Nozione
Lo schema causale del deposito, imperniato sulla conservazione materiale della res deposita, presuppone che questa sia individualmente determinata, ed esclude pertanto che consista in (quantità di) cose fungibili o consumabili, o più propriamente che tale qualità abbia giuridico rilievo, attraverso la facoltà del depositario di sostituire la cosa fungibile depositata con altra equivalente, o di consumarla. L'esercizio di tale facoltà appare, infatti, incompatibile con l'adempimento della prestazione di custodia, intesa come mantenimento della cosa nello stato in cui si trovava all'atto dell'affidamento in deposito. Tuttavia si è sempre parlato, almeno nell'attuale periodo economico, di un deposito irregolare, caratterizzato dalla fungibilità o consumabilità della res deposita, dalla facoltà d'uso del depositario (implicante la sostituzione o consumazione della cosa) e dalla restituzione del tantundem ejusdem generis anziché dell'eadem res. In presenza di questi caratteri, che sono propri anche del mutuo, l'esistenza e l'esigenza di una figura negoziale tuttavia distinta da questo è stata avvertita dalla pratica — specialmente nel campo dei depositi bancari — piuttosto, o comunque prima, che ipotizzata in via legislativa: lo dimostra il rilievo che la figura è trattata nella letteratura e giurisprudenza francesi, pur non esistendo in quel codice alcuna norma in proposito; e che, da noi, vigente il codice del 1865, vi insistevano, cercando di coglierne le note differenziali, anche coloro che non ne ritenevano individuata la fattispecie dal capoverso di quell'art. 1848. Questo rilievo, ponendo in evidenza che la pratica avverte l'esigenza od opportunità di una differenziazione, quanto alla disciplina, tra deposito irregolare e mutuo, è sufficiente per dimostrare che opportunamente il legislatore del codice del '42 non ha seguito l'indirizzo accolto dal Progetto italo-francese (art. 649) e dal Progetto 1936 della Commissione (art. 639), nel senso di parificare esplicitamente e rigidamente, a tutti gli effetti, il primo al secondo: ciò che avrebbe evitato delicate questioni teoriche e pratiche, ma posto in essere una compressione delle esigenze avvertite dalla pratica attraverso la norma, anziché l'adeguamento di questa a quella, mentre l'opera legislativa deve perseguire la cura degli interessi pratici, non intralciata da preoccupazioni teoriche.
Individuazione della fattispecie
Nell'individuazione della fattispecie del deposito irregolare, la disposizione in esame è molto più precisa e comprensiva di quella dell'art. 1848 cpv. del codice abrogato. Tenendo presente il tenore di questa: "un deposito di danaro, quando in conformità dell'art. 1846 (cioè con il consenso espresso o presunto del deponente) il depositario ne avesse fatto uso, deve restituirsi nelle medesime specie in cui fu fatto, nel caso tanto di aumento quanto di diminuzione del loro valore", si può notare, anzitutto, che l'espressa previsione legislativa riguardava soltanto il deposito di danaro; tuttavia la dottrina concorde ammetteva l'estensione della norma al deposito di altre cose tipicamente fungibili (grano, cereali, etc.). Deve piuttosto osservarsi:
a) che la restituzione del tantundem anziché dell'eadem res sembrava disposta non come effetto originario ed immediato del deposito di cosa fungibile con facoltà d'uso, ma come effetto dell'uso effettivamente fatto durante lo svolgimento del contratto: onde poteva pensarsi che il deposito così fatto non implicasse immediato trasferimento della proprietà della res deposita, e che la conversione dell'obbligo di restituzione, sempre in funzione di adempimento e non di risarcimento, avesse luogo in tutti i casi di uso da parte del depositario, anche se non consentito dal deponente; mentre invece, in quest'ultima ipotesi, si dovrebbe propriamente parlare di violazione contrattuale, impossibilità imputabile della restituzione in natura e pagamento in via reintegratoria dell' id quod interest;
b) che si parlava di restituzione «nelle medesime specie»: dizione che, raffrontata a quella dell'art. 1821 sul mutuo di danaro (restituzione della "medesima somma numerica espressa nel contratto", cioè di qualunque tipo di monete, purché aventi lo stesso complessivo valore nominale), poteva far pensare che si trattasse di una forma speciale di restituzione in natura, come effetto di un contratto non implicante il trasferimento della proprietà di una quantità o somma di danaro, ma l'uso del denaro stesso come specie monetata. Perciò alcuni ritenevano che l'art. 1848 non contemplasse il deposito irregolare, ma una specie di deposito regolare, anche perché il primo presupporrebbe la consumabilità, e non soltanto la fungibilità, della res deposita.
