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Il passante distratto non può essere risarcito

Il passante distratto non può essere risarcito
Anche in caso di insidia stradale il pedone deve osservare l’ordinaria diligenza.
Con l’ordinanza n. 9315/2019, la VI Sezione Civile della Cassazione ha respinto il ricorso proposto da una donna, la quale aveva citato in giudizio un Comune per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della caduta in una strada cittadina da lei percorsa; secondo l’attrice, la caduta era dovuta ad un tombino e ad un profondo avvallamento esistenti nella sede stradale.
Il Tribunale in primo grado aveva accolto la domanda, ma la decisione era stata riformata in appello, con rigetto della richiesta risarcitoria.
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha innanzitutto escluso la violazione dell’art. 2051 del c.c., dedotta dalla ricorrente.
In proposito, la Suprema Corte richiama alcune proprie recenti ordinanze, emesse in materia di responsabilità civile per danni da cose in custodia. Secondo tale filone giurisprudenziale, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'art. 1227 del c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.
Ne consegue” - prosegue la Corte - “che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione, da parte del danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
La giurisprudenza in questione chiarisce anche che l'espressione "fatto colposo", contenuta nell'articolo 1227 c.c., non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive c/o dettata dalla comune prudenza. Il relativo accertamento è riservato esclusivamente all'apprezzamento del giudice di merito.
In applicazione di tali principi, la Cassazione ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza di secondo grado. In particolare, in corso di causa era emerso che la strada percorsa dall’attrice presentava un avvallamento di minimo spessore, per cui non esisteva alcuna insidia che non fosse evitabile applicando l'ordinaria diligenza.
Peraltro, la Cassazione ha dichiarato l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, con cui era stata dedotta la presunta violazione e falsa applicazione dell'art. 2700 del c.c. in merito alla mancanza di contestazione della relazione di servizio redatta in occasione del sinistro.
Sul punto, la Corte rammenta che la relazione di servizio redatta in occasione del sinistro non ha una valenza privilegiata se non in ordine a quanto accertato direttamente dai verbalizzanti, mentre le valutazioni dai medesimi compiute sono soggette comunque alla verifica ed alla ponderazione del giudice di merito.


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