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Il comune non è responsabile del sinistro causato da un avvallamento della strada se l'automobilista corre troppo

Il comune non è responsabile del sinistro causato da un avvallamento della strada se l'automobilista corre troppo
L’automobilista che subisca un sinistro per un avvallamento della strada non può essere risarcito se non ha rispettato i limiti di velocità.
La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10004/2020, si è pronunciata in ordine alla possibilità di ritenere responsabile di un sinistro stradale, causato da un avvallamento della strada, l’ente gestore della stessa, anche nel caso in cui l’automobilista coinvolto non abbia rispettato il limite di velocità.

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte nasceva dalla verificazione di un sinistro stradale che aveva coinvolto il conducente di un’auto, il quale, dopo aver perso il controllo della stessa a causa della presenza di un avvallamento sull’asfalto, era finito contro due alberi posti al margine della carreggiata. In seguito all’accaduto, il conducente e il proprietario del mezzo danneggiato citavano in giudizio il Comune gestore della strada su cui era avvenuto il sinistro, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti.

La sentenza di accoglimento emessa dal Tribunale veniva, tuttavia, ribaltata dalla Corte d’Appello, la quale osservava come dall’istruttoria fosse emerso, innanzitutto, che la vettura, prima di schiantarsi contro gli alberi, aveva lasciato delle tracce di frenata di lunghezza pari a circa trenta metri. Oltre a ciò, la Corte territoriale rilevava come, dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata, fosse emerso che l’auto, al momento dell’incidente, viaggiava ad una velocità superiore a quella consentita in quel tratto stradale e che, se il conducente avesse rispettato il prescritto limite di 50 km/h, avendo a disposizione uno spazio di frenata di trenta metri, avrebbe senza dubbio potuto arrestare il veicolo in tempo utile, anche in caso di perdita del controllo dello stesso attribuibile all’anomalia dell’asfalto.

Rimasti soccombenti, gli originari attori ricorrevano dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, innanzitutto, una violazione e falsa applicazione degli articoli 1227 e 2051 del c.c. A loro avviso, infatti, i Giudici di secondo grado avevano errato nell’applicare i principi posti in tema di obbligo di custodia, visto che, nell’analizzare il comportamento del conducente dell’auto ed individuandone la colpa, non avevano detto nulla in relazione all’effettiva prevedibilità o imprevedibilità del suo comportamento, la quale rilevava ai fini dell’individuazione del caso fortuito.

Con un secondo motivo di ricorso si eccepiva, poi, la violazione e la falsa applicazione, oltre che degli articoli 1227 e 2051 del c.c., anche degli articoli 40 e 41 del c.p., nonché dell’art. 142 del Codice della strada.
Secondo i ricorrenti, infatti, la sentenza impugnata, avendo interpretato in modo errato le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non aveva considerato l’importanza decisiva della presenza di un avvallamento sul manto stradale, essendosi limitata ad esaminare la colpa del conducente del mezzo e a collegare ad essa la responsabilità esclusiva dell’accaduto.

La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, giudicando infondati entrambi i motivi di doglianza proposti.

Gli Ermellini hanno, innanzitutto, ribadito come la costante giurisprudenza di legittimità sull’art. 2051 del c.c. disponga che il danneggiato sia, in ogni caso, tenuto a dimostrare l’esistenza del fatto dannoso, il nesso di causalità ed il danno subito, restando, invece, a carico del custode, l’obbligo di dimostrare il caso fortuito (cfr. Cass. Civ., n. 4160/2019; Cass. Civ., n. 27724/2018).

La stessa giurisprudenza della Cassazione ha, peraltro, stabilito che “in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione del primo comma dell’art. 1227 del c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.(Cass, Civ., n. 2480/2018; Cass. Civ., n. 2481/2018).

L’applicazione di detto principio comporta che, quanto più la situazione di possibile danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte del danneggiato, delle cautele normalmente attese e previste in rapporto alle circostanze concrete, tanto più incidente si deve considerare l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.

A tal fine gli Ermellini hanno, altresì, chiarito che l’espressione “fatto colposo” contenuta nell’art. 1227 del c.c., non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che rileva esclusivamente ai fini di un’affermazione di responsabilità, ma si deve intendere come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive o dettata dalla comune prudenza.

Sulla base di tali precisazioni, secondo la Cassazione, i Giudici di merito hanno correttamente applicato i suddetti principi al caso de quo, non avendo, quindi, errato nel compiere una valutazione complessiva delle prove e nel ritenere che se il conducente del veicolo avesse rispettato il limite di velocità, avrebbe avuto la possibilità di arrestare la vettura in tempo utile nonostante l’avvallamento, considerando, dunque, l’eccesso di velocità, quale elemento idoneo ad interrompere di per sé il nesso causale tra l’anomalia della strada e l’incidente.


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