Ma l'insegnamento prevalente, attraverso un'interpretazione, non sempre consapevolmente, correttiva dell'art. 1848, esclusa spesso a priori la tesi or ora accennata, riteneva che il deposito di cose fungibili con facoltà d'uso implicasse necessariamente il trasferimento immediato della proprietà e l'immediata determinazione dell'obbligo di restituzione come avente per oggetto il tantundem. E l'art. 1782 del codice vigente procede all'individuazione della fattispecie del deposito irregolare alla stregua di tale insegnamento, ed è recisamente approvabile, poiché:
a) sono giuridicamente decisivi, per determinare l'irregolarità del deposito, la fungibilità della cosa e la facoltà d'uso, poiché la fungibilità, come carattere giuridicamente rilevante, implica la facoltà di sostituzione della cosa con altra equivalente, onde non rileva in via autonoma, né tanto meno occorre, che la res deposita sia anche consumabile e che la facoltà d'uso si risolva perciò nella facoltà di consumazione;
b) il trasferimento della proprietà non è effetto di una autonoma volizione negoziale, ma deriva, ex lege, dall'intento empirico rivolto alla facoltà. d'uso delle cose fungibili depositate, come strumento tecnico necessario per l'attuazione dell'intento medesimo; essa, inoltre, si veri-fica come effetto immediato della conclusione del contratto, ab initio, e non come conseguenza dell'effettivo esercizio della facoltà d'uso, che proprio da esso e legittimata e qualificata ;
c) le precedenti osservazioni valgono anche per l'obbligo di restituzione, che ha per oggetto sin dall'inizio, ed indipendentemente da espressa pattuizione, il tantundem, onde la restituzione viene in giuridica considerazione sotto questo profilo, anche se, non avendo per avventura il depositario fatto uso delle cose depositate, queste vengono restituite materialmente identiche; non si tratta, infatti, di cose individue ma di quantità di cose, ed è lecito supporre come normale, in pratica, in presenza dell'intento empirico corrispondente al deposito irregolare, la mancanza di materiale individuazione delle cose depositate.
Le caratteristiche di cui sub b) e c) sono corrispondenti a quelle poste chiaramente in evidenza, per il mutuo, dagli artt. 1813 e 1814; e vien meno così la possibilità di discriminare dal mutuo il deposito irregolare, considerandolo come deposito di cose fungibili individuate, implicante non il trasferimento immediato della proprietà, ma soltanto la facoltà di appropriazione del depositario, e la conversione dell'obbligo di restituzione dell'eadem res in quello di restituzione del tantundem solo come conseguenza, eventuale e successiva, dell'appropriazione mediante l'uso e la sostituzione. Non avvalorando tale possibilità, ma anzi decisamente escludendola, il codice vigente dimostra ancora una volta di non preoccuparsi delle questioni sistematiche di carattere teorico, poiché rende ancor più delicata la discriminazione tra le due figure, così equiparate negli effetti principali. E l'indirizzo seguito sembra un complesso commendevole, dovendo ritenersi che l'intento empirico dell'accipiens nel deposito irregolare sia praticamente rivolto all'acquisto immediato della disponibilità delle cose, e che manchi, come si è già accennato, l'individuazione di esse; mentre, d'altra parte, anche se si fosse accolto quel criterio discretivo, si sarebbe agevolata la sistemazione e discriminazione teorica, ma non offerto alcun ausilio per il giudizio concreto di qualificazione delle fattispecie pratiche.
Natura giuridica del deposito irregolare
La natura giuridica del deposito irregolare era oggetto, sotto l'impero del codice abrogato, di viva controversia in dottrina, ritenendo alcuni che si trattasse di una sottospecie del tipo negoziale deposito, altri che viceversa si trattasse di mutuo, sostanzialmente negando la rilevanza autonoma della figura, altri, infine, che il deposito irregolare costituisse un contratto sui generis; ed in quest'ultimo senso, variamente si parlava di negozio partecipante dei caratteri del deposito e del mutuo, ovvero di originario deposito che si trasforma in mutuo in seguito all'uso o alla consumazione, ovvero ancora di negozio sui generis, affine al mandato.
