AUTORE:
Anna Adele Giancristofaro
ANNO ACCADEMICO: 2014
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitā degli Studi di Macerata
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
L’oggetto dell’intera trattazione verterà sull’analisi dell'art. 709 ter del c.p.c., introdotto dall’art. 2, secondo comma, della legge 8 febbraio 2006 n. 54 rubricata "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli".
Tale norma colpisce per la sua scarsa chiarezza. Essa disciplina un procedimento diretto a risolvere le controversie in materia di esercizio della responsabilità genitoriale o di affidamento dei figli minori (o maggiorenni portatori di handicap) e richiede l’esistenza di un provvedimento relativo all’affidamento dei figli minori del quale si lamenta l’inadempimento, dovendosi così intendere la locuzione “controversia in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento”. Inoltre, esso tutela e riconosce quello che è il diritto alla bigenitorialità, inteso come diritto del minore di ricevere cura, educazione ed istruzione da parte di entrambi i genitori.
Non esiste un solo profilo dell’istituto che non abbia suscitato dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
In primis, infatti, ci si è chiesti quali fossero le tipologie di controversie cui la norma si riferisse e quale fosse il suo preciso ambito di applicazione. Circa la competenza orizzontale e verticale, nell’ipotesi di istanza proposta in via incidentale, il problema sorge quando si tratta di stabilire se il potere di decidere spetti al giudice istruttore che si pronuncia con ordinanza o al collegio con sentenza. Sempre in tale ambito, forte è la problematica relativa al possibile concorso del procedimento davanti al tribunale ordinario e a quello per i minorenni quando si verifica da parte di un coniuge uno dei fatti di cui agli artt. 330 e 333 del Codice Civile.
Tutto ciò verrà chiarito alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione. Nel caso di istanza proposta in via autonoma, invece, posto che la norma attribuisce la competenza per i procedimenti di cui all’art. 710 del c.p.c. al tribunale del luogo di residenza dei minori, si è dibattuto su quali fossero le tipologie di controversie applicabili ad essa.
Entrando nel cuore del processo disciplinato dalla nuova disposizione, notiamo come tale norma si limiti a stabilire che, a seguito del ricorso, il giudice convochi le parti e adotti i provvedimenti più opportuni, i quali, in caso di gravi inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, possono giungere, oltre che alla modifica dei provvedimenti in vigore, anche all’applicazione di una o più delle misure elencate al suo secondo comma.
Ampio è il dibattito sulla natura del procedimento in esame. Per alcuni esso presenterebbe natura volontaria, per altri contenziosa. Segue un’analisi dettagliata circa le singole misure previste al secondo comma della norma: in primis l’ammonimento, poi il risarcimento del danno nei confronti del minore e dell’altro genitore fino ad arrivare all’eventuale condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Esse vengono considerate misure coercitive indirette a carattere latu sensu sanzionatorio. Il punto di maggiore criticità, poi, è ravvisabile nel terzo ed ultimo comma dell’art. 709-ter c.p.c. nella parte in cui esso afferma che i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili “nei modi ordinari”. Tale formula si ritiene debba essere interpretata come riferita ai tradizionali mezzi di impugnazione previsti per quel tipo di provvedimento emanato nel caso di specie.
Si passerà poi ad analizzare dettagliatamente quella che è la figura del danno non patrimoniale in ambito familiare. Sul punto, già da tempo la giurisprudenza di merito e di legittimità si sono orientate nel senso della rilevanza del danno familiare ed “endofamiliare” che integra, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del c.c., un danno non patrimoniale, vale a dire un danno rilevante e risarcibile in quanto si offendano beni costituzionalmente protetti. Circa la natura del risarcimento del danno di cui ai nn. 2 e 3 della norma in esame, dibattuta è la questione se esso costituisca una forma di punitive damages o se debba ricondursi al paradigma di cui agli artt. 2043 c.c. e 2059 c.c., essendo ravvisabile, per chi sostiene questa tesi, un danno di natura compensativa. Le misure risarcitorie in esame, poi, verranno messe a confronto con i punitive damages di origine anglosassone e nordamericana e le astreintes francesi.
Infine, si analizzerà il rapporto che sussiste tra i provvedimenti emessi sulla base dell’art. 709-ter, secondo comma, c.p.c. e l’art. 614 bis del c.p.c., misura coercitiva generale pecuniaria applicabile alle ipotesi in cui il provvedimento di condanna del giudice abbia ad oggetto l’obbligo ad un fare infungibile o ad un non fare.
