La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15101 del 21 luglio 2016, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, due genitori avevano agito in giudizio (ai sensi degli artt. 140 – 141 e 190 codice della strada) nei confronti del conducente di un’autovettura e della relativa compagnia assicurativa, chiedendo la condanna dei medesimi al risarcimento dei danni subiti dalla figlia, che era stata investita mentre attraversava la strada, riportando gravi danni.
Il Tribunale, dopo aver disposto l’espletamento anche di una consulenza tecnica medico-legale e di un’altra consulenza, volta ad accertare le modalità del sinistro, aveva rigettato la domanda, con la conseguenza che i genitori avevano proposto appello, il quale, tuttavia, era stato parimenti respinto.
I genitori, ritenendo le due pronunce ingiuste, decidevano di proporre ricorso per Cassazione, ma nemmeno la Corte riteneva di poter aderire alle loro argomentazioni.
Osserva la Cassazione, infatti, come in tema di sinistri derivanti da circolazione stradale, non è possibile sindacare, in sede di terzo grado di giudizio, “l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione”, trattandosi di un “in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico”.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva adeguatamente argomentato la propria decisione, dopo aver “ricostruito la dinamica dell’incidente, evidenziando che lo stesso era da ricondurre a responsabilità esclusiva della sfortunata bambina la quale aveva attraversato la strada in modo tale da non poter essere vista dal conducente dell’auto investitrice”.
In sostanza, secondo la Corte, all’investimento del pedone non consegue automaticamente la responsabilità del conducente, essendo necessario accertare le modalità della condotta, valutando se il sinistro possa essere in qualche modo ricollegato anche alla responsabilità della vittima stessa, la quale potrebbe essersi comportata in maniera imprudente.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, in particolare, la bimba vittima del sinistro aveva agito imprudentemente, attraversando la strada in modo tale da non poter essere vista dalle vetture in arrivo e, pertanto, il conducente non poteva dirsi in alcun modo responsabile.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, del tutto logicamente e coerentemente, la Corte di secondo grado aveva escluso che potesse individuarsi, a carico dell’imputata, “una qualsiasi forma di responsabilità, sia in ordine alla velocità tenuta che alle manovre effettuate”.
Alla luce di tali circostanze, la Cassazione decideva che il ricorso doveva essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.