Il problema non può ritenersi completamente risolto dalla disposizione espressa dell'art. 1782, né questo è un rilievo critico, non essendo compito legislativo la soluzione delle questioni dogmatiche. Ma non può, all'opposto, ritenersi che la norma medesima lasci del tutto impregiudicata la questione se il deposito irregolare si trasformi in mutuo, come si afferma nella Relazione al codice (n. 727): infatti, tra le varie tesi suaccennate, proprio quella della identificazione tra le due figure, e quindi della mancanza di autonomia del deposito irregolare, deve ormai ritenersi esclusa. Non potrebbe cogliersi, diversamente, la ratio della disposizione stessa, nell'attuale formulazione, e l'abbandono della ricordata formula del progetto italo-francese; e soprattutto - poiché il rilievo riguarda la parte propriamente normativa della disposizione stessa - è decisivo in tal senso l'assoggettamento del deposito irregolare alla disciplina del mutuo, solo «per quanto applicabile »: che dimostra ed afferma la esistenza di peculiarità normative, sia pure non precisate, del primo negozio rispetto al secondo, incompatibile con l'asserita identità. Esclusa rimane anche la configurazione del deposito irregolare come deposito che si trasforma eventualmente e successivamente in mutuo, a seguito della consumazione, poiché la norma in esame pone il trasferimento della proprietà e l'obbligo di restituzione del tantundem come effetti originari e costanti.
Rimane, invece, impregiudicata l'alternativa tra (sottospecie del) deposito e negozio sui generis, non più inteso, quest'ultimo, come contratto innominato in senso stretto, data l'esistenza di apposita previsione ed individuazione legislativa. È infatti irrilevante, in sede dogmatica, la collocazione sistematica della norma relativa al deposito irregolare sotto il titolo del deposito, dovuto ad ovvie considerazioni di pratica opportunità; e non sussistono altri argomenti di carattere letterale.
Come si è già accennato, l'insegnamento prevalente è nel senso che rimanga ferma la natura di deposito, nel cui schema il deposito irregolare rientrerebbe come species particolare. Premesso che, per le cose fungibili e consumabili, depositate come tali, non è possibile per definizione la custodia in forma di conservazione materiale nella loro specifica consistenza, e che economicamente riesce per esse indifferente la restituzione specifica, si afferma infatti che equivalga alla custodia: a) il trasferimento della proprietà con obbligo di restituzione per equivalente, costituente mezzo tecnico indispensabile per attuare la custodia rispetto alle cose fungibili; b) oppure l'obbligo di tenere costantemente a disposizione del depositante il tantundem individuato, con conseguente incidenza sul depositante stesso del rischio del fortuito; c) oppure soltanto l'obbligo di tenersi in condizione di restituire il tantundem alla prima richiesta, non implicante necessariamente la costante conservazione materiale delle species che lo costituiscono, ma soltanto una limitazione del modo di uso e di impiego, che deve cioè essere prudente e liquido, in guisa da consentire in ogni momento la pronta realizzazione.
In quest'ultimo senso si precisa che l'obbligo di custodia si converte, per le cose fungibili, in quello di impiego prudente e liquido, e che per il depositante equivale alla conservazione della proprietà il potere di disposizione rappresentato dalla facoltà di ottenere la restituzione ad nutum. E mentre alcuni sostengono che questa attività equivalente (conservazione del tantundem o uso prudente e liquido) è custodia, o quanto meno custodia giuridica anziché materiale, altri invece ritengono sufficiente, per la sussunzione nello schema del deposito, il rilievo di equivalenza economica e funzionale rispetto all'intento empirico del depositante.
