzio della legge non pare che possa essere accolta la tesi della limitazione, nè nel senso che l'usufruttuario risponda solo con i frutti perché tale limitazione fra l'altro contrasterebbe col principio adesso affermato dall’art. 2740 del c.c. (le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge), nè nel senso che l’ usufruttuario sia tenuto solo fino alla concorrenza del valore dei frutti. È vero che il substrato economico dell’ obbligazione dell'usufruttuario per gli interessi e le annualità è dato dal fatto che di solito a quei pagamenti si provvede mediante prelevamenti sul reddito, ma ciò può costituire la ragione politica che giustifica la norma sotto il profilo dell'id quod plerumque accidit, ma non può importare una limitazione dell'obbligo dell'usufruttuario che la legge nel suo chiaro tenore non autorizza. Di fronte alla eventualità che gli interessi e le annualità superino il reddito, l'usufruttuario non ha altro mezzo per liberarsi da quegli obblighi che la rinuncia al suo diritto.


L'onere del pagamento del capitale

La situazione dell'usufruttuario rispetto al pagamento del capitale dei debiti o dei legati è più complessa.

Se durante l'usufrutto si rende esigibile un debito ereditario ovvero un legato, l'usufruttuario ha, secondo l'art. 1010 secondo comma, la facoltà di anticipare la somma occorrente, che egli ha diritto di ripetere senza interessi alla fine dell'usufrutto. Risulta chiaramente dalla lettera dell'articolo che l'usufruttuario non è affatto obbligato nè nei rapporti interni nè tanto meno nei confronti dei terzi creditori al pagamento del capitale del debito o del legato. Ma è altrettanto chiaro che l'esercizio di quelle facoltà rappresenta anche un onere per l'usufruttuario, in quanto, se egli non anticipa le somme, il proprietario ha la scelta di eseguire lui il pagamento (nel qual caso sorge l’ obbligo dell'usufruttuario di corrispondere gli interessi) o di far vendere una porzione di beni sino alla concorrenza della somma dovuta. L'usufruttuario quindi deve esercitare quella facoltà se vuole evitare le conseguenze svantaggiose che possono per lui derivare dall'alternativa concessa al proprietario.

Un problema assai discusso è quello se competa all'usufruttuario che abbia anticipato le somme necessarie per il pagamento dei debiti e dei legati la surrogazione legale nei diritti del creditore soddisfatto, ai sensi dell'art. 1253 n. 3 del codice del 1865 (corrispondente all’art. 1203 n. 3). Il problema si risolve con l’analisi delle citate disposizioni le quali richiedono come condizioni della surrogazione l'interesse del solvens e il fatto che questi sia obbligato (l’ art. 1203 del c.c. usa una formula pia attenuata) con altri al pagamento del debito.

Ora, se non può seriamente negarsi nei riguardi dell'usufruttuario la sussistenza della prima condizione, si è invece negato che ricorra la seconda, dato che l'usufruttuario non è obbli­gato al pagamento del capitale ma ne ha solo la facoltà, ma non pare che una tale illazione sia giustificata. Come si è già osservato, se è vero che l'usufruttuario non ha un obbligo in senso tecnico, egli ha tuttavia l'onere di eseguire il pagamento: l’art. 1253 n. 3 (e a più forte ragione l’art. 1203) comprende entrambe le situazioni in cui rispettivamente vi sia un obbligo e un onere, non essendovi una ragione sufficiente per discriminare sotto questo profilo le due situazioni. Tant’è vero che il diritto di surroga legale è pacificamente riconosciuto, anche per l'art. 1253 n. 3, al terzo acquirente che paga i creditori iscritti e che non è un debitore in senso tecnico ma ha solo 1' onere di pagare se vuole evitare l’ espropriazione. Naturalmente, anche riconosciuto il beneficio della surrogazione legale, bisogna ricordare che essa non produce effetto finché dura l'usufrutto, dato che solo alla fine di questo il diritto dell'usufruttuario diviene esigibile nei confronti del proprietario. Ma in questo momento l’usufruttuario avrà diritto agli interessi nella misura in cui produceva il credito originario (se essa è superiore alla misura legale) e potrà avvalersi delle garanzie che assistevano il credito medesimo.


Le facoltà del proprietario in relazione al pagamento del capitale

Se l'usufruttuario non può o non vuole anticipare le somme necessarie per il pagamento del capitale dovuto dal proprietario (è chiaro quindi che questi deve previamente interpellare l'usufruttuario se voglia o no esercitare la facoltà di fare il pagamento), il proprietario può anzitutto provvedere lui stesso al pagamento. In tal caso sulle somme sborsate da questo, l'usufruttuario gli deve corrispondere gli interessi legali, anche se il credito soddisfatto non produceva interessi.
Ma il proprietario ha anche un'altra via da scegliere: può cioè vendere quei beni il cui prezzo è sufficiente a pagare il capitale dovuto. In tal caso l'usufruttuario deve sopportare, sempre in coerenza al principio che egli ha diritto al godimento netto, la diminuzione del suo diritto.