Dunque, dopo aver riconosciuto la possibile coesistenza tra i due strumenti di attuazione del provvedimento giudiziale, sorge il problema se tali misure possano essere anche cumulate tra di loro.
Tale norma colpisce per la sua scarsa chiarezza. Essa disciplina un procedimento diretto a risolvere le controversie in materia di esercizio della responsabilità genitoriale o di affidamento dei figli minori (o maggiorenni portatori di handicap) e richiede l’esistenza di un provvedimento relativo all’affidamento dei figli minori del quale si lamenta l’inadempimento, dovendosi così intendere la locuzione “controversia in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento”. Inoltre, esso tutela e riconosce quello che è il diritto alla bigenitorialità, inteso come diritto del minore di ricevere cura, educazione ed istruzione da parte di entrambi i genitori.
Non esiste un solo profilo dell’istituto che non abbia suscitato dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
In primis, infatti, ci si è chiesti quali fossero le tipologie di controversie cui la norma si riferisse e quale fosse il suo preciso ambito di applicazione. Circa la competenza orizzontale e verticale, nell’ipotesi di istanza proposta in via incidentale, il problema sorge quando si tratta di stabilire se il potere di decidere spetti al giudice istruttore che si pronuncia con ordinanza o al collegio con sentenza. Sempre in tale ambito, forte è la problematica relativa al possibile concorso del procedimento davanti al tribunale ordinario e a quello per i minorenni quando si verifica da parte di un coniuge uno dei fatti di cui agli artt. 330 e 333 del Codice Civile.
Tutto ciò verrà chiarito alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione. Nel caso di istanza proposta in via autonoma, invece, posto che la norma attribuisce la competenza per i procedimenti di cui all’art. 710 del c.p.c. al tribunale del luogo di residenza dei minori, si è dibattuto su quali fossero le tipologie di controversie applicabili ad essa.
Entrando nel cuore del processo disciplinato dalla nuova disposizione, notiamo come tale norma si limiti a stabilire che, a seguito del ricorso, il giudice convochi le parti e adotti i provvedimenti più opportuni, i quali, in caso di gravi inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, possono giungere, oltre che alla modifica dei provvedimenti in vigore, anche all’applicazione di una o più delle misure elencate al suo secondo comma.
Ampio è il dibattito sulla natura del procedimento in esame. Per alcuni esso presenterebbe natura volontaria, per altri contenziosa. Segue un’analisi dettagliata circa le singole misure previste al secondo comma della norma: in primis l’ammonimento, poi il risarcimento del danno nei confronti del minore e dell’altro genitore fino ad arrivare all’eventuale condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Esse vengono considerate misure coercitive indirette a carattere latu sensu sanzionatorio. Il punto di maggiore criticità, poi, è ravvisabile nel terzo ed ultimo comma dell’art. 709-ter c.p.c. nella parte in cui esso afferma che i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili “nei modi ordinari”. Tale formula si ritiene debba essere interpretata come riferita ai tradizionali mezzi di impugnazione previsti per quel tipo di provvedimento emanato nel caso di specie.
Si passerà poi ad analizzare dettagliatamente quella che è la figura del danno non patrimoniale in ambito familiare. Sul punto, già da tempo la giurisprudenza di merito e di legittimità si sono orientate nel senso della rilevanza del danno familiare ed “endofamiliare” che integra, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del c.c., un danno non patrimoniale, vale a dire un danno rilevante e risarcibile in quanto si offendano beni costituzionalmente protetti. Circa la natura del risarcimento del danno di cui ai nn. 2 e 3 della norma in esame, dibattuta è la questione se esso costituisca una forma di punitive damages o se debba ricondursi al paradigma di cui agli artt. 2043 c.c. e 2059 c.c., essendo ravvisabile, per chi sostiene questa tesi, un danno di natura compensativa. Le misure risarcitorie in esame, poi, verranno messe a confronto con i punitive damages di origine anglosassone e nordamericana e le astreintes francesi.
Infine, si analizzerà il rapporto che sussiste tra i provvedimenti emessi sulla base dell’art. 709-ter, secondo comma, c.p.c. e l’art. 614 bis del c.p.c., misura coercitiva generale pecuniaria applicabile alle ipotesi in cui il provvedimento di condanna del giudice abbia ad oggetto l’obbligo ad un fare infungibile o ad un non fare.
Dunque, dopo aver riconosciuto la possibile coesistenza tra i due strumenti di attuazione del provvedimento giudiziale, sorge il problema se tali misure possano essere anche cumulate tra di loro.