Nessuna di queste formulazioni rende accettabile l'insegnamento in esame, anche se si ammetta la possibilità di parlare di un trasferimento di proprietà, in funzione di custodia anziché di godimento, e la compatibilità di esso con lo schema del deposito, normalmente imperniato sulla costituzione di una situazione meramente possessoria (vedi, art. 1766, e art. 1780). Se si tenga presente, infatti, tutto quanto si è detto circa la struttura e la causa del deposito, e sulla natura della prestazione di custodia (attività dovuta come effetto dell'obbligazione principale (vedi, art. 1766; art. 1768; art. 1770), risulta chiaro che di una permanenza dell'obbligo di custodia nel deposito irregolare potrebbe parlarsi solo alla stregua della tesi sub b), considerando cioè oggetto della custodia, anziché la res deposita, il tantundem individuato. Senonché, non è vero che l'accipiens, nel deposito irregolare, abbia l'obbligo di tenere costantemente e materialmente presso di sè, a disposizione del depositante, il tantundem individuato.
Tutte le altre formulazioni, invece, presuppongono o esplicitamente affermano la considerazione della custodia come attività meramente interna e preparatoria, ed, a fortiori, l'assorbimento dell'obbligo di custodia in quello di restituzione; e l'individuazione della causa negoziale in funzione della disponibilità anziché della custodia. Non si può, infatti, considerare la prudente gestione come attività dovuta, controllabile dal depositante al di fuori della richiesta di restituzione; onde, a prescindere da altri rilievi particolari, deve concludersi che il deposito irregolare, a differenza del deposito ed a simiglianza del mutuo, genera soltanto l'obbligo di restituzione per equivalente a richiesta, e non l'obbligo di custodire o anche di esplicare una diversa attività in qualsiasi senso equivalente.
Questa conclusione negativa appare maggiormente avvalorata dalla disciplina del deposito nel codice vigente, che non consente di considerare connotato essenziale del tipo la restituzione ad nutum, per effetto delle disposizioni degli artt. 1771 pr. e 1773, né, d'altra parte, di individuare una qualsiasi diversità fra il regime della restituzione del denaro mutuato e quello del denaro oggetto di deposito irregolare. Infatti, non essendo state riprodotte le disposizioni degli artt. 1848 e 1821 del codice abrogato, le modalità della restituzione risultano, per l'uno e per l'altro negozio, dal combinato disposto degli artt. 1782 e 1813, identicamente formulati, da una parte, e degli artt. 1277 e segg. sulle obbligazioni pecuniarie, dall'altra (in senso conforme dispone anche l'art. 1834 per il deposito bancario di denaro, che ha natura di deposito irregolare).
Non rimane, quindi, che considerare il deposito irregolare come negozio sui generis, costituente un anello di congiunzione tra il deposito ed il mutuo: la sua struttura richiama piuttosto questa seconda figura negoziale, con la quale ha in comune l'oggetto mediato, il trasferimento della proprietà e la struttura dell'unica obbligazione causata (debito di quantità); mentre lo scopo, o causa, è affine a quello del deposito: il tradens, infatti, persegue un intento di sicurezza del denaro (o delle altre cose fungibili depositate), anziché un intento speculativo, anche se la realizzazione di tale intento non deriva dall'obbligo dell'accipiens di svolgere una determinata attività (di custodia o equivalente), bensì soltanto dalla fiducia nell'accipiens, per le garanzie di restituzione insite nella sua solidità finanziaria e specialmente nella sua attrezzatura professionale (ond'è difficile la diffusione del deposito irregolare fuori del campo delle operazioni bancarie); ed anche se con l'intento di sicurezza coesiste, ma con rilievo secondario, quello di ricavare un modico interesse, l'obbligo di corresponsione del quale consente l'affermazione che l'uso della res deposita avviene anche, non esclusivamente, nell'interesse del tradens, poiché è attraverso l'impiego che il depositario si mette in condizione di ottemperarvi, senza che peraltro l'impiego effettivo condizioni in alcun modo l'obbligo stesso.
Non sembra, invece, necessario né esatto parlare di un'affinità con il mandato: è vero, infatti, che il depositario ha facoltà di amministrare il denaro ricevuto, ma si tratta di mera facoltà e non di obbligo, inerente all 'acquisto della proprietà (annullato) e quindi della disponibilità piena, e da esso giuridicamente assorbita, e non costituente nemmeno una mera necessitas faciendi, perché il depositario può anche destinare a consumazione anziché ad impiego il denaro ricevuto, e tuttavia procurarsi diversamente la possibilità di adempiere agli obblighi contrattuali di pagare l'interesse e restituire. Le cose, quindi, stanno esattamente, sotto questo profilo, come nel mutuo, ed il richiamo al mandato appare ultroneo.