Quanto alle modalità di esercizio di tale facoltà accordata al proprietario, il nuovo codice, colmando la lacuna del vecchio art. 509 che aveva dato luogo a parecchie controversie, dispone che la vendita deve seguire all’accordo tra proprietario e usufruttuario. Il consenso di quest'ultimo non è richiesto tanto per integrare il potere di disposizione del proprietario quanto per la tutela dell'interesse dell'usufruttuario che è innegabile sia per la determinazione del bene o dei beni da vendere, sia per la determinazione del prezzo, sia per le cautele che l'usufruttuario ha diritto di prendere per assicurare che il prezzo della vendita sia effettivamente destinato al pagamento dei debiti ereditari e dei legati. Se le parti non si accordano sulla determinazione del bene o del prezzo o sulle altre mo­dalità della vendita, la decisione spetta all'autorità giudiziaria nelle forme contenziose ordinarie. In tal caso non è necessario, per la validità della vendita, che l'usufruttuario vi partecipi, bastando che siano rispettate le condizioni stabilite dall'autorità giudiziaria, mentre sino a quando non è intervenuta una sentenza definitiva la sua mancata partecipazione può inficiare la vendita, se l'esistenza del diritto di usufrutto è opponibile, secondo le regole generali, ai terzi aventi causa dal proprietario.

S'intende che la facoltà di vendere accordata al proprietario non può essere esercitata rispetto alle cose consumabili che sono passate in proprietà dell'usufruttuario, salvo che si tratti di scorte di un fondo che possono bene essere vendute insieme con questo.


L'espropriazione per debiti ereditari

Dispone infine l'art. 1010 che «l'espropriazione forzata dovrà seguire contro ambedue». Questa norma, che tende a risolvere le difficoltà sorte per il vecchio codice, ha anzitutto il significato di legittimare i creditori ereditari e i legatari alla espropriazione dei beni su cui cade l'usufrutto. Essi, ancorché non abbiano ipoteca o non abbiano fatto l'iscrizione in separazione, possono espropriare i beni come se l'usufrutto non esistesse (il che invece era negato dai più per il vecchio codice almeno per quanto riguardava i creditori chirografari), ma devono procedere esecutivamente nei confronti sia del proprietario sia dell'usufruttuario.

È quasi superfluo avvertire che, ove non si tratti di debiti ereditari, o di legati, ma di debiti personali del proprietario o dell'usufruttuario, non si applica la disposizione dell’art. 1010. In tal caso i creditori del proprietario non possono espropriare il diritto dell'usufruttuario che sia a loro opponibile e a fortiori i creditori dell'usufruttuario non possono espropriare la nuda proprietà.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

482 Circa la ripartizione delle spese e degli oneri tra proprietario e usufruttuario, si è riveduta e completata negli artt. 1004-1009 la disciplina del codice del 1865 (artt. 501-508). Sono a carico dell'usufruttuario tutte le spese relative alla custodia, all'amministrazione e alla manutenzione ordinaria della cosa: così pure devono essere sostenute dall'usufruttuario le riparazioni straordinarie, rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione (art. 1004 del c.c.). Le riparazioni straordinarie, invece, sono a carico del proprietario. L'enumerazione che di queste fa il secondo comma dell'art. 1005 del c.c. è conforme a quella contenuta nell'art. 504 del codice del 1865. L'usufruttuario, peraltro, poiché ne trae profitto, deve corrispondere al proprietario per la durata dell'usufrutto l'interesse delle somme per esse erogate (art. 1005, terzo comma). Se il proprietario non esegue le riparazioni, può eseguirle l'usufruttuario, e in tal caso ha diritto al rimborso delle spese senza interesse alla fine dell'usufrutto (art. 1006 del c.c.). Le stesse disposizioni valgono nel caso di rovina parziale, per vetustà o caso fortuito, di un edificio che formava accessorio necessario del fondo soggetto a usufrutto (art. 1007 del c.c.. Per ciò che concerne i carichi annuali, i quali sono addossati all'usufruttuario, l'art. 1008 del c.c., primo comma, risolve affermativamente la questione, sorta a proposito dell'art. 506 del codice del 1865, se l'usufruttuario debba corrispondere anche le rendite fondiarie. Il secondo comma dell'articolo ripartisce poi, per l'anno in corso al principio e alla fine dell'usufrutto, tali carichi tra proprietario e usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto. Gravano sul proprietario, salvo diverse disposizioni di legge, i carichi imposti sulla proprietà, inerenti cioè al capitale e non al reddito, ma l'usufruttuario deve corrispondergli l'interesse e, se ne anticipa il pagamento, ha diritto al rimborso del capitale, senza interesse, alla fine dell'usufrutto (art. 1009 del c.c. corrispondente all'art. 507 del codice del 1865). Non ho riprodotto, perché mi sembrava superfluo, la disposizione dell'art. 508 del codice anteriore, con la quale si riconosceva all'usufruttuario di una o più cose particolari il diritto di regresso verso il proprietario per il pagamento dei debiti di questo per cui il bene fosse ipotecato, nonché per le rendite semplici (o censi), le quali sostanzialmente non divergono di un comune debito ipotecario (articoli 1782 del codice precedente e art. 1861 del c.c.). La disciplina delle passività gravanti su un'eredità in usufrutto (art. 1010 del c.c.) è conforme a quella dettata dall'art. 509 del codice del 1865, che, però, più genericamente parlava di usufrutto di un patrimonio: e la modifica rende chiaro che l'usufrutto di un patrimonio non può essere costituito che come usufrutto dei singoli beni di cui il patrimonio è composto, con l'osservanza delle forme prescritte secondo la natura di ciascuno di questi. Al menzionato art. 509 del codice precedente si è aggiunta una disposizione (art. 1010, ultimo comma), che prevede la necessità della vendita dei beni per il pagamento dei debiti. La vendita è fatta d'accordo tra proprietario e usufruttuario, salvo ricorso all'autorità giudiziaria in caso di dissenso. Si è stabilito, infine, che l'espropriazione forzata debba seguire contro entrambi.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!