Né, infine, è esatto parlare di un deposito (regolare) che si trasforma in mutuo in seguito e nel momento dell'uso, per le ragioni già accennate; soltanto se la facoltà di uso o consumazione non sia attribuita come effetto immediato del contratto, bensì subordinatamente al verificarsi di una determinata condizione, fino alla quale sussista l'obbligo di custodia in senso proprio e di restituzione delle stesse cose individue, potrà parlarsi di trasformazione dell'originario deposito regolare in mutuo o in deposito irregolare, secondo i casi.
Distinzione tra deposito irregolare e mutuo
Posta così in linea teorica la differenza tra deposito irregolare e mutuo, sotto il profilo della causa, nel senso che una affine struttura negoziale realizza nel primo caso, almeno prevalentemente, uno scopo di sicurezza o conservazione in senso lato, nel secondo uno scopo di speculazione da una parte e godimento dall'altra, e fermo che nell'una e nell'altra ipotesi vi è concomitanza, sia pure in diverso rapporto, dell'interesse di ambedue i contraenti, rimane innegabilmente la difficoltà di stabilire in pratica se ci si trovi di fronte all'una o all'altra figura.
È impossibile stabilire in linea di massima decisivi criteri di demarcazione. Vigente il codice del 1865, la dottrina era prevalentemente orientata nel senso di attribuire valore decisivo alle modalità della restituzione, considerando caratteristica del deposito la ripetibilità a vista (restituzione ad nutum) e del mutuo la presenza di un termine in favore dell'accipiens, e tuttavia ammettendo la compatibilità col deposito di un breve termine di preavviso, ritenuto ottemperante alla funzione di porre l'accipiens in condizione di provvedere alla materiale restituzione e relative operazioni, anziché di garantirgli la protrazione per un certo tempo del godimento delle cose ricevute. Senonché, oltre il rilievo che ben spesso occorre proprio stabilire se la mancata stipulazione del termine significhi ripetibilità a vista, come per il deposito, o necessità di determinazione giudiziale, come per il mutuo (art. 1817), deve, ancora a questo proposito, ricordarsi che, secondo il codice vigente, anche il deposito tollera un vero e proprio termine, nell'interesse del depositario (vedi, art. 1771). Onde può solo dirsi che, quando sia, esplicitamente o meno, concordata la restituzione ad nutum, si tratterà di deposito irregolare e non di mutuo, ma non viceversa mentre il difetto di apposita determinazione volitiva non potrà costituire argomento nell'uno o nell'altro senso.
Un utile elemento di giudizio può derivare non dalla stipulazione degli interessi, che non è incompatibile bensì normale anche per il deposito irregolare, e per converso può mancare anche nel mutuo, bensì dal relativo saggio, essendo evidente che quanto più esso eccede la misura legale, tanto più il negozio si orienta verso il fine speculativo e la prevalenza della funzione di credito, e viceversa.
Invece è poco utile rilevare se l'iniziativa della contrattazione sia stata assunta dall'una o dall'altra parte, essendosi ammesso che in entrambe le figure negoziali l'interesse a contrarre è reciproco, e potendosi aggiungere che, nella pratica delle operazioni bancarie, costituenti il campo principale dell'indagine, l'iniziativa generica è sempre della banca e quella specifica sempre del cliente.
In definitiva sarà quindi compito del giudice valutare attentamente tutte le circostanze contrattuali, nonché il comportamento pre e post-contrattuale delle parti, per stabilire se il negozio sia orientato verso l'intento empirico di speculazione o verso quello di sicurezza.
Disciplina del deposito irregolare
La disciplina del deposito irregolare è posta dall'art. 1782 esplicitamente per quanto riguarda l'oggetto della restituzione, indirettamente — attraverso l'affermazione dell'effetto traslativo — per alcune modalità, e per tutto il resto deriva dalla combinata applicazione delle norme relative al deposito — richiamate in virtù delle stessa collocazione dell'articolo — e di quelle relative al mutuo — come detto espressamente nel capoverso — in funzione della rispettiva compatibilità con le peculiarità, del negozio. Si tratta, per queste ultime, di applicazione diretta e non analogica, poiché il deposito irregolare è un negozio sui generis, ma non innominato.
a) La restituzione deve avere per oggetto una uguale quantità di cose della stessa specie: della stessa specie monetaria, se si tratta di denaro, a meno che quella originaria non abbia più corso legale, nella quale ipotesi è applicabile il disposto del capoverso dell'art. 1277, secondo il quale la restituzione deve avvenire in moneta legale ragguagliata per valore a quella originaria.
In conseguenza deve ritenersi ammissibile la compensazione fra il debito di restituzione ed eventuali crediti omogenei del depositario, non sussistendo l'ostacolo della illiquidità derivante per il deposito regolare dall'obbligo di restituzione in natura, ed essendo inapplicabile l'art. 1246, n. 2, poiché il deposito irregolare non ha natura giuridica di deposito;
b) poiché le cose depositate passano in proprietà del depositario, il rischio del perimento fortuito è sopportato dal depositario, anche perché l'obbligo di restituzione ha per oggetto cose determinate genericamente, onde la mancata restituzione costituisce sempre inadempimento, a tutti gli effetti. Tuttavia non v'è ragione di non ritenere applicabile, quando si tratti di cose diverse dal denaro, il temperamento disposto dall'art. 1818 per il mutuo, consistente nella conversione dell'obbligo di restituzione del tantundem ejusdem generis nell'obbligo di pagamento del valore, senza danni, in caso di impossibilità o notevole difficoltà, non imputabile, della restituzione;
c) per la stessa ragione, ed inoltre per la mancanza di un obbligo di custodia, e di individualità della res deposita, sono inapplicabili quelle norme, relative al deposito, che presuppongono la permanenza della proprietà nel depositante e la custodia del depositario relativamente alla cosa individua depositata: tali gli artt. 1768, 1770, 1776, 1777 cpv., 1778, 1779, e tale anche l'art. 1775 sull'obbligo di restituire i frutti della res deposita, nonché l'art. 1781 per quanto concerne il rimborso delle spese di conservazione e gli artt. 2756 e 2761 sul privilegio e la ritenzione, che presuppongono una prestazione di custodia relativamente ad una cosa altrui;
d) analogamente, avuto riguardo al rapporto di interesse contrattuale tra le parti, sembra più congruo, per il regolamento dei danni prodotti dalle cose, far capo all'art. 1821 anziché all'art. 1781; e, comportando il contratto l'uso del denaro altrui, esso dovrà ritenersi produttivo di interessi, ai sensi dell'art. 1815;
e) viceversa, in aderenza all'intento empirico prevalente, che orienta il negozio verso il deposito, il tempo della restituzione deve ritenersi sottoposto al regime di quest'ultimo. Ciò implica che, in difetto di regolamento contrattuale, il depositante avrà diritto alla restituzione in ogni tempo, applicandosi l'art. 1771 anziché l'art. 1817; ma non esclude la possibilità di un termine (in senso proprio, non di c.d. preavviso) in favore del depositario, poiché il codice vigente non considera più tale termine incompatibile con lo stesso deposito regolare (vedi, art. 1771). Circa il luogo della restituzione, è evidentemente inapplicabile l'art. 1774, poiché manca, con la custodia, la stessa possibilità di determinazione spaziale ivi prevista: si applicheranno, invece, le norme del terzo e del quarto comma dell'art. 1182, secondo che si tratti di danaro, o di altre cose fungibili. Sembra invece applicabile l'art. 1774 cpv., che pone le spese di restituzione a carico del depositante, essendo anche il deposito irregolare in funzione prevalente dell'interesse del tradens, cui corrisponde normalmente, come si è già notato, la ripetibilità a vista
f) in caso di fallimento del depositario, avendo il depositante la veste di creditore e non di titolare di alcun diritto reale su cose possedute dal fallito, la restituzione avrà luogo in moneta fallimentare. Se il deposito irregolare ha per oggetto una quantità di danaro, l'obbligo di restituzione è soggetto al regime delle obbligazioni pecuniarie a tutti gli effetti: sono perciò applicabili le norme generali degli artt. 1277 e segg., l'art. 1224 circa il risarcimento dei danni.